È il 1910 quando sotto il sole del sud-est barese nasce Oronzo Pugliese, battezzato come da tradizione con il nome del santo patrono del suo paese. A Turi, Pugliese cresce nella semplicità e nel nome dello spirito di sacrificio, come da educazione contadina ereditata dalla famiglia, in una terra in cui l’agricoltura – in particolar modo la coltivazione delle ciliegie, eccellenza del paese – è prerogativa di nascita per molti turesi. In un luogo che sembra tutt’altro che una tierra de fùtbol, Oronzo si innamora del calcio e, dopo la gavetta nel Gioia Del Colle e al Casamassima, attira l’attenzione di un’altra squadra pugliese: il Molfetta.
Qui Pugliese, nella stagione 1932/33, in un calcio rigido come quello degli anni ’30, sperimenta vari ruoli, passando da centravanti a terzino. Successivamente il giovane abbandona la sua terra per approdare al Frosinone – in un’epoca in cui la squadra è nota col nome di Bellator Frusino – prima di intraprendere un costante esodo tra le serie minori del calcio italiano, dove non sfonderà mai ma troverà l’amore grazie al trasferimento nel Siracusa. Infatti è proprio in Sicilia che Oronzo conosce Adelina Scimò, con cui convola a nozze nel 1940. Un matrimonio che gli darà due figli: Francesca e Matteo.
I primi passi di Oronzo Pugliese
Solo chi come il Mago di Turi ha vissuto in una realtà contadina sa quanto accettato e apprezzato possa essere il pagamento in natura, soprattutto quando la valuta consiste in frutta e verdura locale. È proprio così che l’SS Leonzio paga le prestazioni in panchina del neoallenatore Oronzo Pugliese, che riceve mensilmente cassette di arance dal presidente della squadra di Lentini, di mestiere imprenditore agricolo. La gavetta per il giovane Pugliese non finisce mai, neanche da allenatore: l’anno dopo passa al Siracusa, dove oltre ad allenare riprende a giocare fino al 1942 quando, a causa del conflitto mondiale, fa ritorno nella natìa Turi lavorando per un breve periodo presso l’ufficio anagrafe.
Il filo che lo lega alla Sicilia non si spezza, tanto che nel 1944 riprende da dove aveva lasciato, vestendo ancora i panni dell’allenatore-giocatore del Siracusa, trascinato alla fase finale del campionato siciliano di guerra, ed anche del Messina fino a quando, a partire dal 1947, inizia a calcare i campi da gioco solo in giacca. Nella sola veste di allenatore, Pugliese inizia dalla Sicilia la sua ascesa. Una curiosa frase in rima sintetizza il credo calcistico di Oronzo Pugliese, che chiede sempre dinamismo e coinvolgimento ai propri calciatori:
“Tu ti stai / io mi sto / me la chiedi / non te la do.”
L’ascesa da allenatore
La saudade, si sa, non appartiene solo a chi parla portoghese: in un’Italia con differenze territoriali ancor più accentuate di quanto non lo sia adesso, anche Oronzo Pugliese sente la forte mancanza della sua terra. Dopo anni di girovagare tra Sicilia, Reggio Calabria e Siena, decide di riavvicinarsi a casa. Nel 1961 approda a Foggia, dove nella stagione d’esordio ottiene la promozione in Serie B. La successiva stagione cadetta vede i neopromossi Satanelli sfiorare il clamoroso doppio salto, chiudendo al quinto posto a -5 dalla zona promozione, traguardo raggiunto da Messina, Bari e Lazio. Ma è solo il prologo alla gloria, raggiunta dai rossoneri guidati da Don Oronzo nel 1964, anno in cui il terzo posto regala la massima serie.
Speculazione tattica, grinta e tanta dialettica paesana caratterizzano questo astro nascente del calcio pugliese, che in un clima di persistente diffidenza quando non vero e proprio razzismo verso il meridione d’Italia riuscirà a conquistarsi la simpatia ed il rispetto del Paese intero. Emblematica in tal senso una delle frasi con cui avrebbe stimolato un suo mediano in vista di un match contro il Milan.
“Se a fine partita sul tavolo dello spogliatoio non trovo un orecchio di Gianni Rivera, non ti faccio più giocare!”
Il 1964 non è un anno propizio per un allenatore in cerca di celebrità: il calcio mondiale in quegli anni si inchina dinanzi alla Grande Inter del Mago Helenio Herrera. Ma a chi come Pugliese viene dalla terra e dal sacrificio, questi discorsi e privilegi destinati ai big non sono mai piaciuti. Nonostante l’inizio un po’ incerto, al tenace allenatore bastano cinque mesi per entrare per sempre nella storia del Foggia. Il 31 gennaio 1965 allo stadio Pino Zaccheria va in scena la 19a giornata di Serie A, dove i presenti possono assistere allo scontro tra due “maghi”: l’Internazionale di Helenio Herrera ed il Foggia neopromosso di Oronzo Pugliese.
Lazzotti e la doppietta di Nocera valgono uno storico 3-2 per il Foggia, che sovrasta l’Inter di Luisito Suarez e del Galgo Joaquin Peirò. Quella fredda serata foggiana dà inizio a una leggendaria e curiosa rivalità tra i due “maghi”, con Oronzo Pugliese che non mancherà quasi mai di dar filo da torcere all’argentino né di riservargli qualche stoccata, soprattutto in relazione al cosiddetto calcio psicologico di Herrera e all’ipotesi di un cronista secondo cui lo stesso Pugliese si fosse avvalso della psicologia per metterlo nel sacco:
“La psicologia è roba da ricchi, a noi poveri ci aiuta la grinta.”
Herrera e gli altri: le vittime di Oronzo Pugliese
Il Foggia continua a stupire tutto il Paese, soprattutto dopo l’altra vittoria con una “grande” arrivata sempre in casa, stavolta contro la Juventus, grazie alla benedizione del gol di Majoli. I rossoneri di Puglia chiudono la stagione al nono posto a pari punti con la Roma. Proprio la squadra capitolina decide di puntare su Oronzo Pugliese, ormai in rampa di lancio dopo aver vinto il premio Seminatore d’oro per la stagione 1963-64. L’obiettivo dei giallorossi col nuovo tecnico è raggiungere vette ancora più alte dei recenti successi in Coppa della Fiere e Coppa Italia, conquistata per la prima volta nella storia del club nel 1964.
Pronti-via e già a settembre Pugliese vince il suo secondo “derby dei maghi” contro Herrera per 2-0, con Benítez e Barison che infiammano l’Olimpico. Neanche al ritorno a San Siro l’Inter riuscirà ad imporsi e sarà fermata sul 2-2 dai giallorossi, con i gol di Mazzola e del solito Luisito Suarez a rispondere ai centri di Barison e Spanio. E sebbene a fine anno Herrera si laureerà campione d’Italia e i giallorossi termineranno solo all’ottavo posto, l’ottima partenza della Roma e la momentanea vetta della classifica innescano un acceso dibattito pubblico che getta benzina sul fuoco della rivalità tra Herrera e Pugliese. Tanto che, interpellato e provocato dal giornalista Cesare Lanza, che cita una frase di Herrera sul fatto che la Roma sarebbe rimasta in vetta al massimo due settimane, Oronzo Pugliese si prodiga in una risposta leggendaria:
“Scrivi! Scrivi che al Mago gli brucia, gli brucia… gli brucia all’ano!”
Una caratteristica che sicuramente il calcio di Oronzo Pugliese ha sempre mostrato è l’umiltà, sintentizzabile con il mantra “rispetto per tutti ma paura di nessuno”. A dar forza all’epica bagarre con il Mago Herrera, la Roma di Pugliese ferma due volte i nerazzurri con il risultato di 0-0 anche la stagione successiva, 1965-66, nonostante la forte disparità di valori nel confronto con una rosa che quell’anno arriverà fino alla finale di Coppa dei Campioni. Il 4 dicembre 1966, inoltre, la Roma castiga in casa all’89’ la Juventus con un autogol di Bercellino: la reputazione dei bianconeri di squadra pressoché imbattibile viene messa in discussione da un umile “paesano del sud”, proprio come accaduto alla Grande Inter.
Quando viene intervistato, Pugliese non nasconde il rispetto per il valore degli avversari più blasonati ma tiene sempre bene a mente l’obiettivo, come si dice dalle sue parti, di “p’rte i péte o’ paréte“ – testualmente “portare i mattoni alla parete“, una sorta di equivalente del più noto “mettere il grano in cascina“ – e, quando non può esprimere il suo gioco, mira a neutralizzare quello degli avversari, non esimendosi da schermaglie verbali anche al cospetto dei più quotati colleghi.
“Non sono io l’Herrera del sud, è lui il Pugliese del nord. Adesso voglio vedere se quello lì fa una delle sue magie (ride, ndr). Guardalo, se gli metti due buste della spesa accanto ai piedi sembra mia nonna.”
Declino e addio
Nonostante alcuni picchi molto alti, Oronzo Pugliese non porterà mai la Roma alla conquista di un titolo e la sua ultima stagione, la 1967-68, sarà conclusa al decimo posto con tanto di beffa: sulla panchina della Roma sarà rimpiazzato proprio dal suo rivale Helenio Herrera. Non prima però di togliersi qualche altro sfizio, come la vittoria a Torino con gol di Capello contro la Juventus o il pareggio con il leggendario Milan che vincerà scudetto e Coppa delle Coppe quell’anno.
Si chiude però con un tremendo tonfo il lungo duello con la sua nemesi argentina, che nell’ultimo scontro all’Olimpico lo sconfigge con un perentorio 2-6 grazie alle doppiette di Mazzola e Corso e ai gol di Cappellini e Domenghini. Chiusa l’esperienza alla Roma, Pugliese non mette più radici: passa per poco tempo da Bologna, poi dalla “sua” Bari – ultimo miracolo della sua carriera – e alla Fiorentina. Chiuderà la sua carriera di allenatore senza fissa dimora nelle serie inferiori.
“Dico: se avete ancora una briciola di sangue, combattete. Io uso i proverbi. Ripeto sempre: finché il polso batte, l’ammalato si salva. Con i proverbi ho salvato le squadre. I giocatori erano scontenti per il pareggio? E io ripetevo: chi si accontenta gode. I frutti si son visti.”
Don Oronzo fuori dagli schemi: da Banfi agli altri ricordi
Che Oronzo Pugliese sia stato un unicum nella storia del nostro calcio è innegabile, soprattutto passando al vaglio alcune delle dichiarazioni più iconiche per capire la schiettezza del turese. Troviamo esempi nel rapporto con i calciatori stranieri – “non ci capiamo tra noi italiani, figuriamoci…” – spesso connotato da frasi che ai giorni nostri sembrerebbero quantomeno grottesche, come quella rivolta al suo giocatore Joaquin Peirò ai tempi della Roma:
“Siete furbi voi stranieri. Quando vi va, mi capite. Quando non vi piace ciò che dico, fate finta di non capire!”
Senza dimenticare il “Peppa per peppa, mi tengo la peppa mia”, riferito ad alcuni nomi accostati alla sua squadra durante il mercato e da lui ritenuti non esattamente convincenti, o ancora l’iconica risposta ai fischi dei milanisti quando era sulla panchina del Foggia e dopo aver perso “solo” 1-0 nonostante rose di valori non paragonabili:
“Quando il pesce grosso non riesce a mangiare il pesce piccolo, il pesce grosso brucia!”
Tutto questo era Oronzo Pugliese, un allenatore che portava in campo la tradizione contadina anche con la scaramanzia, che seguiva in maniera ferrea in materia di abbigliamento. Due curiosi aneddoti su tutti: le scarpe di colori diversi indossate nelle partite importanti e gli abiti di lino indossati anche nelle fredde trasferte invernali al nord Italia. O ancora la leggenda secondo cui era solito spargere sale dietro le porte prima della partita. Quando, a tal proposito, gli chiedevano: “Ronzino, perché vai dietro a queste fesserie?“, lui rispondeva sarcastico: “Quanto costa un pacco di sale?“.
Durante la stesura e la preparazione di questo articolo, una parola mi ha costantentemente guidato: curiosità. Ed è sicuramente curioso il modo in cui la fama del Mago di Turi abbia ricevuto nuova linfa: è accaduto grazie ad una figura del grande schermo divenuta un’icona del cinema italiano, l’Oronzo Canà di Lino Banfi, storico Allenatore nel Pallone, che pare aver preso ispirazione per il suo personaggio più famoso proprio da Pugliese, di cui conobbe la storia grazie al racconto di Nils Liedholm durante un viaggio in treno.
C’è poi il ricordo di una bandiera del Bari, Pasquale Loseto, che riferisce come Pugliese controllasse sotto le porte delle camere di albergo durante i ritiri per stanare chi faceva le ore piccole. Ma la consacrazione definitiva della figura di Oronzo Pugliese arriva grazie suo storico rivale, Helenio Herrera, che su di lui ha detto:
“Un personaggio dalla carica umana eccezionale. Sembrava brusco, rude, urlava, però era giusto. In fondo voleva soltanto arrivare.”
Queste sono solo alcune delle dichiarazioni che consegnano Pugliese agli annali del nostro calcio, una storia meravigliosa di una persona che forse avrebbe meritato raccolti più rigogliosi.
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