Per entrare nel cuore dei tifosi non occorre necessariamente alzare una coppa: nei primi anni ’90 c’è stato un personaggio che sollevando un altro oggetto si è guadagnato l’immortalità. Il 13 maggio del 1992 un baffuto allenatore di nome Emiliano Mondonico, in perfetto equilibrio tra protesta e spiccata ironia dopo un rigore negato, si lasciò andare a un simpatico quanto inatteso show, alzando al cielo di Amsterdam una sedia che sostituiva la classica panchina a bordo campo. Recentemente abbiamo visto la stessa scena, seppur mossa da diverse motivazioni, grazie a David Alaba ed Éder Militão che al termine di alcune partite di Champions League hanno sollevato una sedia bianca con l’obiettivo di proseguire una scaramanzia nata dopo un’epica rimonta contro il PSG.
Quella sedia è il simbolo di chi tifa contro tutto e tutti. È il simbolo di chi non ci sta e reagisce con i mezzi che ha a disposizione. È un simbolo del Toro perché non è un fucile, è un’arma da osteria.
Tra campo e panchina
Dalla Trattoria del Ponte Vecchio di Rivolta d’Adda alla finale di Coppa UEFA del 1992 passando per le vicine Cremona e Bergamo: ne ha fatta di strada Emi.
Il pallone è sempre stato mio amico. Vivevo in una fattoria in riva al fiume lontano dal paese e i miei genitori erano obbligati a servire i clienti. Da ragazzino prendevo il pallone sotto braccio e con i miei 15 cagnolini andavo in mezzo al bosco dove le piante erano gli avversari che dribblavo.
Classe 1947, dopo i primi calci alla Rivoltana, la squadra del suo paese, inizia e conclude la carriera nel calcio professionistico con la Cremonese, formazione di cui detiene ancora oggi il primato di reti segnate (88 tra Serie B e C), giocando anche per il Monza, il Torino e l’Atalanta. Dal campo alla panchina il passo è breve, sempre partendo dalla sua Cremonese, con cui conquista la prima delle cinque promozioni in Serie A che daranno pregio al suo palmarès. La seconda invece viene centrata con l’Atalanta, club con il quale si rende protagonista di un’autentica impresa, guidando i bergamaschi – durante la loro militanza in Serie B – alle semifinali di Coppa delle Coppe del 1988. Prima della vittoria in Europa League a maggio, era quello il punto più alto raggiunto in Europa dalla Dea.
Arrivati un po’ per caso nella competizione, dopo un’incredibile retrocessione e grazie al ruolo di finalista sconfitta in Coppa Italia al cospetto del Napoli vincitore dello Scudetto, gli orobici guidati da Mondonico hanno a disposizione una rosa di primo livello per la cadetteria, che vanta tra gli altri Ottorino Piotti in porta, i bergamaschi Costanzio Barcella e Valter Bonacina, l’ex juventino Cesare Prandelli ma, soprattutto, lo svedese Glenn Strömberg e il bomber Oliviero Garlini, appena acquistato dall’Inter.
E i ragazzi del Mondo, dopo una partenza lenta, iniziano gradualmente a mietere vittime. Ai sedicesimi di finale tocca ai gallesi del Merthyr Tydfil: dopo la sconfitta per 2-1 in trasferta, al Comunale di Bergamo ecco la rimonta con un 2-0 firmato da Garlini e dal compagno di reparto Aldo Cantarutti. Anche con i greci dell’OFI Creta serve una rimonta: sconfitta per 1-0 nell’isola ellenica, altro 2-0 in casa, con gol di Eligio Nicolini e ancora Garlini. Un risultato che in primavera viene replicato nell’andata dei quarti di finale contro lo Sporting Lisbona grazie ai centri proprio di Nicolini su rigore e di Cantarutti, prima dell’1-1 nella capitale portoghese. Sarà il Malines, futuro vincitore della competizione, a interrompere il cammino con un doppio 2-1 nonostante l’illusione per il momentaneo vantaggio di Garlini su rigore al ritorno.
Il gran salto per il Mondo avviene nel 1990, con l’approdo sulla panchina granata: quattro stagioni con ottimi risultati, tra cui la vittoria della Mitropa Cup nel 1991 e della Coppa Italia nel 1993 al termine di una doppia finale al cardiopalma contro la Roma. Tante panchine e una sedia. E anche tanta passione, visto che secondo i suoi compaesani ha sempre allenato in qualunque contesto, anche nelle partite dei bambini all’oratorio o al torneo dei bar del paese, con lo stesso impegno profuso nelle domeniche di Serie A.
I gol dell’Atalanta nell’avventura in Coppa delle Coppe
La magica cavalcata europea
La stagione 1991-92 è la più esaltante all’ombra della Mole: un brillante terzo posto ma soprattutto la finale di Coppa UEFA, in cui il Torino esce sconfitto dal doppio confronto pur senza perdere, con tre pali colpiti nel match di ritorno e la regola del gol in trasferta a premiare gli olandesi dell’Ajax in virtù del 2-2 dell’andata al Delle Alpi. Il buon quinto posto della stagione 1990-1991 è il passepartout per la qualificazione in UEFA oltre che il simbolo di un’annata positiva in cui i granata arrivano addirittura davanti ai cugini della Juventus, settimi in campionato. Celebre la frase del mister prima di un derby di quella stagione:
Noi siamo gli indiani contro i cowboys, chissà che una volta gli indiani non vincano la loro battaglia.
Il cammino in coppa è esaltante fin dai trentaduesimi di finale, con un complessivo 8-1 ai danni dei malcapitati islandesi del KR Reykjavík: in gol vanno praticamente tutti, dai difensori Roberto Mussi ed Enrico Annoni fino ad arrivare al panchinaro Giuseppe Carillo, già autore del gol decisivo al 119′ nella finale di Mitropa Cup contro il Pisa l’anno precedente. Ai sedicesimi di finale è la volta del Boavista, sconfitto 2-0 in casa prima di amministrare con un placido 0-0 in Portogallo, quindi tocca all’AEK Atene, domato da Wálter Casagrande, e ai danesi del B 1903, con la qualificazione alle semifinali ipotecata già dopo l’andata in Danimarca – 2-0 targato ancora Casagrande e Roberto Policano – e poi suggellata con un 1-0 al Delle Alpi.
Ma soprattutto è memorabile il doppio confronto in semifinale contro il fortissimo Real Madrid, vincitore al Bernabeu per 2-1 con i gol di Hagi e Hierro a ribaltare il momentaneo vantaggio di Casagrande. I granata centrano l’impresa vincendo in casa per 2-0 grazie ad un autogol del brasiliano Ricardo Rocha in apertura e, dopo un’azione in solitaria di Gigi Lentini, al sigillo finale di Luca Fusi, prezioso mediano che ha vestito in carriera anche le maglie di Sampdoria, Napoli e Juventus in alcune delle loro stagioni vincenti. Oltre a Fusi, un altro “gregario” è protagonista dell’incontro: si tratta di Pasquale Bruno, stopper vecchio stile dalle maniere tutt’altro che urbane, che annulla un cliente scomodissimo come l’attaccante spagnolo Emilio Butragueño. Una grande impresa valsa una storica finale.
La grande impresa granata contro il Real Madrid
Due partite per la gloria
Ad opporsi ai granata è l’Ajax, che a sua volta in semifinale ha eliminato il Genoa di Osvaldo Bagnoli e Pato Aguilera e negato il terzo derby italiano consecutivo in finale di Coppa UEFA, un epilogo che avrebbe avuto dell’incredibile. All’andata allo Stadio Delle Alpi il match, come detto, si conclude con un pareggio per 2-2, grazie alla doppietta con cui Casagrande pareggia due volte i conti, dopo il momentaneo 0-1 di Wim Jonk e l’1-2 firmato su rigore dall’attaccante svedese Stefan Petterson. Si decide tutto al ritorno: i lancieri di un rampante Louis van Gaal sono una squadra temibile, che sta vivendo un ciclo vincente in Europa e vanta in rosa calciatori del calibro di Dennis Bergkamp, Jonk, Bryan Roy e Michel Kreek.
Il Toro dal canto suo risponde con Luca Marchegiani in porta, una difesa composta da Roberto Cravero libero, Silvano Benedetti stopper e Mussi e Policano rispettivamente terzino destro e sinistro. A centrocampo Fusi mediano, accompagnato dalla classe di Vincenzo Scifo, dall’eleganza dello spagnolo Martín Vázquez, dal dinamismo di Giorgio Venturin e dalla potenza di Lentini. Attacco affidato al bomber italo-brasiliano Casagrande, ex Porto e Ascoli. In panchina, anzi sulle sedie, con il Baffo ci sono il secondo portiere Raffaele Di Fusco, Gianluca Sordo, Sandro Cois, il “canterano” Giorgio Bresciani e un giovanissimo Christian Vieri. In rosa ci sarebbero anche i durissimi e arcigni difensori Tarzan Annoni – ben due gol nella manifestazione – e Bruno, entrambi squalificati dopo l’ammonizione nel match di andata.
La gara sembrerebbe destinata a non finire a reti inviolate: il Toro parte subito forte e l’Ajax, privo di Bergkamp febbricitante, gioca sulla difensiva senza sfruttare il fattore campo, sostanzialmente proteggendo il vantaggio dato dal pari con gol in trasferta dell’andata e snaturando il proprio DNA, che prevede quel calcio totale da sempre marchio di fabbrica dei lancieri. Durante novanta minuti molto combattuti il Torino colpisce addirittura tre legni: il primo con Casagrande dopo un cross dalla sinistra di Lentini, quindi con Mussi con una conclusione deviata da fuori area e infine con una girata del neo-entrato Sordo, oltre ovviamente all’episodio clou del rigore negato dal direttore di gara, lo jugoslavo Zoran Petrović, che non vede un possibile fallo in area di Frank de Boer ai danni del capitano Roberto Cravero.
È proprio dopo questo episodio che Emiliano Mondonico si sfoga a suo modo, mettendo in atto una delle scene più iconiche dell’intera storia granata, destinata a entrare nelle pinacoteche di tutti gli amanti del calcio: solleva al cielo una semplice e fatiscente sedia, che all’epoca sostituisce il classico seggiolino della panchina. Un gesto improvvisato, dettato da un mix di resa e accenno di rabbia che il buon Mondo da Rivolta d’Adda, vista la sua bontà d’animo, non riesce ad esprimere contro qualcuno ma piuttosto con qualcosa di astratto.
Una protesta pacata e silenziosa ma che passerà alla storia, non solo per il rigore non assegnato ma anche per la frustrazione del momento, per la consapevolezza di trovarsi di fronte a una partita stregata per i granata. E così il match si conclude a reti bianche, risultato che premia gli olandesi in virtù della regola dei gol in trasferta. L’Ajax, dopo la Juventus, diventa il secondo club a vincere tutte e tre le competizioni europee: prima la Coppa dei Campioni con la generazione di Johan Cruijff, poi la Coppa delle Coppe nell’era di Marco van Basten e infine la Coppa UEFA alzata al cielo da Danny Blind. A distanza di anni, Mondo dirà:
Quella partita fu un altro esempio di vita incredibile: arrivare secondi è la cosa più brutta che esista, è meglio essere eliminati al primo turno. Vai in finale, arrivi secondo e ti accorgi che non conti più niente.
La sedia al cielo e l’amarezza per il secondo posto
Le ultime esperienze tra panchina e tv
Le successive esperienze in panchina sono due graditi ritorni, conditi da altrettante promozioni in massima serie: il tragitto Bergamo-Torino andata e ritorno la fa ancora da padrone, facendo gioire nuovamente sia i tifosi atalantini che quelli granata. All’alba del terzo millennio Mondonico sconfina per la prima volta al di sotto della Linea Gotica per due esperienze piuttosto sfortunate nel Sud Italia, a Napoli e Cosenza. Nel 2004 finalmente corona il sogno della vita e viene chiamato a dirigere la squadra di cui è sempre stato tifoso, la Fiorentina, che condurrà alla promozione in Serie A dopo il fallimento di due anni prima: per il Baffo è la quinta scalata alla massima serie in carriera.
Arrivato a stagione in corso per sostituire Alberto Cavasin, Mondonico riesce a portare i viola sino alla sesta posizione, utile per disputare lo spareggio interdivisionale contro il Perugia che a sua volta aveva terminato la regular season al quindicesimo posto in Serie A. Un regolamento nuovo e un unicum dovuto all’allargamento a 24 squadre della cadetteria per il Caso Catania e al conseguente ampliamento delle promozioni in Serie A, che dalla stagione successiva sarebbe passata da 18 a 20 squadre. Il grande protagonista del campionato è Christian Riganò con i suoi 23 centri, sebbene l’eroe dello spareggio-promozione risponda al nome di Enrico Fantini che, con un gol all’andata e uno al ritorno contro il Perugia, manda in paradiso i viola.
L’ultima apparizione in Serie A risale alla stagione 2011-12 con il Novara: un’esperienza sfortunata ma con la perla del prestigioso successo a San Siro contro l’Inter grazie ad una rete di Andrea Caracciolo, con Mondonico che nel post partita dirà: “È stato come vincere Sanremo“. L’ultima gara in massima serie è invece una trasferta a Bologna terminata 1-0 per i locali, sconfitta fatale che costa l’esonero sulla panchina dei piemontesi dopo soli 35 giorni di permanenza. Successivamente il mister coi baffi diventa opinionista Rai per Sabato Sprint e partecipa come ospite a varie trasmissioni sportive di altre reti.
Prima del ritorno in Serie A c’erano state delle nuove parentesi in Lombardia, nella sua comfort zone, per la precisione sulle panchine della Cremonese e dell’Albinoleffe. Proprio durante la sua avventura nella società bergamasca gli viene diagnosticato un tumore all’addome. Mondonico non molla e tenacemente continua ad allenare e nell’occasione di una trasferta in casa del suo Torino riceve una commovente dedica grazie a uno striscione esposto dalla curva Maratona: “Una sedia al cielo vale più di mille coppe“. Dopo sette anni di dura battaglia contro il cancro, Emiliano Mondonico si è spento il 29 marzo 2018, un giovedì: il giorno del funerale erano presenti tantissimi tifosi delle squadre che ha allenato e che, alzando al cielo le sedie, hanno fatto risuonare alcuni cori, come “Per sempre uno di noi“, ma soprattutto “Alzaci la sedia, Emiliano alzaci la sedia!“.
Mondonico durante una passerella al Franchi, ad anni di distanza dalla sua ultima promozione in A
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