Tadej Pogačar si è messo a ruota di Marco Pantani

Esiste uno stendardo giallorosa che solo sette ciclisti sono riusciti a conquistare. Oltre a campionissimi come Bernard Hinault, Jacques Anquetil, Miguel Indurain e Stephen Roche, e lasciando Fausto Coppi nel regno della leggenda, rimangono due nomi: Marco Pantani ed Eddy Merckx. Sarà Tadej Pogačar il prossimo fuoriclasse a vincere Giro e Tour nello stesso anno?

Marco Pantani, il Pirata triste, è stato forse uno dei ciclisti più amati di sempre. È riuscito a trascendere il ciclismo e diventare egli stesso ciclismo. “Ma chi sei, Pantani?” viene detto a chi va forte in bici come ancora nei campetti sterrati di periferia si sente dire al ragazzino più talentuoso palla al piede “Ma chi sei, Maradona?”. Semplicemente Marco, capace di unire l’Italia, di fermare i cuori del Paese nell’estate del 1998. Il Pirata è stato l’ultimo a poter sventolare la bandiera giallorosa. Pantani, con la sua tragica e prematura scomparsa, è entrato in una dimensione in cui soltanto eroi omerici come Ettore e Aiace riescono a far breccia. Era un buono, di quelli che secondo Cormac McCarthy portavano il fuoco. E il suo regno sarebbe stato illuminato, vincendo le corse a tappe e lasciando le classiche agli specialisti.

Merckx invece era Achille piè veloce. Soprannominato Il Cannibale, vinse tutto. La doppietta Giro e Tour gli è riuscita non in uno solo, ma in ben quattro anni. Se Pantani non ha potuto, De brevitate vitae, diventare un sovrano, e forse conoscendo quel carattere timido ma solare non avrebbe mai voluto, Merckx era un monarca assoluto, il Re Sole. Spietato, forte, “distruttore di mondi” per citare Oppenheimer. Nel suo regno non c’era spazio per nessuno. Luis Ocaña provò a ritagliarsi uno spazio, ma gli dei del ciclismo non perdonarono tale tracotanza. Anche Gimondi tentò, ma invano. L’astro nascente Gianbattista Baronchelli osò con la forza della giovinezza a strappargli un Giro, ma per soli 12 secondi un Merckx non più nel fiore degli anni non si lasciò piegare da tanta potenza. Era immenso, titanico, onnivoro. Vinceva ovunque, giri e classiche.

 

Chi è Tadej Pogačar

C’era un ragazzino, in una gara in un paesino in Slovenia circa dodici anni fa, che pedalava come un forsennato su una bici molto piccola, perché anche lui era ancora piccolo e correva con atleti di una fascia di età superiore. Un osservatore si impietosì, a vederlo pedalare seguendo un gruppo ancora nutrito di atleti, e un po’ ingenuamente chiese come mai il gruppo non stesse aspettando il ragazzino. Il direttore di gara gli disse secco che non c’era bisogno che lo aspettassero, perché il ragazzino era in testa alla corsa, e se pedalava come un folle era solo perché voleva doppiare il gruppo. Quel ragazzino era Tadej Pogačar.

Il ragazzo è cresciuto, subito ingaggiato nel suo attuale team, la UAE Emirates, appena avviata la sua carriera da pro. A maggio si è vestito di rosa ed è diventato il Monarca del Giro (come lo ha definito in una sublime telecronaca Luca Gregorio di Eurosport). Ma Pogačar è già abituato a governare. Per due anni consecutivi (2020 e 2021) ha vinto il Tour de France. Un regno interrotto da “quello lì” (perché ormai la loro rivalità sta somigliando in modo meraviglioso a quella tra Coppi e Bartali), Jonas Vingegaard, in forza alla Visma Lease-a-bike, vincitore delle ultime due edizioni.

Ma Tadej non governa solo i grandi giri, come avrebbe fatto Pantani. Tadej, come Merckx, vince anche le classiche corse di un giorno. E non si accontenta di quelle banali ma vince le classiche monumento. Tre giri di Lombardia, due Liegi-Bastogne-Liegi e un Giro delle Fiandre. Aggiunte a un Giro e a due Tour. A 25 anni ha già un palmarès che solo le leggende di questo sport possono vantare.

Tadej Pogacar - Puntero

Maglia rosa e braccia al cielo, immagine che abbiamo imparato a conoscere bene nel mese di maggio

 

Il Monarca del Giro, a tutto tondo

Ma che monarca è Tadej? È generoso, ma esigente. Lavora per sé stesso, per la squadra e ama dare spettacolo. Tadej è illuminato, come chiunque abbia già vinto un Tour de France. È gentile, amato, rispettato, temuto, cercato. Sorride a tutti: rivali, compagni, telecamere, pubblico. È sempre autocritico e sportivo. Ammette, quando è palese, la superiorità altrui. Ma non lascia briciole agli avversari, non perché sia un cannibale come Merckx ma perché rientra proprio nella sua essenza, quella che Aristotele chiamava Ousia. Ne sa qualcosa Giulio Pellizzari, 20 anni e in forza alla VF Group-Bardiani CSF-Faizanè, che per ben due tappe di alta montagna se lo è visto arrivare alle spalle. Un fulmine rosa che lo ha superato e gli ha rubato vittorie di altissimo spessore. Segnatevi il nome di Pellizzari, “il ragazzo si farà, anche se ha le spalle strette”. Non gli ha lasciato nemmeno una vittoria ma Tadej ha regalato a Giulio i suoi occhiali e la maglia rosa, in una delle scene più commoventi della corsa rosa 2024. Un’altra vede sempre protagonista il re sloveno quando, dopo aver preso una borraccia dal suo massaggiatore nella penultima tappa, con il formidabile arrivo sul Monte Grappa, invece di tenerla l’ha donata a un bambino che gli correva accanto guardandolo incantato.

Se durante il Tour del 2022 la foto che immortalava Jonas Vingegaard e Tadej Pogačar darsi la mano dopo che il danese aspettò lo sloveno dopo una scivolata in discesa, ha ricordato il leggendario passaggio di borraccia tra Coppi e Bartali, questa immagine è qualcosa di più. Tadej ha trasceso una rivalità per scrivere un patto con l’Eternità. È diventato egli stesso ciclismo, sport, umanità, consegnando la borraccia direttamente al futuro. Tadej è gentile, è un buono. E sicuramente è un vincente. È un uragano devastante e ineluttabile che quando passa non lascia distruzione, ma disseta campi di grano e piante in fiore.

Ha corso sei grandi giri, vincendone tre e arrivando sempre sul podio. In questo ultimo Giro d’Italia ha rifilato l’abissale distacco di dieci minuti al secondo in classifica, il tenace e solido Daniel Martínez. Ha vinto sei tappe e ha indossato la maglia rosa per 20 giorni su 21. Ha dominato attaccando con fantasia e in ogni terreno. Tadej è fantasia, coraggio, velocità di pensiero e di azione. Ha vinto la classica Strade Bianche, con il suo medievale arrivo dentro piazza del Campo a Siena, percorsa in sentieri ghiaiosi dal sapore del ciclismo antico, attaccando quando mancavano più di ottanta chilometri dal traguardo. Ottanta chilometri di solitaria e trionfale cavalcata. Tadej è tutto questo, umiltà e orgoglio, simpatia e vittorie, leggerezza e potenza, antico e tremendamente nuovo.

Il dono a un piccolo fan, gesto galante di un re magnanimo

 

La strada verso il Tour

Ma chi troverà Tadej, dopo aver conquistato Roma, a ostacolargli la strada verso il gradino più alto del podio del Tour? Ovviamente “quello lì”, proprio Vingegaard, forse non al meglio dopo un grave incidente a marzo. Troverà forse il ritrovato Egan Bernal e Carlos Rodríguez Cano della Ineos. Ma anche Remco Evenepoel, talento cristallino, gioventù e potenza pura ma ancora indecifrabile nel contesto di una competizione di tre settimane. E infine avrà di fronte il suo vecchio amico, rivale e connazionale Primož Roglič, passato alla Bora questa stagione e fresco vincitore del Delfinato.

Dovrà stare attento a tutti loro e per questo ha voluto e ottenuto dalla sua UAE un dream team di gregari che in altre squadre potrebbero fare i capitani. Dovrà stare attento a recuperare bene, in questi caldi e sonnolenti giorni di giugno, le fatiche che un Giro d’Italia lascia inevitabilmente nelle gambe. E dovrà stare attento a sé stesso. Nel 2022, quando era in maglia gialla, cadde nella trappola perfetta dell’allora Jumbo Visma e della loro bizona. Attaccarono prima Roglič, poi Vingegaard, poi di nuovo Roglič, poi di nuovo Vingegaard e quindi ancora Roglič sul Col du Granon. Tadej rispose ad ogni attacco, svuotandosi lentamente di energie mentre i rivali lo stavano colpendo ai fianchi. Così, complice anche il Galibier, all’ultima sferzata di Vingegaard, Tadej non riuscì a rispondere, perdendo maglia e Tour.

Se ne dovrà ricordare quando si vedrà attaccato, perché tutti lo faranno, dai vari capitani Evenepoel, Vingegaard, Roglič, Rodríguez Cano e dalle possibili sorprese come l’americano Matteo Jorgenson della Visma e Tao Geoghegan Hart della Lidl-Trek. Dovrà aspettare, gestirsi e resistere, anche qualora lo attaccassero due torri quali gli stessi Roglič e Vingegaard. E solo allora dovrà dare a tutti il colpo di grazia, scrivendo la trama perfetta per il ritorno del Re.

E adesso che sta provando a prendere lo stendardo giallorosa ventisei anni dopo Pantani, lascia il cuore degli italiani appassionati di ciclismo lacerato in due. Perché se da una parte Pogačar ha conquistato l’Italia intera e, tra i contender alla maglia gialla, è quello che sarà sicuramente più tifato, dall’altra il nostro cuore vorrebbe che il record del Pirata durasse in eterno. Ma Marco vive dentro di noi  vivrà comunque in eterno come tutte le leggende.

Tadej Pogacar - Puntero

Tadej Pogačar trionfante al Tour de France. Un’immagine destinata a ripetersi quest’anno?

 


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Di Francesco Ruggieri

Nato a Siena nel 1991, professore e scrittore, da sempre in sella su due ruote, vento in faccia e tanta fatica.