Quello a cavallo tra gli anni ’90 e gli anni 2000 è considerato il periodo d’oro del calcio italiano. È l’era delle sette sorelle della Serie A, ognuna guidata da imprenditori di livello mondiale impegnati, stagione dopo stagione, a rendere la propria squadra sempre più competitiva. Sono gli anni del Milan di Silvio Berlusconi, dell’Inter di Massimo Moratti e della Juve della famiglia Agnelli presieduta da Vittorio Chiusano. Oltre a loro ci sono anche i vari Sergio Cragnotti, Franco Sensi, Vittorio Cecchi Gori e Calisto Tanzi. Un’epoca in cui il calcio italiano vive il suo momento di massimo splendore, praticamente ogni squadra iscritta alla massima serie può contare su una rosa di livello. Non sono solamente le sette sorelle a suscitare interesse, anche le cosiddette provinciali possono contare su giocatori importanti e mercati che si chiudono in passivo, con tante storie degne di essere raccontate.
Oggi vogliamo soffermarci su una squadra diventata di culto nella memoria collettiva degli appassionati: il Perugia di Luciano Gaucci, uno dei presidenti più peculiari visti in Serie A e simbolo di un calcio pieno di vizi e zone d’ombra ma comunque circondato da un’aura di grande fascino. Per giungere alla folle presidenza Gaucci bisogna però compiere un lungo percorso, partendo dalle origini e passando per il Perugia dei miracoli.
Origini
La storia del Perugia nasce dalla prima società sportiva del capoluogo umbro, la Società Ginnastica Braccio Fortebraccio, nome che omaggia la figura di Braccio da Montone, condottiero e signore di Perugia nel corso del XV secolo. Nel 1901 la Braccio Fortebraccio si dota di una sezione calcistica, mentre nel 1905 nasce il vero e proprio A.C. Perugia, grazie alla fusione tra Fortebraccio e altre realtà locali, tra cui la Libertas.
Le prime gioie per il club umbro risalgono agli anni ‘30, quando il Grifone dapprima raggiunge la B nel 1932-33, quindi nella stagione seguente sfiora addirittura la Serie A. Il Perugia vince il proprio girone e si qualifica a quello valevole per la promozione ma il sogno dei biancorossi termina con una serie di decisioni arbitrali a senso unico, che porteranno anche all’aggressione del giocatore perugino Peppino Vitalesta ai danni dell’arbitro della sfida contro la Pro Patria, decisiva per il mancato approdo umbro in Serie A. Con la mancata promozione la squadra viene smontata a causa delle difficoltà economiche della società: ne deriverà una discesa in C e lo sprofondo nelle serie inferiori, da cui i biancorossi usciranno solo nel 1959. Il ritorno in B avverrà nella stagione 1966-67, con la leggenda Guido Mazzetti in panchina e Lino Spagnoli presidente.
A cavallo degli anni ‘60 e ‘70 il Perugia si stabilizza nella serie cadetta ma è il campionato 1974-75 quello della svolta per gli umbri, sotto la presidenza di Franco D’Attoma e guidati da Ilario Castagner, già giocatore perugino nel decennio precedente. La squadra è un ottimo mix di esperienza e spregiudicatezza giovanile, gioca un calcio moderno e tiene testa al Verona, appena retrocesso e vero candidato al titolo. A dicembre il Grifone mette la freccia e non sarà più raggiunto: il 15 giugno 1975, grazie all’1-1 ottenuto contro il Pescara, il Perugia è matematicamente in Serie A per la prima volta nella sua storia.
La rosa del Perugia che nel 1934 ha sfiorato la prima promozione in A
Il Perugia dei miracoli in Serie A
L’avventura in massima serie per il Perugia inizia con un ottimo ottavo posto e con vittorie di spessore come quelle ottenute contro le torinesi, che si sarebbero poi contese lo scudetto. Sarà proprio il Perugia a decretare la squadra vincitrice del campionato 1975-76, sconfiggendo la Juventus per 1-0 con gol di Renato Curi, giovane centrocampista col vizio del gol arrivato nell’anno della promozione e il cui nome si legherà indissolubilmente a quello della squadra. È il gol che consegna il titolo al Torino, a 27 anni dalla tragedia di Superga. La stagione successiva vede un miglioramento per quanto riguarda la posizione in classifica dei biancorossi, che si piazzano al sesto posto e sfiorano la qualificazione alla Coppa UEFA, terminando a soli 2 punti dalla Lazio quinta.
Il campionato 1977-78 inizia nel migliore dei modi per il Perugia, che dopo cinque giornate si ritrova al comando della classifica con Juventus, Milan e Genoa. La sesta partita di quella Serie A vede contrapposte proprio Perugia e Juventus, in una sfida che si gioca allo Stadio Comunale Pian di Massiano davanti a 30.000 spettatori. A 5 minuti dall’inizio del secondo tempo Curi, sugli sviluppi di una rimessa laterale, compie uno scatto per raggiungere il pallone ma dopo pochi metri si accascia a terra. Morirà pochi istanti dopo, stroncato da un arresto cardiaco a soli 24 anni. Da quell’infausto 30 ottobre 1977 lo Stadio Comunale Pian di Massiano verrà rinominato Stadio Renato Curi, nome che porta anche oggi. A dispetto della tragedia sarà un’altra grande stagione, un settimo posto che non varrà la Coppa UEFA solo per la differenza reti peggiore rispetto al Napoli.
La stagione 1978-79 è la quarta consecutiva dei Grifoni in Serie A, nonché la quinta sotto la guida di Ilario Castagner. In estate hanno salutato due colonne portanti come Mauro Amenta e Walter Novellino, approdati rispettivamente a Fiorentina e Milan. Castagner è però giunto all’apice del suo progetto tecnico e disegna per il Perugia una prima versione di 4-2-3-1, uno schema mai visto fino ad allora in Italia, per sfruttare appieno le caratteristiche di un centrocampista atipico come Franco Vannini, schierato al centro dei 3 e sostenuto da un centrocampo formato da Cesare Butti e Paolo Dal Fiume.
L’attacco vede un falso nueve in grado di partecipare alla manovra offensiva come Gianfranco Casarsa e due ali prolifiche come Salvatore Bagni e Walter Speggiorin. In difesa agiscono il libero e capitano della squadra Pierluigi Frosio e lo stopper Mauro Della Martira. Il Perugia pareggia a San Siro contro l’Inter e batte Fiorentina in casa e Juventus a Torino: alla sesta giornata è davanti a tutti. A contendere la vetta al Perugia è il Milan, che aggancerà gli umbri all’ottava giornata e li sfiderà a dicembre, andando sotto a inizio gara grazie a una rete di Vannini ma pareggiando poi con Roberto Antonelli a metà ripresa.
Al termine del girone d’andata la squadra di Castagner è seconda, distante tre punti dai rossoneri e senza essere mai stata sconfitta. L’imbattibilità dei biancorossi sembra compromessa a febbraio contro l’Inter, che chiude il primo tempo sul 2-0 con reti di Spillo Altobelli e Carlo Muraro. Ad accorciare le distanze ci pensa il solito Vannini, che poco dopo lascerà il campo per la frattura di tibia e perone che gli costerà la carriera. Al terzo minuto di recupero e in 10 uomini, il Perugia trova l’insperata rete del 2-2 con Antonio Ceccarini su sponda di Casarsa, mantenendo viva la propria imbattibilità. Gli infortuni di Vannini e Frosio sembrano precludere lo scudetto ma una sconfitta interna del Milan col Napoli a inizio aprile rilancia le ambizioni degli umbri, distanti due punti dai meneghini.
Lo scontro diretto va in scena l’8 aprile 1979 al Curi. Il primo tempo si apre con due rigori, uno per parte, trasformati rispettivamente da Stefano Chiodi e Casarsa. Non ci sono altri gol, l’1-1 finale permette al Milan di evitare l’aggancio e di involarsi verso il tricolore. Alla sfida contro i rossoneri seguiranno poi 2 vittorie e 3 pareggi, che consentiranno al Perugia di chiudere al secondo posto, a -3 punti dalla squadra di Nils Liedholm: è il miglior risultato del club in massima serie, che vale anche la prima storica qualificazione alla Coppa UEFA. Il Perugia dei miracoli termina la stagione con la miglior difesa del torneo e, soprattutto, imbattuto come mai accaduto prima in Italia, un record eguagliato solo dal Milan 1991-92 e dalla Juventus 2011-12.
La prima squadra imbattuta nella storia della Serie A: il Perugia 1978-79
Scommesse e declino
L’annata 1979-80 è quella dell’approdo di un 23enne Paolo Rossi a Perugia ma è anche la stagione dello scandalo Totonero, da cui gli umbri vengono travolti. I giocatori perugini sanzionati saranno proprio Pablito, che verrà squalificato per due anni, Della Martira (cinque anni di squalifica) e Luciano Zecchini (tre anni), mentre la società verrà penalizzata di 5 punti da scontare nella stagione successiva. Nell’estate del 1979, inoltre, il Perugia diventa pioniere per quanto riguarda le sponsorizzazioni commerciali: il pastificio Ponte è il primo sponsor della storia in Italia. Per ovviare al divieto imposto dalla federazione, il Perugia fa ricondurre legalmente la sponsorizzazione ad un maglificio creato ad hoc per evitare la sanzione, con nome Ponte Sportswear. La stagione 1979-80 vedrà il Perugia terminare il campionato al settimo posto.
Nella stagione 1980-81 il Perugia parte con i già menzionati 5 punti di penalizzazione ma soprattutto privo del suo condottiero: Castagner infatti è passato alla Lazio a causa di disguidi di natura economica con la società, che ha radicalmente abbassato il livello dell’organico: Bagni è l’unico elemento di qualità all’interno di una rosa mutilata dalle sentenze del Totonero. Al posto di Castagner arriva in panchina Renzo Ulivieri, che farà malissimo e sarà esonerato al termine del girone d’andata, sostituito dal suo vice Giampiero Molinari. La squadra non si risolleva, il Perugia chiude al penultimo posto e torna in Serie B.
Gli anni ’80 si rivelano ardui, nel 1983 il presidente D’Attoma lascia la guida della società a Spartaco Ghini, mentre durante questi anni di Serie B la squadra viene retta dalle prestazioni dei gemelli del gol marchigiani Moreno Morbiducci e Giovanni Pagliari, che dal 1981 al 1984 realizzano complessivamente 44 reti. La stagione 1985-86 vede il ritorno proprio di Pagliari in Umbria dopo il prestito al Monza: nel campionato precedente, anche senza il loro bomber, i Grifoni hanno sfiorato la Serie A, mancandola per un punto e subendo una sola sconfitta durante tutto l’arco della stagione, un record che tutt’oggi resiste in Serie B.
Ma stavolta le cose non vanno bene, la squadra è ondivaga e termina al terzultimo posto, davanti solo a Catanzaro e Monza. E a fine stagione il Perugia è coinvolto nel Totonero-bis: già retrocesso sul campo, il Grifone viene estromesso dal successivo campionato di Serie C1 e declassato direttamente in C2, dove partirà con 2 punti di penalizzazione. Inoltre verranno squalificati il presidente Ghini per cinque anni, l’allenatore Aldo Agroppi per quattro mesi e il calciatore Sauro Massi per tre anni.
La discesa in C2 rappresenta una sorta di anno zero per il club umbro, che viene rivoluzionato in toto: dai quadri dirigenziali al campo. Il nuovo presidente della società è Salvatore Gadaleta, socio di Ghini. La panchina viene affidata a due ex giocatori: Massimo Roscini e il suo vice Ceccarini, l’autore del gol allo scadere contro l’Inter nella stagione del Perugia dei miracoli. Il primo anno in quarta serie è anonimo per la compagine perugina, che termina il campionato al nono posto e con l’unica pagina degna di nota data dall’esordio di un diciottenne Fabrizio Ravanelli. Ma l’anno successivo è quello della promozione in C1.
Il Perugia è un’ottima squadra: in panchina siede Mario Colautti, subentrato la stagione precedente a Roscini, e la rosa vanta elementi del calibro di Graziano Vinti, Giovanni Bia, la bandiera Pagliari e le due future leggende della Juventus Ravanelli e Angelo Di Livio, al tempo giovani in rampa di lancio. Il Perugia vince il campionato a pari punti con il Casarano e Ravanelli si assicura il titolo di capocannoniere del torneo. Per le successive tre stagioni in C1 il Perugia veleggerà a metà classifica, disputando campionati incolore e privi di ambizioni, figli di una cattiva condizione economica che fa rischiare il fallimento. Ma sul finire del 1991 ecco la svolta: la società viene rilevata da un personaggio molto particolare, già vicepresidente nella Roma di Dino Viola e destinato a cambiare per sempre le sorti dei perugini.
Bomber Pagliari, leggenda del Grifone, di cui è stato anche allenatore
L’era Gaucci
Luciano Gaucci è il presidentissimo della storia recente del Perugia. Imprenditore romano nel campo delle pulizie, già da giovane fa registrare mire e interessi nell’ippica e nel calcio: nel 1975 diventa socio di minoranza della Roma, di cui è tifosissimo. Entra a far parte del consiglio di amministrazione giallorosso nel 1981, per poi diventarne vicepresidente nel 1984 e attentare addirittura alla presidenza nel 1985 a seguito delle dimissioni – poi revocate – del presidente Dino Viola. Fallito il tentativo di assumere il controllo della maggioranza della società giallorossa, Gaucci intavola una clamorosa trattativa per rilevare la Lazio, anch’essa destinata a fallire.
Rimasto quindi vicepresidente della Roma, tenta nuovamente di prendersi la poltrona principale nel 1987, suggerendo un progetto che vede Falcão dirigente e Liedholm allenatore. Fallita anche questa scalata, il vulcanico Luciano lascia la società per trattare con la famiglia Pontello per la Fiorentina, anche in questo caso invano. Nel 1991, con la morte del presidente Dino Viola, Gaucci compie un ultimo tentativo per rilevare i giallorossi. Gli viene tuttavia preferito Giuseppe Ciarrapico. Lasciata la Roma, nel novembre 1991 la disperata ricerca di un posto da presidente giunge al termine con l’acquisto del Perugia: nasce così una delle storie più folli del nostro calcio. Gaucci si presenta a Perugia con il chiaro intento di dare una svolta a un club che negli ultimi anni di Serie C1 si era assestato a metà della classifica senza mai lottare per la promozione.
Il nuovo presidente rivoluziona fin da subito la squadra, realizzando colpi pirotecnici in sede di mercato in proporzione alla categoria della squadra. Nel mercato invernale riesce a portare a Perugia Giuseppe Dossena, non più giovane ma pur sempre un giocatore di Serie A nonché Campione del Mondo nel 1982 e Campione d’Italia in carica con la Sampdoria. Nel 1991-92 il Perugia disputa un ottimo campionato, in controtendenza rispetto alle precedenti stagioni e nonostante una tribolata gestione tecnica – che sarà una costante dell’era Gaucci – con tre cambi in panchina. La promozione in B sfuma per un solo punto, alle spalle della Fidelis Andria. La stagione 1992-93 vede i Grifoni piazzarsi al secondo posto a pari punti con l’Acireale, nonostante altri tre cambi in panchina. Per decidere la squadra promossa in Serie B si gioca uno spareggio a Foggia, terminato con la vittoria del Perugia per 2-1.
Ma se pensate che finalmente il Perugia sia pronto a tornare in B, a sette anni dall’ultima volta e dallo scandalo Totonero-bis, vi sbagliate di grosso. Anche questa volta sono vicende extra-campo a condannare gli umbri. Il 25 aprile 1993 si è giocata Siracusa-Perugia, arbitrata da Emanuele Senzacqua. Con i siciliani avanti per 1-0 grazie al gol di Alessandro Marcellino, un giocatore degli aretusei subisce fallo al limite della propria area di rigore ma, nell’incredulità generale, non solo l’arbitro concede la punizione al Perugia ma la fa ripetere più volte fino all’esecuzione vincente di Michele Gelsi, per l’1-1 finale.
Iniziano ad emergere dubbi e segnalazioni, i risultati del Perugia nel corso della stagione appaiono strani e vengono più volte messi in discussione. La federazione stessa comincia ad indagare e scopre che l’arbitro Senzacqua, grande appassionato di ippica, ha ricevuto da Luciano Gaucci un cavallo in regalo, oltre ad essere andato a pranzo con il presidente perugino tre giorni prima della partita Siracusa-Perugia. Il verdetto è severo: revoca della promozione e squalifica di tre anni al presidente, che non rispetterà mai tale verdetto e continuerà a recarsi regolarmente sugli spalti nonostante i 10 milioni di lire di multa per ogni apparizione allo stadio.
La promozione arriva l’anno seguente con la vittoria del proprio girone in C1 grazie ai 20 gol di Giovanni Cornacchini. Il Perugia rimarrà in Serie B solo per due stagioni: dopo 15 anni, nel campionato 1995-96 il Grifone torna in A, a seguito di un appassionante duello con la Salernitana. A dare l’ultimo sprint necessario alla promozione sarà un calcio di rigore di Massimiliano Allegri, siglato nei minuti di recupero contro il Venezia alla terzultima giornata. La squadra che si presenta ai nastri di partenza della massima serie è un mix composto dai giovanissimi Gennaro Gattuso e Marco Materazzi, i serbi Aleksandar Kocić e Bratislav Mijalković, l’olandese Michel Kreek, il croato Milan Rapaić, il Campione del Mondo 1982 Pietro Vierchowod, il brasiliano Müller e addirittura il figlio del presidentissimo, Riccardo Gaucci, che tuttavia non esordirà in prima squadra e si dedicherà al futsal.
Nonostante un buon avvio di campionato, il Perugia rimane incartato nella lotta salvezza: Gaucci tenta di salvare la stagione prima esonerando l’allenatore Giovanni Galeone e chiamando Nevio Scala, quindi tesserando dieci calciatori della Nazionale etiope richiedenti asilo, nella speranza di scovare un nuovo campione. Non basta, il Perugia torna in B ma per un solo anno: nonostante la consueta mattanza di allenatori, il ritorno di Castagner – terzo tecnico stagionale dopo Attilio Perotti e Alberto Bigon – porta il Perugia allo spareggio per la A, vinto ai rigori contro il Torino, e al ritorno in massima serie.
Nella stagione 1998-99 Gaucci rinforza la squadra con il difensore Martín Rivas dall’Inter, il terzino Zé Maria dal Parma, Gianluca Petrachi dall’Ancona, Giovanni Tedesco dalla Salernitana, il bomber del Settempeda – due stagioni piene di gol tra Promozione e Eccellenza – Christian Bucchi e il giapponese Hidetoshi Nakata, accolto con curiosità e qualche perplessità, messa a tacere con la doppietta all’esordio contro la Juventus. Il nipponico diventa un vero business, la sua maglia va a ruba nel Paese del Sol Levante e i giapponesi invadono Perugia e l’Umbria, tanto che Gaucci inizia ad annusare l’opportunità di espandere il marchio in giro per il mondo, acquistando calciatori di vari paesi.
A gennaio, quindi, ecco Ivàn Kaviedes, scovato grazie a internet e miglior attaccante del campionato ecuadoriano, con 43 reti in 34 partite: in Italia si rivelerà un flop, realizzando solo 4 goal in 15 presenze. Assieme a lui il portoghese Hilário e il finlandese Mika Lehkosuo, poco più che meteore, e il paraguaiano Paulo da Silva Barrios, che non esordirà ma in seguito diventerà una leggenda della sua Nazionale, con ben 148 presenze. Sul campo, a fine anni ‘90 il Perugia si assesta a metà classifica, preludio al ciclo più prolifico della sua storia, con l’approdo in panchina di un giovane allenatore, debuttante assoluto in Serie A. Prima di passare al nuovo millennio è però doveroso menzionare uno degli episodi che hanno reso celebre il presidentissimo perugino, uno dei momenti più iconici di Luciano Gaucci: lo scontro con il presidente del Bari Vincenzo Matarrese al termine di Perugia-Bari.
È il 6 novembre 1999 e al Renato Curi i Galletti vincono per 2-1. La partita è di quelle ruvide e senza esclusione di colpi: al 9’ il difensore del Bari Duccio Innocenti rifila una gomitata a Renato Olive in piena area di rigore. L’arbitro, Emilio Pellegrino, rimane impassibile, mentre il centrocampista perugino rimedierà una frattura dello zigomo. Nel post-partita succede di tutto. Gaucci assalta verbalmente Pellegrino, che attonito si volta e prosegue a camminare. È in quel momento che dal pullman del Bari fa capolino Vincenzo Matarrese, che con una semplice frase fa scatenare Gaucci, regalandoci uno dei momenti più esilaranti del calcio di quell’epoca.
La leggendaria lite tra Gaucci e Matarrese
Il ciclo Cosmi
Nell’estate del 2000 Gaucci è in piena guerra con la tifoseria perugina e decide di rivoluzionare completamente la squadra, attirandosi ancor di più le ire dei supporters del club umbro. A cominciare dalla scelta dell’allenatore, Serse Cosmi: nome sconosciuto ai più, si è fatto notare per essere riuscito a portare l’Arezzo dalla D alla C1 ma si tratta di un debuttante ad alti livelli. Segue lo smantellamento della squadra: vanno via Alessandro Calori, Rapaić, il russo Dmitrij Aleničev, Ibrahim Ba, Pierpaolo Bisoli e l’intero reparto d’attacco composto da Nicola Amoruso e Alessandro Melli. Nomi importanti, rimpiazzati da calciatori individuati grazie allo scouting societario e attingendo dalle serie inferiori.
Arrivano a Perugia Davide Baiocco, Marco Di Loreto, Fabio Liverani e Mirko Pieri, oltre al giovane Manuele Blasi come parziale contropartita della cessione di Nakata alla Roma avvenuta sei mesi prima. Sul fronte estero si decide ancora una volta di andare in Oriente, tornando con due acquisti: Ma Mingyu, il primo cinese nella storia del calcio italiano che non conoscerà l’esordio in A, e Ahn Jung-hwan, sconosciuto coreano che diventerà celebre per il Golden Gol che eliminerà l’Italia al Mondiale nippo-coreano del 2002, un gol che gli costerà la cacciata da parte del presidente.
Nel suo 3-5-2 Cosmi mette al centro della difesa il capitano Marco Materazzi, tornato l’anno prima dalla deludente esperienza inglese all’Everton con ben 4 espulsioni in 27 partite. Ai suoi fianchi giocano Claudio Rivalta e Di Loreto, mentre la porta è difesa da Andrea Mazzantini. Sugli esterni giocano Zé Maria sulla destra e Pieri a sinistra. In mezzo al campo il vertice basso è Fabio Liverani, affiancato dalle mezzali Giovanni Tedesco e Davide Baiocco. In attacco il greco Zīsīs Vryzas è il punto fermo, al suo fianco c’è Luca Saudati.
A dispetto delle premesse che vedono il Perugia come la squadra più debole del campionato, la formazione di Cosmi gioca un calcio proficuo e divertente, grazie al quale chiude il girone d’andata al settimo posto e il campionato all’undicesimo, raggiungendo la salvezza con largo anticipo e affermandosi come una delle squadre rivelazione del campionato, trascinata dalle 12 reti di Materazzi, record ancora oggi imbattuto per un difensore.
Cosmi e Gaucci hanno messo le basi per qualcosa di importante e l’anno successivo cercano nuovamente di migliorare la squadra. Anche questa volta il mercato firmato Gaucci è particolare: il presidente scommette su uno sconosciuto Fabio Grosso, messosi in mostra con la maglia del Chieti in C1. Non mancheranno i consueti colpi esotici, come gli iraniani Ali Samereh, che con un bottino di zero gol farà subito ritorno in Iran, e il difensore centrale Rahman Rezaei, che invece avrà più fortuna, arrivando a giocare anche al Messina e al Livorno. La stagione si chiude con l’ottimo ottavo posto e la qualificazione alla Coppa Intertoto.
Occhiali da sole, pizzetto, immancabile cappellino: l’iconico look di Serse Cosmi
L’apice e la caduta
Nel 2002-03 Baiocco viene ceduto alla Juventus e sostituito dal giovane nigeriano Christian Obodo. Nello scambio coi bianconeri, a Perugia arriva in prestito il giovane Fabrizio Miccoli, reduce da un passato nei rivali della Ternana. In aggiunta all’attaccante, approdano in Umbria anche i portieri Željko Kalac e Sebastiano Rossi – pluridecorato portiere del Milan di Capello e detentore del record di minuti di imbattibilità in Serie A – oltre al centrocampista Roberto Baronio che, suo malgrado, sarà protagonista di un episodio piuttosto particolare. Il Perugia inizia il campionato tra alti e bassi e proprio il biondo regista viene individuato come colpevole dal presidente Gaucci per la sua maglia numero 13. Al termine di Perugia-Juventus il presidente sbotta in conferenza stampa:
Gliela brucio quella maglia, perché porta sfortuna. Non è uno scherzo. Ha giocato due minuti con la Juve e abbiamo perso, ha giocato un tempo contro la Lazio e abbiamo preso due gol.
L’ex Lazio verrà inizialmente messo fuori rosa dalla prima squadra e poi costretto ad aggiungere un “+” tra il numero 1 e il numero 3, prima di passare al Chievo l’anno successivo. Tornando a Miccoli, il salentino trova nel calcio di Cosmi l’habitat ideale in cui esprimere il proprio talento e la libertà di muoversi a proprio piacimento su tutto il fronte d’attacco, sia in ampiezza che in verticale, facilitando il gioco della squadra ed esprimendo tutta la sua enorme sensibilità tecnica. Le doti da finalizzatore gli consentono di realizzare 10 reti in campionato, chiuso al nono posto, e di vincere il titolo di capocannoniere di Coppa Italia, dove il Perugia elimina ai quarti la Juventus, sconfitta sia all’andata che al ritorno con tre gol di Miccoli, e si ferma solo in semifinale.
L’apice del ciclo Cosmi giunge con l’inizio della stagione 2003-04, in cui il Perugia partecipa alla Coppa Intertoto per il secondo anno consecutivo. Il cammino europeo dei Grifoni comincia affrontando i finlandesi dell’Allianssi, battuti con un doppio 2-0. Quindi tocca al Nantes, battuto 1-0 in Francia ed eliminato grazie al pari a reti bianche al Curi. L’ultimo ostacolo sono i tedeschi del Wolfsburg ma il Perugia è in missione: 1-0 interno all’andata con gol di Jay Bothroyd detto The Snake, 2-0 recapitato a domicilio grazie ai centri di Tedesco ed Emanuele Berrettoni. La Coppa Intertoto è il primo e unico trofeo internazionale vinto dal Perugia, il punto più alto del ciclo di Serse Cosmi e del presidentissimo Gaucci.
Ma, si sa, quando si giunge in vetta si può solo scendere. E la caduta del Perugia sarà fragorosa. A proposito di colpi folli, dulcis in fundo, nella stagione 2003-04 Gaucci tessera Saadi Gheddafi, figlio del dittatore libico. Il motivo di tale scelta non ha ovviamente motivazioni calcistiche bensì imprenditoriali, visto che Saadi è il padrone della Tamoil, azienda di famiglia che possiede il 33% della Triestina e il 7% della Juventus, oltre ad essere anche azionista della Roma. Il bottino è di una presenza da 15 minuti contro la Juventus e tre mesi di squalifica quando viene trovato positivo all’antidoping. Dopo l’affare Gheddafi, il presidente Gaucci, ormai sull’orlo della follia calcistica e della mitomania, decide di assoldare una giocatrice donna per il suo Perugia. Offre così un milione di euro alla tedesca Birgit Prinz, numero uno della classifica delle calciatrici femminili secondo la FIFA, che rifiuterà.
Sul campo, la stagione 2003-04 vede il Perugia giungere sino ai sedicesimi in Coppa UEFA ma arrancare terribilmente in campionato, tanto da non vincere neanche una gara in tutto il girone d’andata. Gaucci pensa alla soluzione finale con cui uscire di scena: ritirare la squadra dal campionato con la motivazione dei torti arbitrali ricevuti. Il girone di ritorno non va molto meglio fin quando, vincendo le ultime tre di campionato, il Perugia si guadagna lo spareggio interdivisionale contro la Fiorentina. Ma è solo un palliativo, la doppia sfida vede il trionfo dei viola, vittoriosi a Perugia per 1-0 e promossi dopo l’1-1 al Franchi. Dopo sei stagioni termina l’avventura in Serie A dei Grifoni. O forse no?
La stagione 2003-2004 è anche quella del Crac Parmalat, che comporta il rischio di fallimento del Parma Calcio e la speranza di ripescaggio per il Perugia. Non andrà così, il Parma, pur ridimensionato, rimarrà in Serie A, mentre la società di Gaucci inizierà a sprofondare in una grave crisi economica (38 milioni di euro di debiti con il Fisco). Con l’addio alla Serie A salutano anche Serse Cosmi, passato al Genoa, ma soprattutto Luciano Gaucci, che dichiara bancarotta, lascia il Perugia in mano ai suoi due figli Alessandro e Riccardo e fugge a Santo Domingo per evitare di scontare la pena di tre anni di reclusione per bancarotta fraudolenta. L’anno successivo il Perugia fallisce e proprio i figli finiscono nei guai con la stessa accusa del padre latitante.
Quella del campionato 2003-04 è l’ultima apparizione in A del Perugia, che dapprima scende in C1 e poi, nel 2010, tra i dilettanti, a seguito di un nuovo fallimento societario. Tornato tra i professionisti nel 2011, il Grifone si è assestato tra la B e la C fino ad oggi.
La storia del Perugia è fatta di scalate e di tracolli, di tragedie e di trionfi, di visione imprenditoriale mista a pura follia. Nonostante Luciano Gaucci sia stato un personaggio borderline, come molti presidenti e dirigenti di quell’epoca, e nonostante alcune azioni ingiustificabili, rimane un presidente storico per il calcio del nostro Paese. La sua è una vera storia imprenditoriale italiana, conclusasi in maniera rocambolesca ma comunque fatta di sacrifici e passione, dal sapore ormai irreplicabile in un calcio nelle mani dei fondi di investimento.
Lo sguardo orgoglioso di Gaucci alla presentazione di Saadi Gheddafi
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