La cittadinanza è un miraggio: così l’Italia si lascia scappare i talenti

Cittadinanza Calcio - Puntero

Le politiche di ottenimento della cittadinanza nei paesi europei hanno un impatto significativo su tantissimi aspetti della società e, in quanto parte dell’organismo sociale, questi effetti si riverberano sul calcio, influenzando la composizione delle squadre nazionali, la mobilità dei giocatori e, in maniera più ampia, l’integrazione delle comunità immigrate. In questo articolo, esamineremo come tali politiche operano in Italia, Germania, Spagna, Francia e Inghilterra, mettendo in luce le differenze e i loro effetti sugli esiti della guerra silenziosa che da anni si consuma tra le federazioni europee per la corsa ai talenti.

Anche a Euro2024 è stato possibile vedere all’opera alcune Nazionali composte da calciatori nati fuori dai Paesi che rappresentano e questo, oltre a riflettere la crescente multiculturalità della società, apre a una riflessione sul rapporto tra cittadinanza e sport.

 

Italia

In Italia la legge sulla cittadinanza è regolata principalmente dallo ius sanguinis (diritto di sangue). Il combinato disposto di questo principio e della legge Bossi-Fini, che tuttora disciplina l’immigrazione nel nostro Paese, rende la cittadinanza italiana una delle più complicate da ottenere. Un individuo ottiene la cittadinanza italiana attraverso la discendenza da cittadini italiani o, se adulto, attraverso la residenza legale e continuativa per almeno dieci anni. Come il caso di Mario Balotelli – nato sul territorio italiano da cittadini stranieri – ci ha insegnato, per un minore la cittadinanza scatta invece solo al compimento del diciottesimo anno d’età.

Nel calcio, questa politica ha avuto un effetto limitante sulla possibilità di includere giocatori di origine straniera nelle selezioni nazionali. Molti giovani talenti, sebbene nati o cresciuti in Italia ma da genitori che non abbiano ottenuto la cittadinanza, devono aspettare diversi anni prima di poter rappresentare l’Italia nelle competizioni internazionali e questo fa correre alla Federazione il rischio di vedersi soffiare gli atleti da altre “rivali”.

Il meccanismo dello ius sanguinins ha però garantito all’Italia una sequela di cosiddetti oriundi, ossia persone nate ovunque nel mondo ma di discendenza italiana. Fino ad oggi l’Italia, da Ermanno Aebi fino a Mateo Retegui, ha potuto contare su 54 giocatori nati tra Argentina, Brasile, Paraguay, Scozia, Sudafrica, Svizzera e Uruguay e diventati cittadini italiani grazie ad un parente più o meno stretto partito dallo Stivale alla volta di quei paesi.

 

Germania

La Germania ha una politica di cittadinanza più flessibile rispetto all’Italia. Dal 2000, il Paese affianca allo ius sanguinis una forma limitata di ius soli (diritto di suolo), che permette ai bambini nati in Germania da genitori stranieri di acquisire la cittadinanza tedesca se almeno uno dei genitori ha risieduto legalmente nel Paese per almeno otto anni. Inoltre, la cittadinanza può essere ottenuta dopo otto anni di residenza continuativa grazie all’istituto della naturalizzazione. Per accedere tramite il suddetto istituto alla cittadinanza è necessario, oltre ad avere un adeguato livello di tedesco scritto e parlato, sostenere un test che dimostra di avere conoscenze sufficienti dell’ordinamento giuridico e sociale nonché delle condizioni di vita in Germania. Questo naturalmente significa che un immigrato in possesso dei requisiti, nella peggiore delle ipotesi, vedrà i suoi figli accedere ai privilegi della cittadinanza entro il secondo anno di scuola.

Le politiche tedesche di questo millennio hanno favorito sempre di più l’inclusione di giocatori di origine straniera in Nazionale. Esempi emblematici dello scorso ciclo sono Mesut Özil e Jérôme Boateng, mentre oggi ci sono giocatori come Jonathan Tah, Antonio Rüdiger, Emre Can e Leroy Sané. La rappresentanza di giocatori originari del continente africano non deve stupire in quanto anche la Germania ha un passato coloniale e un presente sportivo neo-coloniale che è andato raffinandosi. Se fino ai primi anni 2000 il traffico di talenti era così selvaggio da costringere la FIFA a intervenire, oggi i talenti si controllano direttamente sul posto, grazie a scuole calcio più o meno direttamente coordinate dai club o dalla Federazione, alle quali si affiancano le scuole calcio degli ex calciatori che lavorano con il preciso scopo di produrre talento da vendere sul mercato europeo.

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Figlio di padre naturalizzato e madre della Sierra Leone, oggi Rüdiger è uno dei migliori difensori al mondo

 

Spagna

La Spagna adotta una combinazione di ius sanguinis e ius soli con condizioni piuttosto favorevoli per gli immigrati, specialmente quelli provenienti dai paesi dell’America Latina o da Andorra, Filippine, Guinea Equatoriale e Portogallo. Per gli adulti stranieri, la naturalizzazione richiede una residenza legale e continua di dieci anni ma questo periodo è ridotto a due anni per i cittadini provenienti da uno degli Stati sopra menzionati. Questi, inoltre, non sono costretti a rinunciare alla loro precedente cittadinanza per accedere a quella spagnola. Per alcune procedure di naturalizzazione “speciali”, come ad esempio quella che ha reso Robin Le Normand un cittadino spagnolo, è possibile un intervento diretto del Consiglio dei Ministri.

Sul tavolo della politica spagnola è arrivata anche la questione legata ai sahrawi. È stato infatti depositato da Unidas Podemos un disegno di legge per concedere la nazionalità spagnola tramite naturalizzazione ai sahrawi nati prima del 26 febbraio 1976 (data in cui questa la porzione di Sahara occidentale ha smesso di essere territorio spagnolo) e, previa naturalizzazione entro cinque anni, ai loro discendenti.

Nel contesto calcistico, questa politica ha facilitato l’acquisizione della cittadinanza spagnola da parte di molti giocatori provenienti dalle aree “privilegiate”, arricchendo la Liga e la Nazionale di talenti. Un processo anche in questo caso legato al passato coloniale della nazione iberica, più orientato al continente americano che a quello africano. Il risultato però è il medesimo e tantissimo talento viene drenato verso il campionato e le selezioni spagnole a svantaggio dei Paesi di origine. A differenza delle politiche attuate verso l’Africa, col continente americano non esiste quel rapporto, per quanto sbilanciato a favore dell’Europa, dove a fronte del talento importato si esportano tecnici e conoscenza.

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Il gol contro la Francia è valso la definitiva consacrazione a Lamine Yamal. Per le leggi italiane non potrebbe essere neanche convocato in Nazionale

 

Francia

La Francia è nota per la sua politica di ius soli, che permette ai bambini nati in Francia da genitori stranieri di acquisire la cittadinanza. Inoltre, gli adulti stranieri possono ottenere la cittadinanza attraverso la naturalizzazione dopo cinque anni di residenza legale. Questa politica inclusiva che favorisce l’immigrazione ha avuto un impatto significativo sul calcio francese rivelandosi in ambito sportivo uno strumento estremamente aggressivo ed espansivo. La Francia esprime una quantità enorme di talento nelle proprie selezioni grazie all’estrema facilità con la quale i giovani possono diventare cittadini francesi. Su tutti, ovviamente, Kylian Mbappé. Figlio di genitori camerunensi e algerini, è francese dalla nascita essendo nato a Parigi e oggi è capitano della Nazionale.

La Federazione francese ha ben chiaro cosa implichi il prodotto di questi fattori e il filo che lega ancora la nazione di Napoleone al continente africano. All’INF di Clairefontaine crescono i talenti che arrivano da ogni parte della Francia e del mondo e il gioco, del quale la FFF è maestra, è sempre il solito. Si istituiscono collaborazioni tecniche con i paesi dai quali si drena talento e si manda loro personale tecnico e strutture dove far fare calcio agli abitanti locali col vantaggio ulteriore di avere un occhio sempre aperto sullo sviluppo dei giocatori di quell’area.

 

Inghilterra

Il sistema di cittadinanza del Regno Unito è basato su una combinazione di ius sanguinis e naturalizzazione. La cittadinanza può essere ottenuta attraverso la nascita, la discendenza o la naturalizzazione dopo cinque anni di residenza legale continua, con ulteriori requisiti di presenza fisica e conoscenza della lingua inglese.

Nel calcio questa politica ha permesso l’inclusione di giocatori di diverse origini etniche e nazionali ma anche la grande mobilità tra federazioni. L’ultimo grande caso è stato quello di Declan Rice che, sebbene abbia rappresentato a livello giovanile la selezione irlandese, ha deciso di proseguire la sua carriera senior giocando per i Tre Leoni. La Premier League è sicuramente uno dei campionati più competitivi e globalizzati grazie a due fattori: le enormi risorse economiche che permettono alle sue squadre di acquistare qualunque giocatore vogliano e la vastissima rete del Commonwealth, che consente l’accesso alla cittadinanza britannica e il connesso arrivo in Inghilterra con grande facilità. La combinazione di questi fattori ha permesso la rapida integrazione di giocatori come Bukayo Saha, Marc Guéhi, Ezri Konsa e Kobbie Mainoo.

 

Rapporto tra calcio e politiche di cittadinanza

Le politiche di ottenimento della cittadinanza influenzano profondamente il panorama calcistico dei paesi europei e portano a una guerra silenziosa tra le più grandi federazioni per accaparrarsi i talenti, sempre a discapito dei paesi di origine, che a loro volta possono contare solo su quei giocatori ai quali, per diversi motivi, non viene concessa una possibilità con le nazionali maggiori dei paesi dei quali acquisiscono la cittadinanza. Da questi scenari di largo respiro resta un po’ tagliata fuori l’Italia, non per ragioni di etica ma a causa di una legislazione in materia di cittadinanza scritta per essere il più punitiva possibile.

Ovviamente queste politiche aggressive sono causate dall’enorme potere economico dei club e delle Federazioni europee che perpetuano il proprio potere su tutto il mondo agonistico, soffocando sul nascere ogni velleità di affermazione di campionati o movimenti lontani dal proprio controllo.

 


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