Alessandra Campedelli è un nome che meriterebbe più credito nell’opinione pubblica sportiva. Una lady di ferro che ha fatto dell’applicazione e della forza di volontà un mantra inossidabile, capace di portare avanti i suoi ideali anche in condizioni precarie. E che è stata un autentico baluardo dell’inclusione nel mondo dello sport, nello specifico della pallavolo.
Dagli inizi come professionista nell’hockey su prato, ha saputo mettere a frutto la sua arguzia e i suoi studi per diventare una quotata allenatrice nel volley, andando a spezzare ogni sorta di pregiudizio. Dapprima facendosi strada come donna in un mondo riservato agli uomini, successivamente mettendo a frutto gli anni come madre di un non udente ed insegnante di sostegno per dare una dignità nella pallavolo agli atleti affetti da sordità, quindi gettandosi anima e corpo in un’impresa titanica come CT della nazionale femminile di un Paese afflitto da un regime cruento e misogino. E là dove le donne vengono messe in condizione di non poter far sentire la propria voce, Campedelli ha sfidato il regime fino a rischiare la propria incolumità.
Sport a tutto tondo
Alessandra Campedelli nasce a Rovereto il 12 settembre 1974. Il suo approccio all’agonismo non è esclusiva di una disciplina specifica, pratica diversi sport. Come spesso capita agli sportivi di indole, studia sognando di poter diventare insegnante di educazione fisica. Dopo il liceo scientifico consegue il diploma ISEF e, da privatista, anche quello magistrale. Diventa insegnante di sostegno con in testa un obiettivo chiaro: dimostrare che lo sport e l’attività fisica sono indispensabili mezzi di inclusione.
Con la sua dedizione dimostra gli effetti positivi che l’attività motoria ha sulle capacità di apprendimento dei ragazzi, sia come formazione per le varie discipline sportive che anche per la creazione di rapporti interpersonali fondamentali per la vita di tutti i giorni. Anche durante le sue due gravidanze continua ad approfondire questi aspetti e a nutrire la fame di sapere. Consegue la laurea specialistica in Scienze e Tecniche dello Sport e si iscrive alla facoltà di psicologia con l’intento di frequentare il master in Psicologia dello Sport.
Non c’è solo l’insegnamento nella vita di Campedelli: come detto, fin da ragazza si tuffa in vari sport ma ce n’è uno che la attira più degli altri: l’hockey su prato, che pratica con profitto, giocando in varie squadre del Trentino ed arrivando addirittura ad indossare la maglia azzurra, fino ad avviare una carriera come allenatrice, chiusa repentinamente a seguito di un grave incidente subito da una giovane giocatrice.
Terminata l’avventura nell’hockey, entra nel mondo del volley quasi per caso, grazie alla conoscenza dell’allenatore Sergio Hoffer, che diventerà il padre dei suoi figli. Campedelli è una donna che unisce agli ideali una grande intelligenza, quindi mette a frutto tutto il bagaglio sportivo e umano fin lì maturato, riuscendo a frequentare i centri di qualificazione regionale grazie all’esperienza come allenatrice di hockey e, al contempo, entrando a contatto con numerosi professionisti, dai quali può “rubare” tecniche e segreti della pallavolo.
Unendo gli studi e le esperienze maturate, arriva ad allenare per dieci anni la rappresentativa regionale femminile del Trentino Alto Adige, per poi passare quattro anni sulla panchina di una squadra giovanile maschile, in cui tra l’altro allena anche il suo primogenito Nicolò. È l’unica donna di uno staff tutto al maschile.
Nicolò Hoffer, figlio di Alessandra Campedelli, con la maglia di Piacenza
Esperienza sulla propria pelle
La sfida più grande che segnerà in maniera indelebile il suo futuro è quella intrapresa con il secondogenito. Riccardo Hoffer infatti è diventato sordo pochi mesi dopo la nascita e pratica pallavolo fin da ragazzo, sempre in un contesto di ragazzi udenti e grazie anche all’utilizzo di un impianto cocleare. Una situazione che il ragazzo non vive bene e che ben presto inizia a far sorgere in lui un sentimento di diversità e mancata omologazione: si sente meno fortunato, quasi in difetto, pur se per qualcosa indipendente da lui. Una situazione che spinge Alessandra ad unire la sua esperienza nel mondo dello sport a quella pregressa come insegnante di sostegno, facendosi nuovamente portavoce dello sport come veicolo di inclusione. Si avvicina alla FSSI (Federazione Sport Sordi Italia), inserendo il figlio in un contesto a lui più vicino e permettendogli di trovare persone che quotidianamente fronteggiassero gli stessi suoi ostacoli nella vita e nello sport, come le difficoltà nello sviluppo del gioco.
Campedelli diventa allenatrice del Brescia, che partecipa al campionato nazionale FSSI, con in squadra il figlio Riccardo. Un passaggio essenziale per la crescita anche sportiva del ragazzo, che arriva addirittura a calcare i campi dell’A3 con i Diavoli Rosa di Brugherio nel 2022 nel ruolo di libero.
Il figlio Riccardo con la maglia dei Diavoli Rosa di Brugherio
Quella che nasce come necessità familiare diventa uno spunto professionale per Alessandra. La sfida è l’utilizzo di un nuovo metodo di comunicazione che permetta di inviare i canonici messaggi della pallavolo. Spogliare le indicazioni da tutto ciò che può essere fuorviante per l’atleta in modo da rendere quest’ultimo il più efficace possibile in campo. Come prima cosa Alessandra impara da zero la lingua dei segni e si dedica anima e corpo allo sviluppo della comunicazione non verbale. Un’abnegazione che dà i suoi frutti, garantendole la possibilità di allenare la nazionale di pallavolo femminile per non udenti nel 2016, un incarico esteso sia alla Nazionale maggiore che a quella Under 21. Obiettivo? I Deaflympics, le Olimpiadi per sordi dell’anno successivo in Turchia. Una nazionale relativamente giovane, nata nel 1990 e che mai ha portato risultati in un’Olimpiade. Campedelli è speciale e permette alle sue ragazze di raggiungere la prima storica medaglia d’argento, alzando bandiera bianca solo davanti alla corazzata Giappone.
Il suggestivo inno nazionale con la lingua dei segni
L‘intero movimento della pallavolo silenziosa risente positivamente degli ottimi risultati ottenuti in Turchia: nel 2018 c’è l’argento europeo Under 21 e anche l’oro senior nel 2019, sempre nella kermesse continentale. Proprio alla vigilia di quest’ultimo successo, coach Campedelli dichiara che per il successivo impegno dell’Under 21 dovrà fare una selezione perché per la prima volta ci sono troppe atlete rispetto ai posti disponibili: una vittoria immensa. I risultati continuano ad arrivare, tanto che nel 2021 la nazionale senior conquista anche l’argento ai Mondiali di casa a Chianciano e Chiusi. Ma tutto questo passa quasi in secondo piano se confrontato con l’avvicinamento di un numero sempre maggiore di atleti alla disciplina, un risultato sociale che fa comprendere ancora di più la potenza dello sport, che appiattisce e spoglia l’atleta delle diversità, mettendo tutti sullo stesso piano.
La nazionale italiana sorde durante i festeggiamenti
Pallonate contro il regime
Già nel periodo immediatamente precedente alla pausa Covid la nazionale femminile iraniana è alla ricerca di una nuova guida tecnica. Dopo un colloquio con Velasco, con il quale aveva lavorato nei centri federali e che ha allenato la selezione iraniana maschile dal 2011 al 2014, Campedelli decide di candidarsi. La pandemia rallenta il processo decisionale, rimandando il tutto di un paio di anni. Nel 2021, quando la trattativa sembra ormai naufragata, arriva la chiamata. Alessandra è un po’ titubante, ovviamente il Professor Velasco le ha illustrato le difficoltà di allenare in un Paese completamente diverso dall’Italia per cultura e ideologia. Ma la sfida è troppo eccitante e stimolante per essere rifiutata, ben sapendo che il modo di vivere delle donne in Iran è agli antipodi rispetto a quello occidentale. Nel dicembre 2021 Alessandra vola per la prima volta a Teheran per scegliere il proprio staff, con la restrizione di dover selezionare un gruppo di lavoro composto esclusivamente da donne: in Iran infatti le atlete non possono essere allenate da uomini.
Per avvicinarsi alle squadra, Campedelli decide di utilizzare la loro divisa e di indossare il velo, provando ad immedesimarsi nella loro quotidianità per capire le sensazioni fisiche e lo stato mentale delle ragazze. Per poterle aiutare non solo come atlete ma soprattutto come donne. Alessandra non può nemmeno immaginare a cosa sta andando incontro: la disparità di genere è una realtà tangibile che il regime impone alle donne e la pallavolo di certo non rappresenta un’eccezione.
Mentre gli allenatori uomini risiedevano al lussuoso Olimpic Hotel, io abitavo in una stanzetta di 3 metri per 3 e le atlete in una camerata di 18 letti. Gli allenamenti venivano fatti al caldo, senza aria condizionata e lo staff medico per noi non è mai esistito.
Condizioni disumane e inaccettabili. Inoltre Alessandra è obbligata a indossare l’hijab anche per le competizioni al di fuori dell’Iran. Nulla però è impossibile con Campedelli al comando: agli Islamic Solidarity Games del 2022, l’Olimpiade dell’Islam con 57 paesi partecipanti, l’Iran batte in semifinale l’Azerbaijan (che la precede di 40 posizioni nel ranking mondiale) e si mette al collo una medaglia d’argento che mancava dal lontano 1986.
Le giocatrici dell’Iran in azione durante un match contro la Cina
Campedelli tocca con mano il potenziale che ha la pallavolo femminile iraniana, pur al netto delle mille difficoltà e degli ostacoli culturali. Ma il vento di cambiamento non piace alla federazione locale, che tarpa le ali ad uno sport seguito con enorme passione nel Paese mediorientale. Basti pensare alla fama dell’ex palleggiatore della nazionale iraniana maschile Saeid Marouf, che ha 2 milioni di followers su Instagram (Giannelli, tra i più famosi in Italia, ne ha un quinto). In ambito giovanile non esistono campionati né alcun tipo di parametro di selezione delle atlete: la federazione ha potere decisionale sulle convocazioni della nazionale e adoperata criteri totalmente soggettivi: l’allenatrice italiana scopre storie di atlete non convocate per aver postato immagini ritenute non appropriate o “colpevoli” di avere le unghie smaltate di rosso e si rende conto che le figure femminili in posizioni di rilievo sono messe lì dalla federazione/regime solo per salvare l’apparenza.
Un Paese nel caos
Nel settembre 2022 il popolo si rivolta al regime. La scintilla è l’omicidio di Mahsa Amini, una ragazza di 22 anni rea di non aver indossato correttamente il velo, arrestata dalla polizia religiosa e portata in carcere a Teheran, dove muore in circostanze a dir poco sospette. Da protesta, il movimento si trasforma in rivolta contro il regime di Ali Khamenei, attuale Guida Suprema dell’Iran ed ex presidente del Paese dal 1981 al 1989. Il New York Times la definisce le più feroce rivolta vissuta in Iran dal 2009. Il regime risponde con una inaudita e uccide oltre 400 manifestanti nel giro di tre mesi, a cui si aggiungono diverse condanne all’impiccagione.
Proteste per strada contro la morte di Mahsa Amini
Per evitare qualsiasi tipo di comunicazione con intenti associativi tra i manifestanti, il governo iraniano blocca anche la rete internet. Alessandra intanto continua a vivere nel centro sportivo federale, nessuno la avvisa di ciò che sta accadendo. La notizia degli scontri le arriva dall’Italia, ma la federazione iraniana continua a negare tutto. Il peggio però deve ancora arrivare e si materializza con l‘invito del presidente Ebrahim Raisi a leggere una lettera scritta dalla federazione in suo favore. Il giorno dell’evento si presentano solo sei atlete. Campedelli, che indossa una spilla nera in segno di protesta, si mette di traverso e decide che non verrà letta alcuna lettera. Un gesto eroico: la paura è tanta ma è la cosa giusta da fare.
Successivamente Campedelli è riuscita a fuggire e a tornare al sicuro in Italia. Il 19 febbraio 2024 ha accettato di diventare allenatrice del Pakistan. Forse ad Islamabad incontrerà qualche difficoltà in meno, anche se la presenza di militari e jihadisti nei gangli della società non sarà d’aiuto.
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