Hellas Verona 1984-85: l’unica provinciale Campione d’Italia

Hellas Verona - Puntero

La provincia è quel luogo in cui poter respirare, lontano dalla frenesia delle grandi città. Dove ciascuno può coltivare la propria riservatezza e in cui la ciclicità degli eventi quotidiani fa sembrare più lento lo scorrere del tempo. In provincia si è liberi di costruire il proprio destino senza fretta, di far crescere e maturare le proprie ambizioni al momento giusto. Ed è esattamente ciò che ha fatto l’Hellas Verona 1984-85, l’unica provinciale ad aver mai vinto lo scudetto.

Con il termine “provinciali”, nel calcio, si fa riferimento ai club che rappresentano città diverse dai capoluoghi di regione. È infatti nelle grandi città che solitamente risiedono le squadre più blasonate e titolate del nostro campionato, tanto che nella storia della Serie A a girone unico nessuna provinciale è mai riuscita a vincere il titolo. Nessuna tranne il Verona, appunto.

 

La nascita del Verona di Bagnoli

Negli anni ’80 la Serie A è senza dubbio il campionato più importante e ambito al mondo, un torneo a cui tutti i grandi campioni sognano di partecipare. Il tabellone si presenta con una struttura diversa da quella attuale: le squadre sono sedici e i punti assegnati per ogni vittoria soltanto due. Spesso bastano poco più di 40 punti per il tricolore, con frequenti lotte tra gruppi di squadre divise da una manciata di punti di distanza. In particolare, la Serie A 1984-85 si configura ai nastri di partenza come un’edizione estremamente combattuta, con tante squadre chiamate a inseguire e insidiare la favorita Juventus. I bianconeri, campioni in carica e pieni di eroi del Mundial 1982, vinceranno la Coppa dei Campioni, trainati da due fuoriclasse come Michel Platini e Zibì Boniek.

Alle loro spalle, le contendenti più accreditate sono la Roma vicecampione d’Europa, il nuovo Milan di Nils Liedholm e due squadre temibili come Inter e Torino, rispettivamente guidate da bomber implacabili quali Karl-Heinz Rummenigge e Aldo Serena. I grandi colpi di mercato dell’estate del 1984, però, non arrivano da nessuna di queste squadre. Un po’ a sorpresa, infatti, sono Fiorentina e Napoli a portare in Italia due dei più grandi campioni che abbiano mai militato nel nostro campionato: il brasiliano Sócrates e soprattutto l’argentino Diego Armando Maradona, che all’ombra del Vesuvio farà impazzire i tifosi napoletani, rivelandosi tra i più grandi – se non il più grande – di tutti i tempi.

In tal senso, per meglio comprendere la competitività di quella Serie A, basti pensare che anche le “piccole” possono vantare tra le proprie fila campioni di enorme spessore. Ad esempio Ramón Díaz, elegante centravanti argentino dell’Avellino che nel 1989 vincerà con l’Inter lo “scudetto dei record” in coppia con Serena, oppure il tandem composto dai giovanissimi Gianluca Vialli e Roberto Mancini in forza alla Sampdoria – ancora acerbi ma destinati a scrivere di lì a qualche anno un’altra pagina storica della Serie A – o, ancora, lo straordinario fantasista dell’Udinese Zico, considerato uno dei più forti calciatori brasiliani mai esistiti e dotato di un destro telecomandato capace di raggiungere la sua massima espressione in termini di efficacia ed estetica sui calci di punizione.

In questo ecosistema di stelle, il Verona non sembra destinato a brillare, nonostante le due buone stagioni precedenti. Eppure l’Hellas è una squadra assolutamente competitiva, capace di incarnare l’essenza della provincia, in cui una seconda occasione viene concessa a tutti e nella quale il duro lavoro è l’unico mezzo conosciuto per raggiungere grandi risultati. Artefice di questi principi è l’allenatore dei gialloblù, Osvaldo Bagnoli. Cresciuto a La Bovisa, quartiere a nord di Milano, Bagnoli rappresenta i valori tipici della classe lavoratrice: umiltà, lealtà e dedizione al lavoro. Caratteristiche umane che trasmette ai suoi giocatori: il Verona è una squadra in cui tutti danno il massimo, aiutano i compagni e sono ben disposti al sacrificio. Un gruppo unito guidato da un allenatore paterno, un uomo leale e disposto a tutto pur di proteggere i suoi ragazzi. Anche per questo sarà amato follemente da squadra e tifosi.

L’Hellas di Bagnoli si dispone con un 5-3-2 estremamente all’avanguardia per i tempi, dove la marcatura a uomo si alterna con un primo prototipo di calcio a zona. La squadra è una miscela di giocatori perfettamente assortita, in cui il motore è la voglia di rivalsa che anima, per motivi differenti, alcuni degli interpreti. Tre degli elementi principali dell’undici titolare sono componenti ormai storici della rosa, che hanno contribuito alla promozione dalla B due anni prima: Claudio Garella, portiere atipico che ama parare con i piedi e che sarà uno dei grandi protagonisti dell’impresa gialloblù, Roberto Tricella, libero e capitano, nato a Cernusco sul Naviglio come uno dei più grandi interpreti del ruolo, quel Gaetano Scirea di cui prenderà il posto alla Juventus qualche anno più tardi, e Antonio Di Gennaro, regista e mente della squadra.

A questi si aggiungono una serie di calciatori reduci da un fallimento in una big e a caccia di rilancio. Negli anni precedenti sono stati acquistati dalla Juventus Pierino Fanna, esterno offensivo e vero polmone della squadra, e Giuseppe Galderisi detto Nanu, attaccante rapido che era stato titolare nei bianconeri all’inizio del decennio, prima dell’arrivo di Paolo Rossi. Oltre a loro, dalla Roma è arrivato il terzino sinistro Luciano Marangon e dalla Fiorentina il centrocampista Luigi Sacchetti. A nobilitare un’ossatura italiana di buon livello, la dirigenza riscatta gli errori delle precedenti stagioni e porta in Italia due stranieri che finalmente possano permettere alla squadra di fare il salto di qualità: il colosso della nazionale tedesca Hans-Peter Briegel, terzino sinistro che Bagnoli adatterà a centrocampo, e l’attaccante Preben Elkjær Larsen, scovato nel campionato belga e considerato il perfetto partner d’attacco di Galderisi.

Ma una buona rosa, si sa, non sempre è sufficiente, un campionato è fatto di mille momenti diversi, tantissimi piccoli campionati che si succedono nell’arco della stagione e che variano tra loro in base allo stato psicofisico delle squadre. Il campionato 1984-85 sarà lungo, difficile e caratterizzato da un vuoto di potere all’interno del quale l’Hellas Verona saprà inserirsi, mantenendo fino alla fine la freddezza necessaria a evitare gli ostacoli che potrebbero spegnere il sogno gialloblù. La cavalcata degli uomini di Bagnoli può essere riassunta in sei momenti chiave, sei partite epiche che rappresentano alla perfezione la portata storica di quest’impresa.

 

L’esordio perfetto: Verona-Napoli 3-1, 1a giornata

Il 16 settembre 1984, allo Stadio Bentegodi, i gialloblù sembrano quasi degli spettatori casuali, degli imbucati alla grande festa dell’esordio italiano di Maradona, su cui erano puntati gli occhi del mondo. Anche alla luce dell’aura che gravita attorno alla nuova star del campionato, in molti si aspettano che la partita venga risolta proprio dal Pibe de Oro. Ma non sarà così.

Il campione argentino trova sulla sua strada un calciatore arcigno come Briegel, che riesce letteralmente ad annullarlo. Il tedesco, peraltro, è l’autore del gol di testa che sblocca la partita e il campionato degli scaligeri. Sulle ali dell’entusiasmo, l’Hellas raddoppia al 32’ con Galderisi e, dopo il gol di Daniel Bertoni con cui gli azzurri accorciano le distanze, è Di Gennaro, anche lui di testa, a chiudere la partita per il Verona. I ragazzi di Bagnoli lanciano un chiaro segnale: uscire indenni dal Bentegodi non sarà facile per nessuno.

 

La vendetta degli ex: Verona-Juventus 2-0, 5a giornata

Il 14 ottobre a Verona arriva la Juventus. I bianconeri sono stati autori di una falsa partenza, vincendo solo uno dei primi quattro match, mentre l’Hellas è a sorpresa in testa alla classifica, con tre vittorie nelle prime quattro partite e un solo pareggio al Meazza contro l’Inter, griffato dalle parate di un super Garella. Contro la squadra di Giovanni Trapattoni si abbatte la vendetta di due ex, Pierino Fanna e Nanu Galderisi, che insieme confezionano il gol del vantaggio gialloblù: cross da destra del primo e colpo di testa del piccolo attaccante sul secondo palo, con il portiere juventino Stefano Tacconi autore di un’uscita scellerata.

Esistono poi momenti in cui tutto gira per il meglio e nell’aria si respira qualcosa di diverso, come se stesse per accadere qualcosa di straordinario. Ed è proprio quello che succede al minuto 81: Elkjær riceve un pallone lungo sulla trequarti e parte, ad ampie falcate, con una delle sue classiche fughe palla al piede. Nessuno dei difensori juventini è in grado di stargli dietro. L’ultimo baluardo bianconero è Luciano Favero, che prova un intervento disperato sull’attaccante danese lanciato a rete, riuscendo solo a togliergli lo scarpino. Imperterrito, Elkjær continua per la sua strada e, senza scarpa, batte comunque Tacconi con un rasoterra sul secondo palo. Un gol pazzesco e impossibile anche solo da pensare, considerato da tutti i tifosi come il vero turning point della stagione gialloblù: l’Hellas c’è, è forte e può sognare.

La sintesi di Verona-Juventus con tanto di gol senza scarpa di Elkjær 

 

Più forti di tutto: Torino-Verona 1-2, 10a giornata

Alla decima giornata il Verona affronta una delle trasferte più ostiche del campionato, facendo visita al Torino secondo in classifica. I granata allenati da Gigi Radice, condottiero dell’ultimo scudetto, sono in un ottimo stato di forma, guidati a centrocampo dalle geometrie del campione brasiliano Júnior e in attacco dalla forza fisica di Serena. L’Hellas invece viene da uno 0-0 casalingo contro la rampante Sampdoria e deve affrontare questo match fondamentale senza la sua punta di diamante Elkjær, ai box a causa di un infortunio in Nazionale.

Lo stadio spinge i granata e l’arbitro sembra essere un po’ troppo clemente con i padroni di casa, come lo stesso Bagnoli farà intendere tra le righe al termine della partita. Ne esce uno spettacolo di agonismo innanzi al quale i gialloblù non si tirano mai indietro. Anzi, proprio gli scaligeri passano in vantaggio con una bomba di Briegel dal limite dell’area, prima di subire il pareggio con uno stacco di testa di Giuseppe Dossena. Nella ripresa tuttavia gli ospiti hanno la forza di riportarsi in vantaggio con un contropiede concluso chirurgicamente da Marangon. Al resto ci pensa Garella, che para in ogni modo i tentativi disperati dei granata. Il risultato viene sigillato, l’Hellas espugna Torino per 2-1. È partita la fuga.

 

Mente fredda, cuore caldo: Udinese-Verona 3-5, 18a giornata

Il Verona chiude il girone d’andata con il freno a mano tirato: l’ultima vittoria infatti risale alla dodicesima giornata, 0-1 a Roma contro la Lazio. Nelle tre partite successive l’Hellas raccoglie soltanto due pareggi – a Como e in casa con l’Atalanta – prima di perdere clamorosamente a un passo dal giro di boa, in trasferta ad Avellino. Il 2-1 maturato in Irpinia è la prima sconfitta per gli uomini di Bagnoli. Un bagno d’umiltà doloroso ma necessario, perché da quel momento il Verona riprende a giocare. I gialloblù arrivano alla terza partita del girone di ritorno dopo uno 0-0 al San Paolo contro il Napoli e una vittoria in casa con l’Ascoli capace di ridare un po’ di morale.

Ad aspettare gli scaligeri c’è il Derby del Triveneto contro l’Udinese di Zico. La partita sembra incanalarsi subito nel verso giusto, con l’Hellas che al 20’ è già in vantaggio per 3-0 con le reti di Briegel, Galderisi e Elkjær. Nel secondo tempo però i gialloblù restano con la testa negli spogliatoi e i friulani rimontano nel giro di un quarto d’ora: 3-3, tutto da rifare. A destare ulteriore preoccupazione è la classifica: i gialloblù sono tallonati dall’Inter, in risalita e distante una sola lunghezza. Un pareggio significherebbe subire l’aggancio dei nerazzurri, un’eventuale sconfitta addirittura concedere loro il sorpasso.

Ma è proprio in questo momento di sconforto che si vede l’orgoglio gialloblù, una forza mentale, prima ancora che fisica, che permette di uscire rinvigoriti dai momenti di difficoltà, quasi anomala per una provinciale partita con ben altre prospettive di classifica. L’euforia dell’Udinese infatti dura solo due minuti, fino a quando il solito Elkjær non si avventa su un pallone vagante al limite dell’area e scarica una bordata rabbiosa alle spalle dell’incolpevole Fabio Brini. Il peggio è passato. Altri due minuti e ancora Briegel, dopo una cavalcata trionfale, realizza di punta il gol che chiude la partita. L’Hellas esce vincente da una battaglia epica, la più bella del campionato, e mantiene la vetta della classifica.

Hellas Verona - Puntero

Briegel, uno dei grandi protagonisti della stagione scaligera, riceve l’abbraccio dei compagni

 

L’ultimo ostacolo: Milan-Verona 0-0, 26a giornata

Il 21 aprile 1985 il Verona fa visita al Milan. I gialloblù vengono dalla seconda sconfitta in campionato, in casa contro il Torino. Quella subita contro i granata è una débâcle dolorosa per gli uomini di Bagnoli, che vedono avvicinarsi le rivali più agguerrite – Juventus, Torino, Sampdoria e Inter – proprio alla vigilia della volata finale, quando mancano soltanto cinque partite al termine della stagione. Per non rischiare l’avvicinamento in classifica e il conseguente psicodramma, l’Hellas deve uscire indenne da San Siro.

Ne viene fuori una partita nervosa in cui il Verona quasi rinuncia ad attaccare, sfoggiando tutta la sua tenuta difensiva. L’eroe indiscusso di giornata è Garella, ormai da tempo soprannominato Garellik, un nomignolo con cui i tifosi certificano la sua aura da supereroe: il portiere torinese sventa ogni tentativo dei rossoneri e su un colpo di testa di Mark Hateley compie, con la mano di richiamo, una delle parate più iconiche del campionato. Finisce a reti bianche e l’Hellas Verona supera anche l’ultimo ostacolo. Adesso vede la meta, è vicina, il sogno sta per diventare realtà.

 

V di Verona, V di Vittoria: Atalanta-Verona 1-1, 29a giornata: è scudetto

12 maggio 1985. Il giorno della verità. A Bergamo va in scena la partita più importante della storia gialloblù: al Verona basta un pareggio per laurearsi matematicamente Campione d’Italia. Lo stadio è gremito, la città in fermento. Piazza Bra, il cuore di Verona, è inondata di persone che ascoltano sotto la pioggia la telecronaca di Roberto Puliero, storico telecronista e tifoso gialloblù. I bergamaschi vanno in vantaggio con Eugenio Perico ma a inizio secondo tempo vengono raggiunti da un gol in mischia del solito Preben Elkjær Larsen, il Sindaco, probabilmente il calciatore che più ha saputo incidere nei momenti clou, quelli in cui il pallone scotta. Al triplice fischio si scatena la festa. La città è invasa di bandiere gialloblù con il tricolore e il numero uno stampato sopra. L’Hellas Verona è Campione d’Italia.

Per capire realmente la portata di questa impresa bisogna guardarla con gli occhi della modernità. Ancora oggi, a trentanove anni di distanza, il Verona rimane l’unica provinciale ad aver mai vinto uno scudetto da quando la Serie A è a girone unico. Altre squadre hanno sognato e ci hanno provato, su tutte il Parma negli anni ’90, ma nessuna di loro ha mai saputo unire la bontà della rosa a quella tenacia necessaria a tenere i nervi saldi fino all’ultimo e portare a casa l’impresa. È per questo che i nomi di quell’indimenticabile undici gialloblù, come quello del loro allenatore, rimarranno per sempre scolpiti nella storia del calcio italiano.

 


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Di Nicolò Panato

Laureato in Comunicazione e a breve in Marketing. Sono cresciuto a pane e calcio. Racconto storie di vita che si intrecciano col mondo dello sport.