Per i cinefili di tutto il mondo, o almeno per quelli che non si costringono a snobismi da cineforum anni ’70, la data cerchiata in rosso è quella di domenica 10 marzo. A partire dalla mezzanotte circa (ma molto prima se siete appassionati di red carpet e outfit), al Dolby Theater di Los Angeles andrà in scena la novantaseiesima edizione degli Academy Award, meglio conosciuti come premi Oscar.
Giacché gli algoritmi a cui affido la mia vita sul web hanno ben chiare le mie priorità, è da settimane che nelle mie bolle social compaiono alternativamente video di premiazioni passate alla storia e highlights dei vari campionati europei. Ho quindi deciso di coniugare questi due mondi e imporre all’attenzione del gradito pubblico di Puntero la mia personale versione degli Academy Award, dedicati alla nostra più grande amica: la Serie A. Allacciate il papillon e spolverate lo smoking.
Miglior Film: Internazionale F.C.
Via il dente, via il dolore. Ad oggi, inizio marzo 2024, non c’è miglior cinema di quello dei nerazzurri. Così come il favorito Oppenheimer ha fatto incetta di premi fino ad oggi, allo stesso modo i numeri dell’Inter 2023-2024 la decretano per distacco la migliore squadra della Serie A: 23 vittorie, di cui 12 di fila, una sola sconfitta, miglior attacco con 69 gol realizzati, miglior difesa con 13 gol subiti.
Il film di Christopher Nolan e la squadra di Simone Inzaghi veleggiano spediti verso il riconoscimento più ambito, nonostante outsider come le Povere Creature juventine o le Barbie rossonere (che infatti spesso giocano in rosa, ma ne riparleremo). Il fatto che entrambe siano vittorie annunciate è probabilmente l’unico motivo per cui non possono ancora essere date per certe: un po’ per scaramanzia, e per la sfiga che inevitabilmente gli porterà questo endorsement, un po’ perché finché la matematica e i conteggi dei voti non condannano gli avversari, è giusto tenere un condizionale d’obbligo. Dopotutto, agli Oscar un annuncio sbagliato c’è già stato.
“Perchè qui c’è scritto ‘Cinque Maggio'”?
Miglior regista: Thiago Motta
Come per gli Oscar cinematografici, anche qui ci sono statuette praticamente obbligate. Della strepitosa stagione del Bologna si è già detto e scritto molto, e altrettanto si è scritto e detto del suo allenatore. Quello rossoblù è ad oggi un viaggio avventuroso e fantastico degno del Signore degli Anelli: una compagnia eterogenea e insospettabile partita per la propria missione con circospezione e cautela, che ha conquistato man mano risultati grazie a una messa in scena del proprio calcio spettacolare e al tempo stesso artigianale, fatta di costruzioni dal basso e circolazione di palla affinata partita dopo partita, senza rinunciare mai ai propri principi di gioco e al sacrificio per i compagni di viaggio.
La rosa del Bologna in procinto di partire per la tournée estiva precampionato
A guidare la ciurma, un uomo apparentemente non così carismatico ma con una visione chiara del proprio stile, che prima di irrompere sui grandi schermi del calcio europeo ha costruito la propria gavetta con produzioni a basso budget tra Genova e La Spezia. Insomma, Thiago Motta come Peter Jackson, che prima di infilare Il signore degli anelli si era cimentato in una serie di splatter e commedie sconosciute ai più ma divenute cult col senno di poi. Aggiungiamo poi che la città di Bologna è famosa anche per Le Due Torri, e il parallelismo è compiuto.
Miglior attore protagonista: Nicolò Barella
Nicolò Barella è uno dei più forti centrocampisti italiani di oggi, ma la vulgata comune ha ormai preso – a torto o a ragione – una china che lo vede, diciamo così, un po’ troppo teatrale in certe sue reazioni in campo.
Effettivamente gli episodi dubbi non mancano. Ma più in generale, la sensazione è che Barella viva la sua vita sul campo da calcio un quarto di pestone alla volta. Ogni contrasto potrebbe essere fatale, ogni allungo verso il pallone è questione di vita o di morte, ogni occasione sfumata un colpo al cuore potenzialmente irrimediabile. Ciò rende il centrocampista sardo un idolo per i suoi tifosi, che ne adorano la garra e l’abnegazione, e un dito in un occhio per gli avversari, che ne denunciano sempre più spesso quelle che ritengono sceneggiate. Da un punto di vista cinematografico, possiamo definirla come la versione calcistica del metodo Stanislavskij: donare tutto se stesso al personaggio che si interpreta, anche a costo di restarne vittima.
L’episodio più recente e forse anche più vincente per portarsi a casa la statuetta per la migliore interpretazione è sicuramente quello avvenuto in occasione del rigore conquistato contro il Genoa. Effettivamente in questo caso è difficile restare indifferenti davanti alla performance di Barella: c’è chi ne ha contato le piroette, c’è chi ha sottolineato le urla strazianti, personalmente trovo sempre molto ficcante la sua capacità di mettere a disposizione della camera il proprio corpo, incurante dei rischi come uno stuntman professionista. O come Tom Cruise. Ora aspetto Barella nell’abitacolo di un F-14.
Miglior attore non protagonista: Boulaye Dia
Croce di tanti fantallenatori 2023-24, Boulaye Dia si è giocato la nomination al filo di lana con l’altro grande atteso di questa stagione di serie A, El Bilal Touré, che ad oggi sul campo può vantare uno screentime di poco superiore a quello di Anthony Hopkins ne Il silenzio degli innocenti. Ma se all’attore bastarono sedici minuti di interpretazione per portarsi a casa la statuetta grazie al suo Hannibal Lecter, la promessa col numero dieci della Dea, che pure ha collezionato qualche decina di minuti in più, ancora non ha lasciato un segno più di tanto tangibile sul campionato.
Per questo il premio va a Boulaye Dia, che per la stagione della Salernitana è risultato a suo modo più decisivo. Certo, decisivo in negativo, ma pur sempre decisivo. Prima partente, poi trattenuto, di seguito scontento e non disponibile, successivamente infortunato eppure convocato per la Coppa D’Africa, infine ritornato in squadra e poi messo fuori rosa dopo il rifiuto ad entrare in campo nella partita contro l’Udinese. Il tira e molla che si è trascinato per questi mesi lo ha reso la versione in calzoncini del Nanni Moretti di Ecce Bombo, solo che all’altro capo del telefono si sono alternati gli allenatori di questo disgraziato anno di Salernitana: Paulo Sousa, Pippo Inzaghi, Fabio Liverani.
Le immagini esclusive del rifiuto di Boulaye Dia in Udinese-Salernitana
Insomma, se Dia all’inizio della stagione sembrava avere tutte le carte in regola per prendersi la scena di Salerno e portare la sua squadra alla salvezza in serie A, sono bastate poche settimane per capire che la sua permanenza sul set dell’Arechi era avvenuta controvoglia; di conseguenza, quasi tutte le performance di quest’anno sono state a dir poco opache, fino al gran rifiuto di Udine con la decisione di non uscire nemmeno dal suo camerino. Da stella sui manifesti a comparsa nei titoli di coda in meno di sei mesi: a star is dead.
Migliori costumi: S.S.C. Napoli
Questo è un premio alla costanza, oltre che alla fantasia. Sarà pure una stagione poco fortunata per la squadra oggi guidata da Calzona, ma non si può negare che in quanto a fascino delle divise (ok, questa mi è uscita male) il Napoli porti a scuola tutti da anni.
Certo, in questa stagione ci sono stati competitor di un certo livello, uno su tutti il Milan con la sua improbabile divisa color Big Babol masticata, e volendo pure la Juventus che ha cercato di simulare una pelliccia di zebra, ma entrambe hanno finito per scavallare il confine tra originalità e bruttura. Il Napoli no, e lo ha fatto forte della sua esperienza pluriennale sul red carpet delle maglie improbabili della serie A. Ricordiamo ancora con affetto la maglia speciale di San Valentino, quella a suo modo iconica dedicata a Maradona (che aveva suscitato non poche beghe di copyright), o ancora l’inspiegabile renna cartoon di Natale, per tacere della capostipite camouflage).
Quest’anno la società di De Laurentiis si è accontentata di proporre un away kit che riproduce in filigrana il Vesuvio, comunque scelta di grande efficacia tra identitarismo e cattivo gusto, oltre all’ormai tradizionale divisa di Halloween, quest’anno caratterizzata da una trama di teschi di reminiscenza messicana in stile Dia de los muertos che la rende anche un po’ cosmopolita. E lo sappiamo che in tempi di cultura woke un occhio di riguardo alle minoranze va sempre dato. Presentarsi agli Oscar 2024 con questa maglia sarebbe il miglior endorsement anti-Trump possibile.
Miglior acconciatura: Theo Hernandez
Anche in questo caso, si tratta di un riconoscimento che possiamo definire alla carriera. Nel corso dei suoi anni in serie A, la capigliatura di Theo Hernandez è stata capace di attraversare quasi tutto lo spettro della scala cromatica: blu, rosa, giallo, addirittura platino con lo smile. Infine, la svolta intimista: i capelli che tornano castano naturale ma con il geniale colpo di coda della sospetta permanente, giacché i ricciolini così definiti che sfoggia ora il terzino del Milan mai si erano palesati.
“Ogni riccio un capriccio” è già stato detto?
Forse Theo ha voluto dimostrare simbolicamente di essere diventato grande, uomo adulto pronto a tutto per accudire e sostenere i giovani cuccioli compagni di squadra. Esattamente come faceva la Mrs. Doubtfire dell’indimenticabile Robin Williams, disposto anche al travestimento integrale per amore della sua famiglia, bigodini compresi. Un omaggio nell’omaggio a dieci anni dalla scomparsa? Mi piace pensare di sì.
Migliori effetti speciali: il VAR
Diciamolo una volta per tutte: da quando il Video Assistant Referee fa parte della nostra Serie A, ci ha regalato momenti indimenticabili. Colpi di scena, plot twist, minuti interi di suspence che lo hanno reso un serio candidato anche per l’Oscar alla sceneggiatura. Ma non possiamo non concentrarci sullo spettacolo visivo che il VAR ci sta offrendo, grazie al quale è possibile riempire ore e ore di palinsesto polemista e clip da twittare e ritwittare (come si dice adesso? Xare e riXare?)
Mi riferisco in particolare al fascino delle elaborazioni grafiche che, specificatamente nei casi di fuorigioco, vengono mandate in onda ogniqualvolta che deve essere stabilita l’irregolarità o meno della posizione di un calciatore. Ecco, qui il VAR ha decisamente alzato l’asticella dello spettacolo, perché oltre a proporre una veste grafica che ci riporta a quando eravamo giovani e belli e giocavamo a Iss Pro Evolution, ha raggiunto livelli di visionarietà degni dei migliori film di fantascienza. Un esempio su tutti, il fuorigioco fischiato a Leao in Lazio-Milan.
Questa è l’essenza del cinema d’autore. Un’immagine suggestiva, realizzabile solamente grazie alle nuove tecnologie, che affida allo spettatore un ruolo nuovo. Non più solo fruitore passivo dell’opera, ma suo interprete a tutto tondo. Il fuorigioco c’è, ma non si vede: sta a noi trovarlo. È il grande cinema che chiede a chi lo guarda di esserne parte attiva, lo chiama in causa imponendogli di completare il significato dell’immagine col proprio sguardo. Una sfida degna della Nuovelle Vague. Irrati come Truffaut alla fine de I 400 colpi, la linea del fuorigioco come il piccolo Antoine che guarda dritto in camera, noi come gli spettatori di allora, chiamati ad attribuire un senso a quello sguardo che ricambia il nostro. Grande cinema, grande Serie A.
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