Ai giorni nostri siamo soliti vedere sempre di più il personaggio famoso con la influencer e il rapper con la tiktoker. Vent’anni fa invece era l’epoca del calciatore con la velina: come dimenticare il celebre flirt tra Christian Vieri, alfiere della Lazio e dell’Inter poi, ed Elisabetta Canalis. Eppure c’era un tempo in cui si iniziava a idolatrare i calciatori come sex symbol senza bisogno dei social, senza relazioni con donne famose, quando al massimo questi finivano sui giornalini tipo Cioè o sui poster da attaccare nelle camerette delle ragazzine. Il calciatore pioniere da questo punto vista è stato senza dubbio alcuno Antonio Cabrini, ribattezzato il fidanzato d’Italia e grazie a Gianni Brera per tutti conosciuto come il Bell’Antonio.
Vladimiro Caminiti diceva di lui: “È un Rodolfo Valentino del calcio, senza le angosce del divo per forza“. Lontano anni luce dai selfie in spiaggia, dalle storie su Instagram e dai grandi pettegolezzi con donne famose, Cabrini tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta è riuscito a ritagliarsi una grandissima notorietà e a fare breccia nel cuore di milioni di tifose italiane che lo consideravano senza discussione il calciatore più bello della sua generazione. Nessun follower o like sulle foto ma tante letterine dalle ragazzine innamorate che il Bell’Antonio custodisce ancora gelosamente nella casa dei genitori.
Insieme a Paolo Rossi, amico e compagno di squadra sia nel club che in nazionale, fu il primo “artista della pedata” a essere preso in considerazione nell’ambito pubblicitario, lavorando per aziende importanti a livello nazionale e internazionale, riuscendo a rompere in qualche modo gli schemi classici del rapporto tra sport e pubblicità.
La carriera calcistica: Juventus e Nazionale
Nato a Cremona l’8 ottobre del 1957, Cabrini non poteva certo immaginare cosa la vita gli avrebbe regalato crescendo in una piccola realtà a due passi dalla città lombarda, in una cascina chiamata Mancapane a Castelverde. La famiglia infatti non era molto appassionata di calcio, tant’è che mentre mamma Graziella lo portava gli allenamenti e ai provini, papà Vittorio chiamava i vari presidenti delle società della zona per non prendere il figlio in squadra perché avrebbe voluto che in futuro portasse avanti l’azienda agricola di famiglia.
Nonostante ciò Antonio si fece notare sin da subito sui campi di provincia con la prima maglia del San Giorgio di Casalbuttano per poi passare nelle giovanili della Cremonese sotto l’occhio vigile di Ivanoe Nolli detto “Babo”, al quale sarà sempre riconoscente per averlo scoperto e plasmato come giocatore, cambiandogli il ruolo da ala, con il sogno di diventare il nuovo Pierino Prati, a terzino. “Il calcio cremonese aveva perso una discreta ala e guadagnato un promettente terzino” dichiarò il giovane giornalista Carlo Felice Chiesa.
Oltre a essere stato uno dei primi sex symbol legati al mondo del calcio, Cabrini è stato il primo terzino a essere definito “fluidificante”, cambiando quella che era la vera essenza del ruolo: il terzino all’epoca era preposto solo a difendere e mai a proporsi in avanti o addirittura ad arrivare alla conclusione in porta. Dopo un buon biennio in grigiorosso passò all’Atalanta in un’operazione in comproprietà con la Juventus: una sola annata a Bergamo in serie B, condita da trentacinque presenze e una rete, prima di spiccare il volo verso la capitale industriale del Paese e la società calcistica italiana più vincente.
A Torino sponda bianconera Antonio trascorse ben tredici stagioni, vincendo tutto quello che si poteva vincere in Italia (ben sei Scudetti), in Europa e nel mondo, divenendo il primo giocatore, assieme al compianto compagno e capitano Gaetano Scirea, ad alzare al cielo Coppa Italia, Coppa Uefa, Coppa delle Coppe, Coppa dei Campioni, Supercoppa Uefa e Coppa Intercontinentale. Concluse la carriera nel 1991 dopo due stagioni al Bologna, portando esperienza e carisma in una squadra giovane che si affacciava sul palcoscenico europeo raggiungendo i quarti di finale della Coppa UEFA.
Una vita in bianconero, Antonio ha sempre decantato la mentalità vincente trasmessa dalla società e soprattutto dalla figura di Giampiero Boniperti, con il quale ebbe sempre un ottimo rapporto. Durante il suo primo giorno da juventino, indicando una foto del Torino neo campione d’Italia Boniperti gli disse: “Vedi questi, sai chi sono? Sei venuto qui per vincere o arrivare secondo? Se sei qui per arrivare secondo accomodati pure, io non ti voglio“.
Cabrini in azione durante un derby contro il Torino
Oltre alla maglia della Juventus, una sorta di seconda pelle, Cabrini è legato in maniera indissolubile alla Nazionale italiana della quale detiene tutt’ora il primato di realizzazioni per un difensore con 9 reti. Lanciato nella mischia dal Vecio Enzo Bearzot, debuttò nel mondiale argentino del 1978 senza aver mai collezionato precedentemente alcuna presenza, vincendo il premio come miglior giovane del mondiale a corollario dell’ottimo quarto posto conquistato dagli azzurri. Quattro anni più tardi arrivò la vittoria più importante della sua carriera: sotto il cielo di Madrid la leggendaria nazionale di Bearzot sollevò al cielo la Coppa del Mondo dopo aver sconfitto in finale la Germania Ovest per 3-1, nonostante l’errore dal dischetto dopo pochi minuti proprio di Cabrini con il risultato ancora sullo 0-0.
Non era il rigorista titolare ma con Giancarlo Antognoni in panchina si assunse la responsabilità nella partita più importante, con l’amico di sempre Paolo Rossi che sul punto di battuta gli sussurrò un profetico “ma te la senti di tirarlo?“. Il Bell’Antonio era andato invece a bersaglio nel girone eliminatorio nella partita contro l’Argentina quando, dopo il vantaggio di Tardelli, una perfetta conclusione dal limite con il suo proverbiale mancino aveva fissato il punteggio sul momentaneo 2-0. Giocò la sua ultima partita con la maglia azzurra contro la Svizzera in una gara valida per la qualificazione agli Europei del 1988, lasciando posto a quello che all’epoca era considerato il suo erede: Paolo Maldini.
Il Bell’Antonio con la Coppa del Mondo
Il post ritiro: tra panchina, televisione e libri
Dopo il ritiro dal calcio giocato, Cabrini si staccò momentaneamente da quello che era sempre stato il suo mondo, per poi ritornarci come allenatore tra il 2000 e il 2005 con esperienze però piuttosto negative coi club: Arezzo, Crotone, Pisa e Novara. Scelse di tornare in panchina nel 2007 accettando l’incarico da CT della Nazionale siriana, esperienza durata solo pochi mesi per mancanza di programmazione. “Avevo un contratto di tre anni, ma dopo due partite per le eliminatorie del Mondiale me ne sono andato. Hanno i loro tempi, il loro domani può essere tra un mese, manca davvero l’organizzazione“. Da una Nazionale all’altra: dall’esotica Siria, Cabrini tornò in Italia per allenare la nazionale femminile tra il 2012 e il 2017: 61 panchine all’attivo, quasi un segno del destino per colui che nella sua generazione è sempre stato il più amato tra le donne.
Nel mezzo delle sue esperienze come allenatore c’è stato spazio anche per la televisione, prima come concorrente della sesta edizione dell’Isola dei Famosi, poi come opinionista per Dahlia TV e ospite fisso nel talk show Che tempo che fa con Fabio Fazio: “Il calcio mi ha deluso, io non faccio compromessi. Per me sarà una vacanza, non sarò lì per soldi” disse prima di sbarcare a Cayos Cochinos in Honduras per partecipare al reality dal quale si ritirò per un’ernia dopo diciotto giorni sull’isola. Non solo TV per il Bell’Antonio che, dopo aver passato un’adolescenza in campagna a leggere moltissimi libri, si è cimentato anche nella scrittura: prima “Io, Antonio” nel 1988 e poi, più recentemente, “Ricatto perfetto“, “Non aver paura di tirare un calcio di rigore” e “Ti racconto i campioni della Juventus. I fuoriclasse che hanno fatto la storia del club bianconero“.
Anche se il movimento non era in salute come oggi, Cabrini è nella storia della nazionale femminile come uno dei più longevi CT di sempre, alle spalle dei soli Pietro Ghedin, Milena Bartolini e Amedeo Amadei
Un antidivo
Nel complesso, potremmo considerare Cabrini quasi un antidivo, facendo un paragone con i calciatori patinati dei nostri tempi: impossibile da mettere sullo stesso livello mediatico con calciatori tatuati, dai capelli ingellati, perennemente impegnati in storie e storielle con l’influencer di turno. Con molta sincerità e umiltà tipica della zona in cui è cresciuto dichiarò: “Essere bello mi è pure servito, sono stato il primo calciatore a fare pubblicità, però ho sempre saputo gestirmi, poteva arrivare anche la donna più bella del mondo nuda ma se c’era la partita non la guardavo neppure“.
Solo nel pieno della sua notorietà i calciatori iniziavano a essere considerati dei veri e propri vip: “Quando andavamo in trasferta, appena scendevo dal pullman le ragazzine mi tiravano l’oro come se fossi un santo, una volta mi hanno quasi levato i vestiti di dosso“. All’inizio abbastanza contrariato per il soprannome di Bell’Antonio, tratto dal nome del protagonista del libro di Vitaliano Brancati, voleva solo essere Antonio oppure il Cabro come diminutivo del suo cognome e pensare a giocare a calcio.
Nel 1983 spezzò il cuore di milioni di italiane sposando la diciottenne romagnola Consuelo Benzi, una ragazza per nulla famosa e dalla quale ebbe due figli: Martina nel 1984 ed Edoardo nel 1988, due ragazzi sempre molto lontani dai riflettori. Nel 1999 la coppia divorziò prima che Antonio conoscesse Marta Sannito, di 18 anni più giovane, ragazza abruzzese che sarebbe diventata la sua seconda moglie. I due si definiscono una sorta di “Sandra e Raimondo” anche se il Bell’Antonio si reputa più pacato e con meno voglia di litigare rispetto alla gioventù e all’alba dei 67 anni è un giovanile nonno di Leonardo e Ludovica, figli della primogenita Martina.
Oggi Antonio Cabrini lavora come mental coach, è presidente degli Azzurri Legends della FIGC e, al netto degli impegni familiari, ha ancora molto tempo da dedicare a tutte le letterine inviate nel corso degli anni dalle sue ammiratrici, retaggio di un’epoca in cui gli amori giovanili erano contrassegnati dalla fantasia e da una sorta di purezza che forse oggi si è persa: “Ne ricevevo talmente tante che le poste ci regalarono il timbro. Ne ho ancora cinque sacchi da leggere, prima era mia madre che rispondeva alle ammiratrici. Arrivava di tutto: trecce, biancheria intima, ciocche di capelli, anelli e fotografie“.
Antonio Cabrini oggi
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