Come abbiamo visto, i Giochi Olimpici di Parigi furono un disastro organizzativo. Nei piani di de Coubertin dovevano essere la rassegna che avrebbe sancito la definitiva consacrazione di un progetto sportivo globale, invece furono relegati a semplice appendice dell’Esposizione universale. Scoraggiato ma non sconfitto, il Barone si mise subito al lavoro per organizzare l’edizione successiva, quella del 1904. Ignorata qualsiasi candidatura europea, l’idea era di attraversare l’Oceano Atlantico e sbarcare negli Stati Uniti per premiare lo sforzo e il coinvolgimento dimostrato dagli atleti americani nelle prime due edizioni.
Questa, almeno, fu la dichiarazione di facciata, in realtà le motivazioni erano ben altre. Gli Stati Uniti avevano appena cominciato a gettare le basi per diventare il punto di riferimento nello scacchiere politico globale e la vittoria nella guerra contro gli spagnoli del 1898 per il controllo di Cuba e dei Caraibi fu un passaggio fondamentale in questa direzione. Gli americani inoltre erano ricchi, molto ricchi: potevano mettere sul piatto grandi risorse per garantire la migliore organizzazione possibile. Soldi e potere, ecco cosa attrasse il Barone.
Le città che inizialmente manifestarono interesse furono Philadelphia, Buffalo, New York e Chicago. Philadelphia si ritirò quasi subito dalla corsa, riconoscendo gli oneri di un impegno così mastodontico, mentre l’intenzione reale di Buffalo non era quella di organizzare dei Giochi Olimpici ma una piccola rassegna sportiva a lato dell’Esposizione panamericana. La candidatura di New York invece era fortemente caldeggiata da William Milligan Sloane, storico membro del CIO e organizzatore delle spedizioni americane nelle edizioni precedenti. Tra le quattro la spuntò Chicago grazie all’appoggio e alla sponsorizzazione di un ricco uomo d’affari – Henry Jewett Furber Jr. – insieme a un gruppo di imprenditori locali, disposti a investire 200mila dollari, una cifra faraonica per l’epoca. Il 13 febbraio 1901 venne così presentata al CIO la candidatura ufficiale (e unica) della città dell’Illinois. Come si arrivò quindi a Saint Louis? Per capirlo è necessario un piccolo ripasso di storia.
Nel 1901 il Congresso americano votò a favore delle celebrazioni per il centenario della Louisiana Purchase. Cento anni prima infatti – nel 1803 – Napoleone, per finanziare le sue onerose campagne europee, cedette agli Stati Uniti del presidente Thomas Jefferson il territorio della Louisiana per una cifra equivalente a circa 340 milioni di dollari attuali. Sì, ma non stiamo parlando della Louisiana come la conosciamo noi oggi, il piccolo Stato con New Orleans che si affaccia sul Golfo del Messico, bensì del vastissimo territorio a ovest del fiume Mississippi. Un’operazione che garantì agli USA un notevole incremento dei traffici commerciali e dell’economia interna. Era un avvenimento da festeggiare.
In azzurrino il vasto territorio che a inizio ‘800 costituiva la Louisiana, di cui Saint Louis era la città principale.
Si va a Saint Louis
Saint Louis – attualmente nel Missouri – all’inizio del secolo scorso era il centro più importante della regione e quarta città più popolosa degli Stati Uniti dietro solo a New York, Chicago e Philadelphia. Sede del governo della Louisiana, era un insediamento estremamente ricco e all’avanguardia – basti pensare al Wainwright Building, il primo grattacielo della storia costruito nel 1890 – e quindi location perfetta per commemorare l’evento e organizzare l’Esposizione universale che avrebbe definitivamente aperto gli Stati Uniti al resto del mondo. Gli organizzatori della Louisiana Purchase Exposition (questo il nome ufficiale della fiera di Saint Louis) tuttavia espressero più di una preoccupazione riguardo le Olimpiadi di Chicago: un evento di tale portata infatti avrebbe sicuramente sottratto potenziali visitatori. Addirittura arrivarono a minacciare de Coubertin di organizzare una propria rassegna sportiva.
In un clima di stallo, l’unica soluzione era rivolgersi alla Casa Bianca. In seguito all’omicidio del presidente William McKinley, avvenuto nel 1901 proprio all’esposizione di Buffalo, la carica passò a Theodore Roosevelt, proprio quel Theodore Roosevelt molto amico di de Coubertin. Il Barone provò a convincerlo offrendogli la presidenza onoraria dei Giochi di Chicago ma gli interessi della nazione erano ben più importanti. Saint Louis doveva essere la città ospitante della terza edizione dei Giochi Olimpici e la concomitanza con la Fiera avrebbe rafforzato entrambi gli eventi. De Coubertin decise di mollare la presa e, con un telegramma del febbraio 1903, accettò sommessamente il cambio.
Il Barone, pur avendo ceduto sulla sostituzione della città, si rifiutò di curare personalmente l’organizzazione dell’evento: a suo modo di vedere Saint Louis non incarnava lo spirito olimpico. La responsabilità venne così affidata a James E. Sullivan, già presidente dell’AAU (Amateur Athletic Union), che diede il via alla rassegna il 1° luglio. Per la seconda edizione consecutiva i Giochi accompagnarono l’Esposizione universale. Tuttavia, rispetto a quanto accaduto a Parigi quattro anni prima, le idee di Sullivan erano completamente opposte. Se Mérillon non definì “olimpico” nessuno degli eventi sportivi dell’edizione francese, Sullivan fece l’esatto opposto, ritenendo tale qualsiasi attività fisica e sportiva svolta nel contesto della fiera. Si arrivò così alla clamorosa cifra di 58mila partecipanti, neanche a dirlo massimo di sempre per una singola edizione. Non si sapeva se si stesse effettivamente competendo per qualcosa che sarebbe stato ritenuto olimpico ma, nel dubbio, tutti partecipavano.
Come già avvenuto per Parigi, anche per Saint Louis 1904 il CIO, negli anni a venire, dovette riprendere in mano i documenti dell’epoca e tagliare numerose discipline. Oltre a gare parecchio bislacche, il comitato olimpico cancellò il basket – ai tempi giocato solo negli USA e quindi sport non internazionale – la pallanuoto e la 4×50 yards stile libero. All’epoca, infatti, ai tornei a squadre partecipavano dei club e non le selezioni nazionali. Per questa ragione le rappresentative dei migliori atleti tedeschi nelle due discipline furono escluse anche se composte da dilettanti: il criterio di inclusività non era stato rispettato e per questo i due sport non furono inclusi nel programma olimpico.
Le giornate antropologiche
Prima di entrare nel vivo nell’edizione di Saint Louis 1904 è necessario fare una deviazione per aprire la pagina probabilmente più controversa di tutte le edizioni delle Olimpiadi moderne. In parallelo alle gare classiche, infatti, Sullivan creò le Giornate Antropologiche, influenzato dai precetti del darwinismo sociale, dottrina molto in voga in quegli anni e il cui principio cardine era lo sviluppo del corpo umano come una componente importante del progresso. L’idea di fondo era dimostrare la superiorità fisica e atletica del popolo occidentale “civilizzato” rispetto alle popolazioni indigene e alle altre culture considerate “primitive”.
L’evento si tenne il 12 e 13 agosto 1904 e coinvolse circa un centinaio di uomini provenienti da vari gruppi etnici – tra cui nativi americani, pigmei africani, ainu giapponesi e filippini – reclutati dalle mostre etnologiche dei vari padiglioni, dove erano già “esposti come curiosità”. Durante le Giornate Antropologiche, i partecipanti gareggiarono a una serie di competizioni che comprendevano sia discipline olimpiche classiche sia prove considerate proprie di ciascuna cultura. Così, accanto ad eventi come i 100 metri o il lancio del giavellotto, il programma prevedeva per esempio l’arrampicata su palo ingrassato, il lancio di pietre e la lotta nel fango.
Un nativo americano impegnato nella gara di tiro con l’arco
Gli atleti spesso risultarono confusi e disorientati dalle gare. Non avendo ricevuto alcuna formazione adeguata e non comprendendo appieno le regole degli sport occidentali, molti di loro non poterono esprimere le loro vere capacità. Esempio più lampante furono i pigmei africani che, abituati a vivere nella foresta pluviale, si trovarono spaesati al primo impatto con una pista di atletica. Le Giornate Antropologiche furono oggetto di aspre critiche già all’epoca. Lo stesso de Coubertin disapprovò fortemente l’evento, definendolo “una presa in giro della dignità umana” e “una delle peggiori idee mai viste nel campo dell’atletica“.
I rappresentanti dei vari gruppi etnici parteciparono non solo come atleti ma anche come vere e proprie attrazioni della Fiera. È il caso di Goyaałé, il leggendario capo Apache. Ai più questo nome dirà ben poco, ma forse il suo nome occidentale – Geronimo – accenderà più di una lampadina. Il nativo americano divenne famoso per la sua resistenza contro il governo messicano e statunitense. Dopo anni di conflitto, Geronimo si arrese alle forze statunitensi nel 1886 e passò il resto della sua vita come prigioniero di guerra, pur partecipando a vari eventi pubblici per guadagnare denaro. Alla fiera di Saint Louis 1904 non poteva mancare: non gareggiò in nessuna competizione ma si esibì per curiosità etnologica, concedendo autografi o fotografie in cambio di una piccola somma.
La sua presenza evidenzia chiaramente l’aspetto umiliante dell’evento. Considerato un leader rispettato e temuto, Geronimo divenne un fenomeno da baraccone. Questo trattamento era emblematico della mentalità coloniale dell’epoca, che vedeva le culture indigene come inferiori e meritevoli solo di interesse accademico piuttosto che di vero rispetto. L’uso di figure come Geronimo nelle Giornate Antropologiche ha lasciato un’eredità complessa. Da un lato eventi come questi contribuirono a mantenere vivo l’interesse per le culture indigene, seppur in modo distorto. Dall’altro sottolineavano la necessità di un cambiamento nella percezione e nel trattamento delle minoranze.
Goyaałé in posa durante le Giornate Antropologiche
Le gare di atletica
Le Olimpiadi di Saint Louis 1904 si svolsero in un contesto geopolitico tutt’altro che sereno. Era appena scoppiata la guerra russo-giapponese e si respirava un clima di tensione che solo qualche anno dopo sarebbe sfociato nel primo conflitto mondiale. In questa situazione, la voglia di viaggiare era ridotta ai minimi termini così come i soldi da investire in una traversata transoceanica. Fu così che alla terza edizione delle Olimpiadi moderne parteciparono per lo più atleti statunitensi – non a caso dominatori assoluti del medagliere – con qualche sparuta rappresentativa europea, per lo più britannici e tedeschi.
Rispetto all’edizione precedente, in cui furono ben pochi gli atleti di ritorno dopo Atene 1896, a Saint Louis abbiamo i primi “atleti-celebrità”, campioni della rassegna precedente e arrivati in gara già con parecchia notorietà. Vi ricordate di Myer Prinstein, l’atleta di Syracuse che non poté gareggiare nel lungo perché organizzato di domenica? Bene, assicurandosi che la finale non fosse nel giorno del Signore, dominò la competizione, portando a casa l’oro anche nel salto triplo. Al momento nessun atleta è mai riuscito a ripetere questa doppietta ai Giochi Olimpici.
La vera star del programma di atletica fu però Archie Hahn, la cometa del Michigan. Il nativo di Dodgeville divenne una vera e propria leggenda olimpica grazie alle sue prestazioni nelle gare di velocità. Grazie a una tecnica di corsa unica, caratterizzata da passi brevi e rapidi che gli permettevano di accelerare rapidamente e mantenere una velocità costante, nonché a una forza mentale fuori dal comune, Hahn vinse senza troppe difficoltà i 60 metri (specialità che sarebbe stata eliminata dal programma olimpico dopo questa edizione), i 100 e i 200 metri.
A Saint Louis ritornò, acclamato dal pubblico, anche The Human Frog, ossia la rana umana, come ribattezzato quattro anni prima nella Ville Lumière. Ray Ewry, campione poliomelitico nei salti da fermo a Parigi 1900, quattro anni dopo si confermò dominatore indiscusso delle specialità con altri tre ori. A proposito di oro, finalmente venne associato il biondo metallo alla vittoria di una competizione olimpica. Per la prima volta infatti, dopo due rassegne senza un vero e proprio canone, nel 1904 il CIO adottò il sistema di premiazione così come lo conosciamo attualmente – oro, argento e bronzo.
Un discorso a parte merita la maratona. Fu una prova folle e priva di qualsiasi senso logico: dal primo caso di doping della Storia al racconto assurdo di un postino cubano, passando per corridori inseguiti dai cani. Un solo paragrafo non renderebbe giustizia, per questo le abbiamo dedicato una narrazione dettagliata.
Il ginnasta con la gamba di legno e gli altri sport
Oltre che su Ewry, a Saint Louis 1904 l’attenzione del pubblico si rivolse anche verso George Eyser. Il ginnasta di origine tedesche, nonostante un incidente giovanile contro un tram che gli costò la gamba sinistra, non si lasciò scoraggiare e continuò a coltivare la sua passione per la disciplina con una protesi di legno al posto dell’arto mancante. La sua abilità nel bilanciamento e nella forza superò le aspettative, portandolo a qualificarsi per le Olimpiadi proprio nella sua città adottiva, St. Louis.
Eyser (al centro) in verticale sulle parallele con alcuni compagni.
Malgrado la protesi di legno, Eyser si distinse nella ginnastica artistica conquistando ben sei medaglie, di cui tre d’oro, due d’argento e una di bronzo. Dopo le Olimpiadi del 1904 continuò a essere coinvolto nello sport, promuovendo la ginnastica tra i giovani ed esibendosi nonostante la disabilità. La sua vita e il suo esempio rimangono un monumento alla forza di volontà umana e alla capacità di superare le sfide con grinta e spirito indomito.
Tra gli altri sport fece il suo esordio la boxe, intesa secondo la nostra concezione moderna. Il Marchese di Queensberry infatti riuscì a dare per la prima volta un ordine e delle regole a uno sport fino ad allora fortemente soggetto all’interpretazione, con la proibizione di alcuni colpi e prese e, soprattutto, l’obbligo dei guantoni nei combattimenti. Per quanto riguarda il nuoto, le gare si svolsero nelle acque impervie del Mississippi. Se fino a Parigi 1900 il movimento base prevedeva bracciate compiute con la testa fuori dall’acqua, a Saint Louis 1904 i pochi australiani presenti fecero conoscere al mondo il crawl, lo stile libero praticato oggigiorno in tutte le piscine del mondo e mutuato dalle popolazioni polinesiane.
Abbiamo già visto nella rassegna ateniese come fosse la normalità che un singolo atleta gareggiasse in più discipline completamente differenti. Stessa cosa accadde nel Missouri con George Lyon. Lyon era un discreto giocatore di cricket, membro del Toronto Cricket Club e nel giro della Nazionale canadese. Come molti esponenti del ceto medio-alto dell’epoca, Lyon riconobbe nel golf un modo per tenersi allenato e rilassarsi all’aria aperta. Con il suo ritmo tranquillo e il suo impegno fisico moderato, era infatti un modo piacevole per esercitarsi e socializzare. Sempre più coinvolto dal prato verde, il canadese, all’età di 46 anni, decise di iscriversi al torneo olimpico, all’epoca giocato secondo la forma del match play (incontri uno contro uno in un tabellone in stile tennistico).
Lyon sconfisse turno dopo turno avversari più giovani e preparati e nella finale del torneo affrontò l’americano Chandler Egan, uno dei grandi favoriti. Nonostante i pronostici contro di lui, Lyon trionfò con un punteggio di 3&2 (tre buche in vantaggio con due da giocare), conquistando così la medaglia d’oro. Una vittoria salutata come una delle più grandi sorprese delle Olimpiadi, dato che partiva come outsider nella competizione.
Non solo lo sport protagonista a Saint Louis
Come detto, la manifestazione di Saint Louis 1904 era una grande fiera, anche più grande di quella tenuta a Parigi quattro anni prima. Tra i padiglioni si poteva incrociare veramente di tutto, qualsiasi stranezza e novità, anche dal punto di vista gastronomico. L’idea era di proporre all’America e al mondo cibo innovativ0 per i tempi. L’estate del Midwest era torrida e afosa e per questo uno dei banchetti più gettonati dal pubblico era quello di Arnold Fornachou, uno svizzero arrivato all’Esposizione per vendere gelato. All’epoca i gelati venivano serviti esclusivamente nelle classiche coppette di carta, che finirono in pochissimo tempo grazie al successo del prodotto.
Fornachou notò però davanti al suo stand un siriano, Ernest Hamwi, che stava vendendo un dolce tipico persiano, lo Zalabia, una sorta di frittella sottile. Lo svizzero convinse Hamwi ad entrare in società: uno avrebbe messo il gelato, l’altro avrebbe arrotolato le cialde ancora calde da usare come supporto. Alla fiera – e quindi anche alle Olimpiadi – di Saint Louis 1904 nacque così il cono gelato. Naturalmente, come per tutte le storie che si fondono a leggenda, ci sono parecchie versioni, alcune più solide e convincenti e altre meno. Il grande “rivale” di Hamwi e Fornachou sembra essere l’italiano Italo Marchioni, che registrò a New York un brevetto per il cono gelato già nel 1903. Non sapremo mai se quella di Saint Louis fu effettivamente un’idea originale o un plagio. La storia comunque resta e inquadra perfettamente il contesto di una rassegna con tante ombre e poche luci.
“The Ice Cream Sandwich” registrato ufficialmente presso lo stato del Missouri nel 1904
Come si nota dal racconto, il nome di de Coubertin compare raramente nell’edizione di Saint Louis 1904. Il Barone aveva completamente disertato la rassegna e i pochi dispacci che arrivavano in Francia erano fonte di dispiacere e delusione per un evento decisamente sfuggito di mano. Le strade a quel punto erano due: o mandare all’aria tutto o provare a rimettere il progetto in carreggiata, separandolo dall’Esposizione universale. E quando si parla di organizzare eventi sportivi precisi, ordinati e di successo, chi meglio degli inglesi? Le Olimpiadi non si fermano, appuntamento a Londra la prossima settimana.
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