Pinin e Nino Farina, corpo e muscoli dell’automobilismo italiano

Farina - Puntero

Il mondo automobilistico è sempre stato un palcoscenico per grandi menti e grandi piloti, in grado di rivoluzionare e cambiare le regole del circus. Per alcuni un’automobile non è solo un pezzo di metallo freddo, anzi: in quella grande danza di ingranaggi, bulloni e pistoni vedono una tela su cui poter imprimere la propria essenza umana. Se paragonassimo l’automobile all’essere umano vedremmo come il corpo sia la carrozzeria, ambito di Pinin, e come i muscoli diventino il motore, trasudante di benzina e sempre pronto ad oltrepassare il limite, proprio quello che faceva Nino. Entrambi, in modi diversi, diedero alle auto una parte della loro umanità in modo da renderle quasi eterne.

 

Si parte da Zero

Giovanni Battista Farina soprannominato Pinin, “il più piccolo della covata” in piemontese, nacque nel 1893 a Cortanze. Non erano anni facili in Italia, la situazione economica instabile del paese gravava soprattutto sulle masse contadine ed operaie e la povertà era diffusa. Questa condizione spinse la famiglia di Battista, decimo di undici figli, a cercare fortuna a Torino, città che proprio verso la fine del secolo conobbe una crescita industriale legata soprattutto all’industria automobilistica, con la conseguente nascita prima della Fiat e successivamente di altre case tra cui la Lancia. Sembrava che le automobili potessero allontanare lo spettro della fame e dei tumulti che negli anni avevano abbassato il morale di molti italiani, tanto che alcune delle competizioni più rinomate dell’epoca nacquero proprio durante quel boom industriale, tra cui la Targa Florio, ricordata e rinomata ancora oggi. In questo scenario roseo per il settore, Giovanni Farina, ex pilota automobilistico e fratello maggiore di Pinin, dopo aver appreso il mestiere da un carrozziere locale, decise nel 1906 di aprire un’attività denominata Stabilimenti Farina, in cui andò a lavorare il giovane Battista. Il destino stava già cominciando ad intrecciare i suoi fili poiché, oltre alla carrozzeria, quell’anno Giovanni vide anche nascere il suo primogenito Giuseppe Emilio Farina, chiamato da tutti Nino.

Si parte da Zero, letteralmente, poiché gli Stabilimenti Farina cominciarono a costruire la carrozzeria della Fiat Zero: si trattava del primo modello, non proprio a buon mercato, ideato per essere costruito in quantità tali da prefigurare la produzione in serie, capostipite delle utilitarie dell’azienda di Agnelli. Dopo la parentesi bellica, l’azienda riprese la normale costruzione di carrozzerie e nel 1920 il giovane Pinin decise di intraprendere un viaggio in America. Non per rimanerci ma solo per studiare nuove tecnologie ed allargare i suoi orizzonti; sarebbe stato l’inizio di qualcosa che avrebbe cambiato la sua vita.

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Una Fiat Zero esposta in un museo

 

Linea di partenza

Nell’Italia post-bellica, in crisi in ogni settore, quasi tutte le aziende stavano di nuovo riprendendo le loro normali produzioni. Ritornarono in voga le corse in auto e, non a caso, nel 1922 venne inaugurato il Gran Premio di Monza, tempio della velocità. Un appena maggiorenne Nino, in un mondo che stava cambiando profondamente e che correva più degli anni precedenti, stava muovendo i primi passi da pilota automobilistico. Scontato, quasi previsto dal padre, dato che in giovane età anche lui correva e, si sa, la mela non cade mai lontana dall’albero. Data la partenza in America di Pinin, il papà Giovanni si aspettava che il figlio Giuseppe lo aiutasse in officina ma così non fu. Era il 1925 e Nino, a bordo di una Chiribiri, corse la sua prima gara ufficiale, la Aosta-Gran San Bernardo, non conclusa a causa di un incidente. Questa fu però la sua linea di partenza, quella della pista, ciò che lo avrebbe portato in alto nel mondo dei motori.

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Nino Farina in pista all’inseguimento di Gonzales

 

Primi traguardi

Tornato dall’America, Pinin era rapidamente diventato il direttore degli Stabilimenti Farina, fin quando nel 1930 decise di staccarsi dall’azienda di famiglia per avviare in proprio una nuova attività. Nacque dunque la Società anonima Carrozzeria Pinin Farina, grazie al sostegno di altri imprenditori con cui aveva stretto solidi legami durante la precedente esperienza. Il suo spiccato ingegno era visto di buon occhio dalla famiglia Agnelli, proprietaria della Fiat e con cui Battista aveva lavorato per sviluppare un radiatore innovativo, e da Henry Ford, proprietario della omonima casa automobilistica che addirittura lo voleva assumere come carrozziere. Aiutato anche da Vincenzo Lancia, proprietario della storica casa torinese, Pinin riscosse subito un enorme successo, fino ad arrivare al 1933, anno di lancio della Lancia Astura. In quel modello si manifesta il suo interesse per la concezione aerodinamica, il paradigma costruttivo all’avanguardia in quel periodo. La Astura gli procura diverse critiche per alcune soluzioni ritenute troppo radicali, ma in realtà ben presto gli consentirà di raggiungere risultati fra i più validi nel panorama italiano prima della Seconda Guerra mondiale.

Nello stesso anno il giovane Nino iniziò ad ottenere discreti successi nel mondo delle gare, arrivando a stringere amicizia con il mitico Tazio Nuvolari. Anche l’occhio di Enzo Ferrari si posò su Farina e nel libro Piloti, che gente!, descrisse Nino come:

L’uomo dal coraggio che rasentava l’inverosimile. Un grandissimo pilota, ma per il quale bisognava stare sempre in apprensione, soprattutto alla partenza e quando mancavano uno o due giri all’arrivo. Così, aveva un abbonamento alle corse all’ospedale.

La spericolatezza fu limata grazie all’amicizia con Nuvolari, che si sarebbe rivelata cruciale per i futuri traguardi del giovane pilota, poiché era noto che Nino corresse con spirito aggressivo e arrembante, con un sigaro in bocca e la passione per le belle donne. Davvero altri tempi.

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Pinin Farina in compagnia di Gianni Agnelli, “l’Avvocato”

 

Il glorioso 1950

Sebbene il Secondo conflitto mondiale avesse portato distruzione e incertezza economica, lo spirito di innovazione di Battista Farina non era caduto in battaglia. La sua fabbrica però sì, non per azioni belliche bensì per un grave incendio che la colpì nel 1946. Dopo averla rimessa in piedi e aver cambiato nuovamente produzione, concentrandosi sui vecchi motori aerei Fiat, l’imprenditore torinese decise di portare a termine i numerosi studi di progettazione aerodinamica sulle automobili. Essi ebbero il loro culmine nel 1950 con la Cisitalia 202, una berlina particolarmente rilevante nella storia automobilistica, innanzitutto perché fu la prima vettura al mondo ad essere esposta permanentemente in un museo di arte moderna, precisamente il MoMA di New York, in seconda istanza in quanto primo esempio di Gran Turismo all’italiana del dopoguerra. Il successo fu globale, d’altronde non poteva essere altrimenti con un’auto considerata un’opera d’arte. Da quel momento in poi Pinin sarebbe stato coinvolto nella progettazione di numerosi modelli di case automobilistiche tra cui Ferrari, Triumph, Jaguar e Alfa Romeo. Negli anni, anche le collaborazioni con fabbriche oltreoceano avrebbero portato importanti sviluppi nell’ambito della comunicazione d’azienda, temi all’avanguardia all’epoca.

Il 1950 segnò una svolta fondamentale anche per Nino: l’ormai esperto pilota arrivava da grandi successi con Alfa Romeo, Maserati e Ferrari ed era diventato abbastanza famoso nel mondo delle corse. Già dal termine della guerra si correva il Gran Premio delle Nazioni ma si cominciava a discutere dell’idea di istituire un grande campionato organizzato dalla FIA (Federation Internationale de l’Automobile) che avrebbe avuto caratura mondiale. Il 13 maggio di quell’anno si diede il via al primo Gran Premio della storia del Mondiale di Formula Uno, il 3rd British Grand Prix a Silverstone. A bordo di un’Alfa Romeo 158, Nino riuscì a partire in pole position, marcare il giro più veloce e vincere la corsa. Il calendario mondiale prevedeva per il 1950 sette eventi, Farina partecipò a sei di questi e ne vinse tre: Gran Bretagna, Italia e Svizzera aggiudicandosi, con solo 30 punti, il primo titolo mondiale di Formula Uno della storia. Quel ragazzo, prima così spericolato e testardo ed ora affidabile e maturo, ce l’aveva fatta. Peraltro all’età di quasi 44 anni, tanto da essere ancora oggi il secondo pilota più anziano dopo Fangio ad aver vinto un Mondiale.

Highlights del GP di Silverstone del 1950, il primo della storia della F1

 

Ascesa e fine dei Pininfarina

Dopo questi avvenimenti i Pininfarina avevano già iniziato ad esistere, anche se non ufficialmente. Ancora oggi l’eco delle azioni di Pinin e Nino risuona nel mondo dell’automobilismo.

Ufficialmente il cognome Pininfarina venne riconosciuto alla famiglia grazie ad un decreto del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi nel 1961. L’ultimo grande atto del destino è stato quello di congiungere la vita dei due uomini anche nella morte. Il 1966 fu per entrambi l’ultimo anno di vita: il 3 aprile Battista Pininfarina morì per un male incurabile, Nino perse la vita il 30 giugno in un tragico schianto contro un albero, mentre era in viaggio verso il Circuito di Reims-Gueux per assistere al Gran Premio di Francia, nei pressi del villaggio di Aiguebelle.

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Pininfarina con una delle sue creature, la Lancia PF200

 


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catenaccio

Di Valerio Serra

Scrittore appassionato ed aspirante giornalista. Approfondisco e amplio i miei orizzonti. La mia più grande passione è e sarà sempre l'automobilismo.