Alcuni lo hanno definito il Lupin italiano, altri un “genio criminale”. Quel che è certo è che Leonardo Notarbartolo, a più di 20 anni di distanza dal suo celebre colpo in Belgio, è noto come il più grande ladro italiano di tutti i tempi grazie a quello che viene ricordato come “il furto del secolo”. Il suo è un appellativo difficile da scrollarsi di dosso ma ciò che fa più male è pensare che non gli sarebbe mai stato affibbiato se avesse fatto scelte diverse e avesse continuato a giocare a pallanuoto, la sua grande passione.
Gioventù travagliata
Nato a Palermo nel 1952 da mamma casalinga e padre mezzadro, Notarbartolo si trasferisce a Torino in tenera età. L’approccio con la nuova realtà, con i compagni di scuola che lo emarginano e con un contesto sociale non esattamente idilliaco per un emigrato, lo porta al primo furtarello di 5.000 lire.
Non so dire se e in che modo i disagi che ho avuto nel corso dei primi anni di scuola elementare abbiano influenzato le mie scelte successive e se mi abbiano portato verso le persone sbagliate. Al tempo ero molto piccolo, ma già mi rendevo conto di esser visto in maniera diversa rispetto agli altri. Non è facile guardare i coetanei che corrono e che ti lasciano indietro. I bambini della mia classe non hanno dovuto ripetere la prima elementare per ben tre volte come ho fatto io, questi sono avvenimenti difficili da superare, traumi che ti porti dentro e che ti fanno compagnia per tutta la vita.
Un’immagine del giovane Notarbartolo
Il furto del secolo
La carriera da ladro di Leonardo inizia molto presto e si concentra fin da subito su gioielli e diamanti.
Avvicinato in un bar di Anversa – città nella quale ha un appartamento in affitto – da un tale di nome Geremia, Notarbartolo viene a sapere che quest’ultimo sta mettendo a punto un piano per rubare il tesoro custodito all’interno del caveau dell’Antwerp World Diamond Center e decide di unirsi a una squadra composta da “il Chiavaro”, abile nel forzare le serrature, “il Mostro”, capace di disattivare qualsiasi sistema di allarme e “il Genio”, cioè colui che hackerava computer e telecamere. Notarbartolo, che ha preso in affitto un ufficio all’interno del Diamond Center, ha una memoria eidetica che gli permette di studiare ogni dettaglio del personale e di individuare le falle del sistema di sicurezza. È l’infiltrato perfetto.
Arriva dunque il momento della verità, del grande colpo: è la notte tra il 14 e il 15 febbraio del 2003 e, mentre le coppie festeggiano San Valentino, Notarbartolo e i suoi compagni danno il via al loro piano: la banda riesce a superare i sensori, le telecamere e i radar presenti fino ad arrivare nel cuore del centro. Sembra un film ma non c’è niente di più vero. Alle 5.12 il gioco è fatto: la banda di Torino ha saccheggiato il caveau più sorvegliato del pianeta portandosi a casa diamanti per un valore vicino ai 150 milioni di euro. Meno di un’ora più tardi sono già tutti nell’appartamento di Notarbartolo ad esultare.
All’indomani dell’operazione i ladri decidono di ritornare in Italia. È filato tutto liscio. O almeno così sembra.
A pochi metri dal traguardo, infatti, un piccolo dettaglio fa svanire i sogni di gloria della gang. Da un sacco della spazzatura abbandonato in un campo da Notarbartolo prima di scappare, fuoriescono alcune fatture intestate alla sua azienda e un panino grazie al quale la polizia risale al suo DNA. Una settimana più tardi il Lupin palermitano viene arrestato. Nel 2005 viene condannato a 10 anni di reclusione. Nel 2009, grazie alla sua buona condotta, è di nuovo libero.
Un’immagine dell’Antwerp Diamond District. La città belga è considerata la capitale mondiale dei diamanti
Sliding doors
Avvenimenti di questa portata ti segnano, anzi forse è più corretto dire che ti marchiano a vita. Tuttavia, al contrario di quanto si potrebbe pensare, per scoprire quale accadimento abbia rappresentato la vera svolta negativa per Notarbartolo dobbiamo tornare a quando era un ragazzo. Nel 1969 infatti, all’età di 17 anni, il palermitano accetta la richiesta di un amico, Renzo, di aiutarlo a rapinare una gioielleria.
Perché l’ho fatto? Questa è una domanda da un milione di euro, forse anche di più. Non è facile capire e capirsi, non sempre c’è una spiegazione a tutto, certe cose capitano e basta. Probabilmente l’ho aiutato perché era molto amico di mio padre. Ho sbagliato, lo so, ma all’epoca non sono riuscito a rimanere lucido.
Poi il plot twist: a un anno dalla rapina, in cambio di uno sconto di pena Renzo decide di fare il nome di Leonardo, che finisce in carcere proprio mentre la svolta era lì a un passo. La Nazionale di pallanuoto infatti lo aveva convocato per la prima volta.
Nel mio palazzo abitava Lorenzo, un amico che praticava pallanuoto insieme al fratello maggiore Agostino, che un giorno mi ha portato in piscina e, convinto che sapessi nuotare solo perché originario di Palermo, ha deciso di buttarmi in acqua. Ho iniziato ad annaspare, ad arrancare fino al bordo, nessuno mi ha aiutato. Il mio rapporto con questa disciplina è nato per caso ma fin da subito mi sono reso conto di essere piuttosto dotato. Qui a Torino ho avuto la possibilità di giocare con Pizzo, di vedere Parmeggiani, volevo diventare come loro e sapevo di avere le carte in regola per riuscirci. L’approdo in Nazionale mi aveva dimostrato che avevo ragione a crederci davvero.
Una volta scontata la condanna, il treno non è più ripassato. Addio sogni di gloria.
L’arresto ha fermato tutto e, anche se continuo a ribadire che la prigione cambi le persone in positivo, una volta fuori io non ero più lo stesso, lo percepivo. Sfortunatamente la mia avventura in piscina è finita molto presto ma, pensandoci bene, come avrei potuto ricominciare? Non mi vedevo più all’interno di un ambiente sportivo, non mi ci vedevano neanche gli altri. Quando Agostino è venuto a mancare, inoltre, mi sono definitivamente allontanato dalla pallanuoto. La porto sempre nel cuore ovviamente, ma per tenermi in forma una volta libero mi sono dedicato alla corsa e al calcio. Nel tempo ho cercato di trasmettere la mia passione per la pallanuoto ai miei figli, senza però imporgli nulla perché ciò che contava per me era che fossero felici e che scegliessero in autonomia ciò che era adatto a loro. Lo sport è sinonimo di regole ferree, disciplina, educazione e rispetto, valori che ancora oggi i miei ragazzi portano all’interno del loro bagaglio personale.
What if
Sono molti i personaggi famosi che grazie alle loro passioni sono riusciti a cambiare vita e a scappare da situazioni e contesti difficili. Rapper, calciatori, pugili, la lista è lunga. Nel caso di Notarbartolo però il lieto fine non c’è stato.
Il Settebello azzurro è una delle nazionali più titolate del mondo e vanta il primato di aver vinto almeno una volta tutte le 5 maggiori competizioni internazionali: Olimpiadi (1948, 1960, 1992), Mondiali (1978, 1994, 2011, 2019), Europei (1947, 1993, 1995), Coppa del Mondo (1993) e World League (2022). Un palmarès ricco di coppe e medaglie che, col senno di poi, sarebbero potute finire anche intorno al collo di Leonardo Notarbartolo, uno dei più grandi “what if” della nostra pallanuoto:
Mi dispiace tantissimo perché ho il grande rammarico di non essere riuscito a diventare un giocatore professionista nonostante il mio talento e la mia dedizione. Questo dolore profondo rimarrà sempre nel mio cuore, ma dopo il primo arresto non avrei proprio potuto continuare.
Il trailer della serie tv di Amazon Prime dedicata alla storia del “furto del secolo”
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