La celebre stilista transalpina Gabriel Bonheur Chanel, per tutti Coco, soleva dire “bevo champagne solo in due occasioni: quando sono innamorata e quando non lo sono“. Quando nel mondo calcistico si cita il vino spumante per eccellenza si fa riferimento a un ex allenatore che da rappresentante di un’azienda produttrice di champagne si reinventò promotore di un gioco innovativo votato alla zona. “Calcio champagne”, appunto.
Luigi Maifredi, per tutti Gigi, nasce il 20 aprile 1947 a Lograto, in provincia di Brescia, città dalla quale inizierà a muovere i primi passi nelle giovanili per poi proseguire nelle serie minori tra Rovereto e Portogruaro. Interrompe presto la carriera da giocatore per sedersi sulla panchina del Real Brescia, una compagine da lui creata e formata da parenti e amici della zona. Dopo una breve parentesi a Crotone come allenatore in seconda, fa ritorno nella sua provincia, alla guida del Lumezzane, dell’Orceana e infine dell’Ospitaletto in Serie C1.
Gli anni d’oro di Bologna
Nell’estate del 1987 Gino Corioni, suo conterraneo ed ex presidente all’Ospitaletto, lo sceglie per guidare un Bologna deciso a tornare in Serie A. Grazie a una zona pura e a un gioco votato all’attacco, che gli addetti ai lavori iniziano a chiamare “calcio champagne”, i rossoblù dominano il campionato con ben 62 reti segnate, un terzo delle quali realizzate dal bomber Lorenzo Marronaro, seguito in doppia cifra anche da Loris Pradella e Fabio Poli.
Nel 1988, le note dell’inno Le tue ali Bologna (citato anche come Tu sei forte Bologna), scritto da un quartetto di cantanti tutti bolognesi doc come Gianni Morandi, in seguito presidente onorario, Luca Carboni, Andrea Mingardi e Lucio Dalla, accompagnano il ritorno dei felsinei in Serie A non da vittima sacrificale, come capita spesso per le neopromosse, ma da squadra rivelazione caratterizzata da un gioco spettacolare. Il campionato 1988-89, vista la concomitanza con le Olimpiadi di Seul nelle quali è impegnata nazionale italiana, inizia in ritardo rispetto alle consuetudini, consentendo ai club di A di avere più tempo per operare in sede di calciomercato.
Nonostante ciò, l’allora direttore sportivo Nello Governato non riesce ad innestare sulla buona base di calciatori italiani a disposizione i giusti rinforzi stranieri (all’epoca se ne potevano tesserare tre). Il primo a essere acquistato è Stèphane Demol, difensore della nazionale belga ed ex Anderlecht, che già dall’inizio della sua avventura si vanta di aver rifiutato la corte delle più importanti formazioni della Liga spagnola per potersi misurare con la Serie A nell’impianto di gioco entusiasmante di Maifredi. In realtà non lascerà il segno, pur permettendosi il lusso di segnare due gol prima di essere ceduto al Porto, col quale vincerà anche un campionato portoghese.
In attacco, dal campionato cileno approda in Emilia Hugo Rubio, Il Maradona delle Ande che si paragona a Emilio Butrageño. Ma il nativo di Talca non va oltre una doppietta in Coppa Italia contro il Barletta, complice anche un grave infortunio occorso in una gara di coppa contro il Napoli per un’entrataccia dell’arcigno difensore azzurro Alessandro Renica. Sul gong del calciomercato estivo, dopo la rinuncia last minute di Salvatore Bagni, arriva Mika Aaltonen, il primo finlandese a calcare i campi della Serie A. Acquistato dall’Inter dopo una gara di Coppa UEFA contro il suo TPS, viene parcheggiato in rossoblù prima di un prestito al Bellinzona in Svizzera. Non un gran centrocampista ma un ottimo studente, che si iscrive alla facoltà di Economia e Commercio all’Università felsinea, trascorrendo più tempo tra i banchi di scuola che in campo: quattro esami sostenuti contro tre presenze.
Nonostante il flop dei tre acquisti stranieri, la squadra di Maifredi riesce nell’impresa di centrare una tranquilla salvezza, disputando la finale di Mitropa Cup, persa con il Banik Ostrava. E la stagione successiva è trionfale: gli arrivi di Antonio Cabrini e Bruno Giordano, corredati da un tris straniero, stavolta di buon livello, composto da Nikolaj Iliev, Herbert Waas e Geovani, contribuiscono ad un’annata ancora più esaltante della precedente, conclusa con l’ottavo posto e la qualificazione alla Coppa UEFA.
Il Bologna di Maifredi stagione 1988-89, guidato da capitan Pecci
Il grande salto: la Juventus
La zona pura e il calcio votato all’attacco valgono finalmente la chiamata di un grande club. E che club: la Juventus di Gianni Agnelli, Vittorio Chiusano e del nuovo vicepresidente Luca Cordero di Montezemolo, infatti, affida la panchina bianconera al tecnico di Lograto, che sostituisce Dino Zoff. Con Maifredi la Juve vuole contrapporsi ideologicamente al gioco collaudato e dominante in tutto il mondo del Milan targato Arrigo Sacchi. Proprio riguardo al contributo del collega rossonero al cambiamento del gioco del calcio, Maifredi dirà:
Siamo stati io e Zeman a cambiare il calcio, non Sacchi.
Verità o meno, sappiamo che le carriere dei tre tecnici in questione hanno avuto risvolti completamente diversi. L’arrivo in pompa magna è condito da dichiarazioni che tracciano il profilo di un tecnico molto sicuro di sé:
Non ho firmato un triennale perché sono abituato a contratti annuali. Così se vado bene mi rinnovano, se va male me ne posso andare.
La stagione 1990-91 vede ai nastri di partenza la nuova Juventus del profeta del “calcio champagne” tra le favorite, con il duo che ha infiammato le Notti Magiche, Baggio-Schillaci, e il boom di abbonamenti al nuovo Stadio delle Alpi. Lo slogan della campagna sottoscrizioni recita “Scegli la tua zona”, richiamando quella che è la firma tattica del tecnico bresciano. Dal mercato, oltre all’astro nascente Roberto Baggio arrivano anche il neo-campione del mondo Thomas Häßler, il difensore brasiliano Júlio César, i fedelissimi di Maifredi a Bologna Gianluca Luppi e Marco De Marchi e alcuni giovani promettenti come Eugenio Corini e Paolo Di Canio.
L’idea tattica è piuttosto ambiziosa: in un calcio ordinariamente votato al 4-4-2 classico, Maifredi ha idee molto offensive a ariose. Lo schema di partenza è un 4-4-2 a rombo ma con svariate innovazioni ed una fluidità tattica estremamente moderna: di fatto la linea difensiva prevede, oltre ai due centrali (Júlio César e Luppi, quest’ultimo alternato a De Marchi), un terzino destro bloccato, a scelta tra Nicolò Napoli e Roberto Galia, centrocampista adattato, ed un terzino sinistro di spinta come Luigi De Agostini.
A centrocampo, il ruolo di vertice basso del rombo è occupato da uno tra Daniele Fortunato e Corini, con due mezzali estremamente diverse tra loro: sul centro-sinistra un regista come Giancarlo Marocchi, sul centro-destra un folletto molto rapido e portato ad agire sull’esterno come Häßler, tanto che in fase di possesso la manovra bianconera finisce per svilupparsi in una sorta di 3-4-1-2, con il tedesco a scivolare sull’esterno, Marocchi affiancato a Fortunato o Corini e De Agostini a fare il fluidificante. Il vertice avanzato è Baggio, alle spalle della coppia formata da Schillaci e da Gianluigi Casiraghi. Un atteggiamento spregiudicato finalizzato ad ottenere risultati con il bel gioco.
“Siamo una squadra che può battere chiunque e perdere con chiunque”
Il precampionato è abbastanza buono ma il debutto ufficiale è terribile: nel primo impegno stagionale, valido per la Supercoppa Italiana, i bianconeri soccombono al San Paolo contro i campioni d’Italia del Napoli: un pesante 5-1, con Diego Armando Maradona che alza quello che sarà il suo ultimo trofeo da capitano partenopeo. A nulla serve una perla su punizione del Divin Codino: troppo forte il Napoli, che va a segno con Massimo Crippa e le doppiette di Andrea Silenzi e Careca, castigando un collettivo juventino troppo spregiudicato e poco compatto. Un girone di andata abbastanza altalenante porta amaramente Maifredi a commentare:
Siamo una squadra che può battere chiunque e perdere con chiunque.
Se nel girone d’andata la Juventus tiene botta con una classifica dignitosa, la seconda parte di stagione è tremenda, un vero e proprio tracollo con sette sconfitte su diciassette incontri a decretare il settimo posto finale e la mancata qualificazione alle coppe europee dopo ventotto anni di presenza consecutiva. Molti anni più tardi Maifredi dichiarerà che lo spogliatoio non ha mai realmente remato dalla sua parte, raccontando addirittura che prima di un derby, perso di misura contro il Torino, fece decidere la formazione ai giocatori, ripristinando il libero e andando in antitesi con le sue idee e la sua amata zona. Neanche il suo pupillo Baggio riesce a salvarlo con il gol che decide la semifinale di ritorno della Coppa delle Coppe contro il Barcellona: la sconfitta per 3-1 all’andata al Camp Nou è fatale ai bianconeri, che sfiorano solamente la clamorosa remuntada.
Maifredi esulta con Baggio nella poco gloriosa stagione in bianconero
Un decennio di esoneri e delusioni
L’arrivo alla Juventus, che doveva essere il trampolino di lancio verso l’Olimpo del calcio per Maifredi, si trasforma in un punto di non ritorno. Dal 1991, per tutto il decennio il tecnico lombardo viene esonerato in ogni squadra allenata: il Bologna, sceso nel frattempo in Serie B, quindi il Genoa dove riesce a racimolare appena dodici panchine. Dopo un anno sabbatico, nella stagione 1994-95 viene esonerato due volte: da Maurizio Zamparini con il Venezia in Serie B e dal vecchio amico Gino Corioni al Brescia in A.
Nel 1996 Maifredi ci riprova con il Pescara, anche in questo caso senza fortuna e durando solo dieci gare. Decide allora di cercare fortuna all’estero ma i risultati non cambiano: esonero sia in Tunisia all’Esperance che all’Albacete, formazione spagnola impegnata in Segunda División. Con il nuovo millennio, Maifredi decide di tornare in Italia sulla panchina della Reggiana in Serie C1 ma il rilancio è oramai impossibile: arriva puntuale un nuovo allontanamento dopo una sola vittoria in due mesi.
Lontano dalla panchina
Lo “champagne Maifredi” ormai ha perso tutte le sue bollicine da tempo, fermo e invecchiato. Da lì l’idea di abbinarlo, anziché a una panchina di Serie A, ad una squadra immaginaria in TV: nel 2003 nasce il Maifredi Team a Quelli che il Calcio. Per l’occasione, il tecnico bresciano guida un gruppo di ex calciatori, tra i quali Ruggero Rizzitelli e Graziano Mannari, nell’intento di replicare per il pubblico a casa i gol della giornata calcistica. Sempre con lo stesso gruppo di calciatori partecipa poi a un cameo, interpretando sé stesso come allenatore nel film Amore, bugie e calcetto con Claudio Bisio.
Per una questione di cuore torna nella sua Brescia, dapprima come direttore tecnico, quindi come dirigente, ricoprendo perfino, seppur solo ad interim, il ruolo di allenatore delle Rondinelle nella stagione 2013-2014 al posto del dimissionario Marco Giampaolo. Recentemente Maifredi ha dichiarato di aver ricevuto offerte dagli Stati Uniti e dal Marocco per guidare scuole calcio e imporre nuovamente la sua idea di gioco.
Un Maifredi paterno nei confronti di Casiraghi
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