Calcio

Mario Forlivesi, il Re di Roma mai incoronato

Roma è una città fortemente affezionata alle proprie tradizioni e alla propria storia gloriosa e secolare. E il tema dei re non fa eccezione, un argomento affascinante e al tempo stesso capace di creare dibattiti. Ad esempio la famosa leggenda dei sette Re di Roma si scontra con le analisi storiche che parlano di un’età regia durata 244 anni, decisamente troppi per soli sette re. Il popolo romano, in particolare quello romanista, ha spesso accostato i propri idoli calcistici alle figure dell’antica monarchia, insignendone alcuni con l’appellativo di Ottavo Re di Roma. Un onore che purtroppo non è spettato a Mario Forlivesi, il protagonista di questo racconto, a causa del peggiore degli ostacoli: la sfortuna.

 

Essere re, tra magnificenza e fedeltà

Ci sono vari motivi per amare un sovrano, sia esso capace di donare opulenza al suo popolo o di risollevarlo dalla miseria. Nel giro di appena dieci anni, la Roma giallorossa ha vissuto entrambe queste situazioni, passando dalla gioia più grande al momento più buio e riconoscendo come guida due calciatori estremamente significativi per la sua storia.

Il primo giallorosso ad essere soprannominato Ottavo Re di Roma è stato Amedeo Amadei: noto anche come Fornaretto in quanto membro di una famiglia di fornai di Frascati, Amadei trascina la Roma al suo primo scudetto nel 1942, con 18 gol realizzati in quella che è la quinta delle sue dodici stagioni da simbolo dei lupacchiotti.

Una storia d’amore che ha vissuto momenti difficili: nella stagione 1942-43, anno successivo allo scudetto, il Fornaretto è protagonista di un controverso episodio quando al mitico Filadelfia di Torino si gioca la semifinale di Coppa Italia tra i giallorossi e i granata, che l’anno prima avevano conteso il titolo alla Roma. Franco Ossola trova un gol irregolare ma convalidato, circostanza che fa nascere un parapiglia in cui un calciatore della Roma colpisce il guardalinee con un calcio. L’arbitro Achille Pizziolo non vede nulla e nessuno si fa avanti, così si decide di “punirne uno per educarne cento”: visto che Amadei è il capitano sarà lui a pagare con la squalifica a vita, che verrà solo in seguito annullata, quando il compagno di squadra Vittorio Dagianti confesserà all’arbitro di essere lui il colpevole.

L’ultimo spigoloso capitolo di questa lunga storia è il momento in cui, a causa dei debiti societari, Amadei viene ceduto all’Inter per fare cassa nel 1948. Un addio che addolora l’Ottavo Re di Roma al punto da fargli successivamente dichiarare:

Quando passai all’Inter e poi al Napoli, misi subito le cose in chiaro: il giorno che incontreremo la Roma io non giocherò, dovesse pur essere una partita decisiva per lo scudetto. Non potete pretendere che io pugnali mia madre.

Una promessa invero non rispettata sino in fondo. Sebbene lui stesso abbia rivelato che al primo rendez-vous con il suo grande amore avesse reso ben al di sotto delle aspettative, Amadei giocherà più volte contro la Roma, segnandole perfino due gol, uno con la maglia dell’Inter e uno con quella del Napoli.

Proprio nel 1948, in un ideale passaggio di testimone, esordisce in giallorosso quello che nell’animo del popolo romanista può dirsi il suo successore, che non è arrivato a meritarsi l’appellativo di “re” ma comunque è stato capace di trovare un posto nel cuore della tifoseria giallorossa. Si tratta di Arcadio Venturi, mediano vecchio stampo e come tale meno avvezzo a finire sui tabellini, a differenza di Amadei. La sua operosità lo rende un idolo per la propria gente ma ancora di più contribuisce la sua fedeltà alla causa: nonostante sia nel giro della Nazionale azzurra – a tutt’oggi è il più anziano calciatore vivente ad averne vestito la casacca – non esita un momento a seguire la Roma in Serie B nel 1951, contribuendo a riportarla immediatamente nella massima serie e con ciò guadagnandosi i gradi di capitano.

In mezzo a loro avrebbe potuto e dovuto esserci un altro potenziale Re di Roma, Mario Forlivesi. Se solo il destino non gli avesse voltato le spalle.

Amadei, l’originale “Ottavo Re di Roma” a segno con la casacca giallorossa

 

Media non replicabile

1,12. Tre cifre che nascondono un record e soprattutto un rimpianto. Mario Forlivesi nasce a Roma il 5 febbraio 1927, lo stesso anno in cui la Roma è stata fondata. Il padre Remo Forlivesi è stato un atleta a tutto tondo, tanto da districarsi in più discipline e iscriversi ad una polisportiva fin da ragazzino. Ironia della sorte, quella polisportiva non è una società come le altre: si chiama S.S. Lazio. Remo Forlivesi andava fortissimo in vasca e si distinse prima nel nuoto e poi nella pallanuoto. Ma siccome con le mani era molto bravo, la Lazio aveva deciso di utilizzarlo anche come portiere, principalmente nella squadra riserve ma anche come dodicesimo della squadra di calcio.

Figlio di un portiere della Lazio, Forlivesi inizia sin da giovane a ribaltare la storia, quando si iscrive al settore giovanile della Fortitudo per fare l’attaccante. Non una squadra banale, perché si tratta di una società attiva solo come settore giovanile a partire dal 1927, anno in cui viene assorbita in quella che sarà l’A.S. Roma. Nei fatti, il settore giovanile della Fortitudo funziona da squadra Primavera dei giallorossi e il destino del giovane attaccante è scritto: il concetto “di padre in figlio” si ribalta radicalmente, la famiglia Forlivesi passa dal portiere della Lazio all’attaccante della Roma, fino ad arrivare al momento in cui, a 16 anni, Mario si affaccia in prima squadra per giocare con la Roma dei grandi.

Lo scenario in cui questo giovane ragazzo entra in prima squadra è diverso dal solito: la Serie A è ferma per le ostilità belliche della Seconda guerra mondiale e la competizione nel 1944 e 1945 è limitata al cosiddetto campionato di guerra, che si disputa a livello regionale fino ad arrivare ad una fase interregionale moncata dalle decisioni federali, che impediscono ad alcuni gironi regionali di qualificare le loro vincitrici alla fase successiva e di fatto sono alla base del mancato riconoscimento allo Spezia dello scudetto del 1945, ancora oggi invocato.

Vuoi per le assenze di alcuni giocatori impegnati al fronte, vuoi soprattutto per la già menzionata squalifica di Amadei, a Forlivesi si aprono le porte della prima squadra giallorossa. L’esordio di Mariuccio arriva nel corso del campionato romano di guerra del 1943-44, che si chiuderà con il successo dei rivali della Lazio, finiti a +1 sui giallorossi. Il campionato consta di 10 squadre, per un totale di 18 turni di campionato e la prima volta di Forlivesi arriva nel corso della settima giornata. In campo c’è una Roma menomata, come la definisce il Corriere dello Sport, tanto da far partire titolari alcuni ragazzi delle giovanili.

La data è il 15 gennaio 1944 e l’avversario di turno è l’Avia, squadra che galleggia a metà classifica. Timido nella vita ma non in campo, è proprio Forlivesi a sbloccare l’incontro, che i giallorossi vinceranno 2-0. Passano solo otto giorni, innanzi alla Roma si parano i biancoverdi dell’Alba Roma, un’altra delle società alla base della fusione che ha originato proprio l’A.S. Roma e che è stata successivamente rifondata. Quando il match è ancora in bilico sul 2-1, ecco che si scatena Mariuccio: doppietta e 5-2 finale. La nona giornata invece si gioca quasi un mese più tardi, il 20 febbraio. Ma questo ragazzo di 17 anni non è arrugginito e segna il gol che chiude la contesa sul 2-0 contro i Vigili del Fuoco di Roma.

Alla fine del campionato, come detto, è la Lazio a trionfare ma per Forlivesi si chiude una stagione d’esordio memorabile, con 7 presenze e 8 gol, grazie alla tripletta segnata al Trastevere e al gol realizzato nel pareggio contro il M.A.T.E.R. Un bottino che nel campionato 1944-45 diventerà di 8 presenze e 9 gol, media di 1,12 centri a partita, la più alta mai fatta da registrare da un calciatore della Roma in 97 anni di storia.

 

Dolore che sconfigge la gloria

È il 1945, spirano ancora venti di guerra ma con un’intensità decisamente inferiore. L’Asse sta capitolando, i dittatori sono indeboliti e si inizia a vedere la luce, che in Italia avrà la data del 25 aprile. La guerra porta preoccupazioni e distruzione sia durante che appena dopo la sua fine. Ma quando la pressione si allenta si può riprendere a pensare a qualche argomento più frivolo come il calcio. Che poi, a pensarci bene, così frivolo non è, tanto da essere utilizzato come occasione di svago sia in Italia che negli altri paesi coinvolti nel conflitto, con la creazione di campionati di guerra per permettere al popolo di assaggiare una parvenza di normalità.

La tifoseria giallorossa inizia a guardare al futuro dei suoi beniamini con ottimismo, anche perché la squalifica di Amadei è stata sospesa e sarà cancellata di lì a poco con un’amnistia. E la coppia Amadei-Forlivesi fa sognare un ritorno ai fasti pre-bellici, culminati con il primo tricolore. Così non andrà e i fasti resteranno ben lontani, perché purtroppo quella coppia non si vedrà mai. Ma nell’estate del 1944 a infiammare la rivalità cittadina c’è il grande confronto tra il centravanti laziale Alfredo Rega e quello giallorosso Forlivesi, entrambi 17enni e protagonisti del campionato romano di guerra appena concluso.

Poco prima dell’inizio della stagione Forlivesi viene provato in alcune amichevoli, sempre tenuto conto che è ancora un ragazzo delle giovanili. Ma anche nei match precampionato Mariuccio stupisce, segnando 4 gol in 3 partite. In campionato però non vede il campo, circostanza motivata dall’assenza di sostituzioni dell’epoca e anche da non meglio precisati problemi fisici. Come nella stagione precedente, il suo primo gettone arriva alla settima giornata contro il Trastevere. I giallorossi sono primi in classifica ma le condizioni fisiche del fresco 18enne preoccupano, tanto che il Corriere dello Sport riferisce:

Forlivesi si è rimesso ultimamente da una bronchite che l’ha tenuto a letto per parecchi giorni. Ma il ragazzo è bene allenato e gode la piena fiducia dei dirigenti della Roma.

La preoccupazione non è ad ampio raggio: l’11 marzo 1945 la Roma vince 2-0, match sbloccato da Forlivesi. Quanto scritto dal quotidiano romano però non corrisponde a verità, non per il fatto che Mariuccio non fosse stato male ma per la tipologia di malattia. Non è una bronchite ad averlo fermato ma una cosa ben più grave: una meningite. Anche se non in forma, Forlivesi non si tira indietro, scendendo in campo e segnando contro il Trastevere per quella che purtroppo si rivelerà la sua ultima partita.

Nel giro di pochi giorni le sue condizioni si aggravano: un giorno, dopo aver giocato con alcuni amici del quartiere Prati, Mario e la cugina Vilma rientrano a casa di quest’ultima. Alla porta Forlivesi arriva cianotico e affaticato, i familiari lo portano a letto e ad accudirlo ci pensa Luciana, sorella maggiore di Vilma.

La sera del 29 marzo 1945, l’attaccante giallorosso chiede alla cugina un favore: Luciana è bravissima coi dolci e Mariuccio vorrebbe uno dei suoi bomboloni alla crema che tuttavia non riuscirà ad assaggiare. Quando la cugina torna nella stanza, Forlivesi se n’è già andato. Un ragazzo strappato alla vita a 18 anni, un potenziale futuro Re di Roma che non avrà mai modo di indossare la sua corona. Al suo funerale presenzieranno Roma e Lazio al completo tributandogli un momento di quella gloria che il suo talento avrebbe meritato gli venisse riconosciuta grazie alle gesta in campo.

Il ricordo di Forlivesi sulla sua lapide al Verano, poco distante da quella di Attilio Ferraris IV, primo capitano della storia giallorossa

 


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Manuel Fanciulli

Laureato in giurisprudenza e padre di due bambini, scrivo di sport, di coppe e racconto storie hipster. Cerco le risposte alle grandi domande della vita nei viaggi e nei giovedì di Conference League.

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