Il giovane Fausto, un sogno luminoso come il giallo

Fausto - Puntero

Un racconto tratto da “Il giovane Fausto” (Edizioni Effigi, 2024) di Francesco Ruggieri.

 

Quando si corre non si pensa, si agisce.

Se lo era sentito dire mille volte, ma Fausto pensava che in realtà le due cose non si escludessero, o al più si alternassero tra loro. Quando vai in bici i pensieri iniziano a girare, proprio come le ruote, per armonizzarsi su una stessa frequenza che assomiglia molto all’idea di libertà.

E quando sei in gara, almeno questo per Fausto poteva dirsi vero, la frequenza continuava a girare, a volte lenta e costante, come quando il gruppo era una tranquilla volpe addomesticata color arcobaleno. Altre volte era intermittente, quando la pendenza si faceva irregolare, o quando, prima di una volata, la testa doveva stare per lo più concentrata sul tenere le posizioni. Ma soprattutto veniva completamente alterata nelle salite vere. Quando ti ritrovi solo in difficoltà, o in un gruppo staccato, la testa gira molto più veloce delle ruote, la fatica è immensa e i pensieri vanno dove vogliono ad una velocità folle, che le ruote non possono seguire. Ma quando sei solo e hai staccato tutti, le ruote girano veloci e il pensiero è uno solo: vincere.

Ed è un ritmo molto raro.

E Fausto non avrebbe mai pensato di sentire quel ritmo proprio quel giorno. Era partito agli inizi del colle con il belga Nassen, e stranamente il gruppo li aveva lasciati andare e presto avevano ottenuto un minuto di vantaggio. Fausto aveva ottime sensazioni, una pedalata ancora fluida e la maglia bianca, simbolo del primato della classifica dei giovani, saldamente sulle sue spalle. Per un attimo, lo sfiorò il sogno. Tingere la sua maglia di quel giallo che ogni corridore riesce a vedere molto più spesso chiudendo gli occhi che aprendoli.

Ma il colle che stavano scalando non era una salita qualunque, aveva un nome dal sapore di leggenda: Colle dell’Izoard. I nomi di chi vi era passato sopra per primo mettevano i brividi: Bartali, Merckx, Van Impe, Bobet, Pantani, Bitossi. E soprattutto un altro Fausto, quello a cui deve nome e passione: Coppi, il più grande. Coppi, l’unico ad averlo scalato solo al comando sia al Giro che al Tour. Ma non era solo una questione di Storia, anzi, era più una questione di geografia. Per arrivare in cima, bisogna fare più di 20 chilometri, con pendenza media al 6,4%, una regolarità che logora fiato e gambe, e un picco massimo intorno al 9%. Ma soprattutto sono gli oltre 2300 metri sul livello del mare che fanno paura. Oltre i 2000 metri, l’aria non è più per tutti. È rarefatta, i polmoni cercano ossigeno dove ossigeno non c’è. E anche la natura se ne accorge: gli alberi si inchinano e lasciano spazio ad una distesa brulla, alle rocce che conoscono bene soltanto le aquile.

E per Fausto la strada era ancora lunga. 15 chilometri all’arrivo. Un battito di ciglia quando si pedala in pianura, una vita in salita. Ricordandosi i consigli del suo allenatore Riccardo, Fausto si mise a ruota del belga, dicendogli in inglese che non ne aveva più, che aveva finito le energie. Il belga sbuffò, ma non aveva né il fiato né la voglia di parlare. E intanto Fausto, incollato alla sua ruota, lo studiava per cercare di capire quali fossero le sue reali condizioni.

Intorno ai meno 10 dall’arrivo, il vantaggio era aumentato a un minuto e mezzo. Dalla radiolina, il manager disse a Fausto che il gruppo dei big era impegnato a controllarsi, in una schermaglia più simile agli scacchi che al ciclismo. Fausto guardò Nassen. Il belga non aveva proprio più energie, le gambe giravano lentamente e ansimava più che respirare. Fausto al contrario sentiva le gambe girare bene, il respiro regolare.

Era il momento.

Ai meno 9 dal traguardo, Fausto scattò secco. Si liberò di Nassen in un battibaleno e presto si trovò da solo. Un altro Fausto, molti decenni dopo, un’altra bicicletta Bianchi, davanti a tutti in terra di Francia. La gente a bordo strada era in visibilio. Urlavano e lo incitavano, storpiando il suo cognome pronunciandolo con la i finale accentata, tipico dei transalpini. La maglia bianca era nel pieno di una tempesta adrenalinica, con la temerarietà dei suoi 22 anni rilanciava l’andatura ad ogni tornante. Ai meno 6 chilometri dal traguardo, il vantaggio era di quasi 3 minuti. Un altro minuto e sarebbe diventato maglia gialla virtuale.

Ma spesso, dura legge non scritta del libro della vita, la forza della gioventù viene arginata dalla mancanza di esperienza.

Dimenticò di alimentarsi. Di bere. Di mangiare. Sarebbe bastato un gel o un morso di una barretta energetica. Proprio quando il vantaggio era cresciuto fino a diventare maglia gialla virtuale e il traguardo era sempre più vicino, ecco il buio. La famosa crisi di fame non è solo fame. È mancanza di energia, crampi lancinanti allo stomaco e mal di testa. La sensazione era quella di sentirsi un grande fiume prosciugato da un’improvvisa siccità.

La Flamme rouge. La fiamma rossa. La piccola bandiera rossa di forma triangolare che da più di un secolo segna per i ciclisti di tutto il mondo quella che può essere la porta dell’inferno o il cancello del paradiso: l’ultimo chilometro. Per Fausto le ali di tifosi ai suoi fianchi erano molto simili alle fiamme dell’inferno; tuttavia, il suo corpo e la sua pedalata avevano trovato un ritmo anche nella crisi. Ma era troppo tardi, il gruppo maglia gialla era a una decina di secondi. “Alè, Fausto, alè – gli gridò Riccardo dall’ammiraglia, la sua voce tuonava dalla radiolina a cui il giovane era collegato – andiamo almeno a prenderci la tappa!”. “Ok – pensò il ragazzo- se il sogno in giallo è finito, almeno rimane la tappa”. E in effetti, anche se la pendenza era ancora dura, mancava veramente poco al traguardo. Ai meno 200 metri si voltò, e vide ciò che non avrebbe mai voluto vedere. La maglia gialla, con una forza e una freschezza impressionante, aveva fatto uno scatto e lo stava per riprendere. Fausto ebbe un’istante di paura, poi, come l’antilope quando vede il leone, usò tutte le sue energie per resistere a quel ritorno implacabile. Mancava pochissimo ormai, ultimi 100 metri. Fausto si voltò e vide la maglia gialla, l’olandese ormai vicino al suo secondo Tour de France, a pochi metri da lui, che gli fece un cenno con lo sguardo. La benedizione del campione. Lo sguardo di un Re magnanimo che concede al suo popolo quelle che per lui sono briciole. Fausto provò rabbia e gioia, umiliazione e sollievo.

Braccia al cielo, un altro Fausto con un’altra bici griffata Bianchi primo sull’Izoard. Prima vittoria al Tour de France. Conquista finale della maglia bianca e della classifica dei giovani. Un futuro luminoso come il giallo che ogni corridore riesce a vedere molto più spesso chiudendo gli occhi che aprendoli.

 


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Di Francesco Ruggieri

Nato a Siena nel 1991, professore e scrittore, da sempre in sella su due ruote, vento in faccia e tanta fatica.