Terza e ultima tappa lungo il Bel Paese. Oggi è il momento dei giocatori più rappresentativi per ciascuna regione del nostro Mezzogiorno.
ABRUZZO – Marco Verratti
Discusso e talvolta mal digerito, probabilmente a causa del fatto che abbia preferito una squadra simbolo del calcio moderno e globalizzato all’affermazione in Serie A. Già, perché incredibilmente il nome scelto per l’Abruzzo non ha mai conosciuto l’esordio nel nostro massimo campionato. Parliamo, ovviamente, di Marco Verratti.
Nato a Pescara nel 1992 e cresciuto a Manoppello, paese più noto per questioni religiose che per sfornare calciatori di livello internazionale, l’inizio della sua carriera e le aspettative, che invero non ha mai tradito a differenza di quanto imputatogli da parte dell’opinione pubblica, si fondano sull’averlo ingiustamente assurto a “nuovo Pirlo”.
Vero, la tecnica di base mostrata agli esordi nel Pescara di Zeman è di una cifra elevatissima, di quelle che fanno gridare al futuro fenomeno. Ma Verratti non è mai stato un regista, è una mezzala d’ordine, capace di dare qualità alla circolazione della palla.
Non essere Pirlo, che non può essere una colpa, non gli ha impedito di avere una carriera di prim’ordine, vincendo un Europeo e ritagliandosi un ruolo determinante in un top club come il PSG, che lo ha prelevato dalla Serie B facendone un perno del proprio progetto per 11 anni, in cui sono arrivati titoli a raffica: 9 campionati francesi, 9 Supercoppe, 6 Coppe di Francia, 6 Coppe di Lega, cifre che fanno di Verratti il recordman di vittorie in ogni competizione del calcio francese.
Oggi gioca in Qatar ma ha dichiarato di voler tornare in Italia per chiudere la carriera con il Pescara, cosa che, a meno che non arrivi una doppia promozione del Delfino, potrebbe significare zero presenze in Serie A ed una figura poco celebrata a livello nazionale quanto, piuttosto, una sorta di mito locale.
Un po’ come è stato Mario Tontodonati, altro celebre abruzzese e miglior marcatore della storia del Pescara nella versione Strapaesana degli anni ’40 e ’50, in cui i biancazzurri erano rappresentati quasi esclusivamente da pescaresi.
Hanno raccolto allori e consensi anche in Italia, invece, Massimo Oddo e soprattutto Fabio Grosso, sebbene quest’ultimo sia nato a Roma ma cresciuto a Pescara da famiglia chietina.
Il “centrocampista definitivo”, non una dicitura casuale
MOLISE – Mirco Antenucci
Solo la Valle d’Aosta, tra le regioni d’Italia, conta meno abitanti del Molise. Incastonata tra Puglia, Campania, Lazio e Abruzzo, la regione della quale l’ironia anni ’10 di Facebook ci aveva fatto dubitare l’esistenza non ha mai portato grossi nomi tra i calciatori di Serie A.
Il miglior calciatore ad aver rappresentato il Molise su un campo di calcio rimane Mirco Antenucci, attaccante buono per tutte le stagioni e tutte le categorie. Non tantissime presenze in Serie A, a dire il vero, appena 87 apparizioni con 17 gol, ma sicuramente un giocatore che ha lasciato il segno in molte squadre come bomber di razza nelle categorie inferiori.
Bandiera soprattutto della Spal, riportata in A dopo un digiuno di 49 anni e nella quale oggi è tornato per chiudere la carriera in Serie C, Antenucci ha indossato anche, tra le altre, le prestigiose casacche di Leeds United, Catania, Pisa, Torino e Bari, di cui rappresenta il secondo miglior cannoniere di sempre.
Per il resto, il Molise è noto per essere la terra d’origine di alcuni oriundi che hanno calcato i campi di Serie A, come Vecino, Musacchio e, soprattutto, Giuseppe Rossi che, essendo nato e cresciuto negli Stati Uniti, non è candidabile per questa rassegna.
Come dimostra il titolo, Antenucci si è fatto apprezzare anche dai tifosi del Leeds, nella sua esperienza inglese
CAMPANIA – Fabio Cannavaro
Regione piena di calore e rivalità calcistica, la Campania si cinge attorno a Napoli, non solo meraviglioso capoluogo ma polo di riferimento calcistico e del tifo del meridione italico.
Terra di bomber di razza e di grande continuità in carriera, con tre realizzatori nella Top 15 all-time in serie A (Ciro Immobile, Antonio Di Natale e Fabio Quagliarella), cui si aggiunge anche l’Aeroplanino Vincenzo Montella, colpisce come nessuno di questi sia effettivamente un prodotto del vivaio partenopeo.
Ma quando hai un Pallone d’Oro in regione, il nome più rappresentativo non può che essere lui. Che del Napoli è stato il più scintillante prodotto proveniente dal vivaio. Parliamo ovviamente del capitano ed eroe delle notti tedesche del 2006, Fabio Cannavaro. Difensore moderno, dotato di tempismo, eleganza e al tempo stesso di una grande elevazione che lo ha reso fortissimo nel gioco aereo, pur a dispetto di una statura non esattamente titanica.
Nel ricordo di chi ha vissuto l’estate del 2006 non può non risuonare nella mente la voce di Fabio Caressa, totalmente e giustamente esaltato da questo scugnizzo che a 33 anni si è preso una nazione sulle spalle anche se privato, a causa di un infortunio, del suo straordinario compagno di reparto Nesta.
Anche prima del 2006, pur al netto del passaggio a vuoto con la maglia dell’Inter, Cannavaro è stato universalmente riconosciuto come uno dei migliori difensori d’Europa, sia con la maglia del Parma che con quella della Juventus.
Oltre al Mondiale, al Pallone d’Oro e al FIFA World Player del 2006, la sua bacheca non ne rispecchia la grandezza: 2 Europei Under 21, una Coppa UEFA, 2 Coppe Italia, 2 Liga spagnole con il Real Madrid e lo scudetto del 2005 con la Juventus cancellato da Calciopoli.
Un palmarès che non gli rende giustizia e che lo colloca, a livello di club, al di sotto di un altro grande difensore cresciuto nel vivaio partenopeo, Ciro Ferrara, un difensore di primissimo livello capace di vincere tutto, tra cui Champions League, Coppa UEFA, Coppa Intercontinentale e ben 7 scudetti.
Quasi 4 minuti di Cannavaro che domina ai Mondiali del 2006
PUGLIA – Franco Causio
Lo scrittore André Pieyre de Mandiargues disse che nessun luogo al mondo come la Puglia poteva dare agli uomini una così alta e piacevole sensazione di essersi allontanati nel tempo e nello spazio. E se ciò è vero per le sue meraviglie naturalistiche e architettoniche, anche nel calcio la regione ha offerto uno scenario idilliaco, fatto di calciatori dalla tecnica eccellente, di genio e talvolta altrettanta sregolatezza.
Dal Salento arriva Franco Causio, che si pone in cima alla classifica della regione perché il genio è stato accompagnato dalla disciplina e non dalla sregolatezza. E ciò ne ha fatto un calciatore di assoluto spicco nel panorama calcistico nazionale. Soprannominato Barone, Causio è stato un’ala destra dalla tremenda efficacia. Ad una tecnica di base da fantasista era capace di unire il cambio di passo, il dribbling e anche la precisione nei cross di un esterno di livello mondiale, capace di ritagliarsi un ruolo da protagonista indiscusso nella Juventus degli anni ’70 e fino al 1981.
Dopo 6 Scudetti, una Coppa UEFA ed una Coppa Italia, nel 1981 ha lasciato Torino per l’Udinese. Non più giovanissimo, Causio ha smentito chi lo vedeva un calciatore sul viale del tramonto, riuscendo addirittura a ritrovare la nazionale e vincere, seppur da riserva del più giovane Bruno Conti, quel Mondiale che mancava al suo ricco palmarès.
Sicuramente più sregolato è il talento di Antonio Cassano, detto Fantantonio. Il talento di Bari Vecchia è sbocciato giovanissimo nella squadra del capoluogo, prima di trasferirsi alla Roma e dare origine ad una coppia dal talento quasi impareggiabile con Francesco Totti. Ma le sue Cassanate, i colpi di testa contro compagni, allenatori ed arbitri divenuti tanto leggendari da entrare nel dizionario Treccani, ne hanno limitato una carriera apparentemente splendente. Che è tornata a rilucere grazie alla Sampdoria e lo ha portato nelle big milanesi, con tanto di scudetto in rossonero e di ulteriori Cassanate fino al ritiro dopo la seconda avvenuta in blucerchiato.
Menzione d’onore per Fabrizio Miccoli, salentino di Nardò e tifosissimo del Lecce, che per amore dei giallorossi ha accettato di scendere in Serie C per vestirne la casacca, dopo una carriera di buon livello e colpi di classe pura mostrati in Serie A, soprattutto a Palermo, quando ha segnato un bellissimo gol alla sua squadra del cuore, soffrendo al punto da dover essere sostituito dal suo allenatore.
Lo sconfinato talento del Barone
BASILICATA – Franco Selvaggi
Pochi ma piuttosto vincenti. Si potrebbe riassumere così la parabola calcistica della Basilicata nella creazione di calciatori per il nostro calcio. Vero, forse non stiamo parlando di campioni memorabili, eppure i freddi numeri e il contenuto delle rispettive bacheche raccontano di giocatori che non sono stati totalmente di passaggio.
In un duello al fotofinish, a spuntarla come giocatore lucano più rappresentativo di sempre è Franco Selvaggi, attaccante da 183 presenze e 49 gol in Serie A con le maglie di Ternana, Roma, Cagliari, Torino, Udinese e Inter e, soprattutto, campione del mondo.
Già, perché, pur con un bottino in nazionale abbastanza misero (3 presenze in tutto), al Mundial Selvaggi c’era e, pur non scendendo mai in campo, si è guadagnato il diritto di poter far parte dell’élite insignita del massimo alloro possibile per un calciatore.
Se Selvaggi è stato il primo giocatore di questa regione a vestire la maglia azzurra, il secondo è stato colui che gli ha conteso il primo posto in questa rassegna, Simone Zaza. Sebbene il bomber di Policoro sia fermo da quasi due anni, le sue cifre parlano di 179 presenze e 41 gol in A (nonostante le avventure all’estero), uno scudetto e una Coppa Italia con la Juventus, oltre a 18 presenze e 2 gol in nazionale, dove ha lasciato un segno sicuramente meno positivo di Selvaggi.
L’highlight più significativo di Zaza in azzurro, infatti, resta il determinante e vagamente ridicolo errore dal dischetto ai quarti degli Europei del 2016 contro la Germania, con l’iconica rincorsa a passetti.
Tra i lucani vincenti meritano menzione anche Francesco Colonnese, campione europeo Under 21 e vincitore della Coppa UEFA con l’Inter, e Luigi Nobile, campione d’Italia con la Roma nel 1942, pur con una sola presenza.
Chi invece ha lasciato un segno pur senza vincere è il compianto Francesco Mancini, portiere del Foggia di Zemanlandia e tassello dell’evoluzione e della rivoluzione nel ruolo per le sue abilità palla al piede.
L’esperienza di Selvaggi a Cagliari
CALABRIA – Gennaro Ivan Gattuso
Esempio impareggiabile ed univocamente riconosciuto di dedizione, passione e grinta, Gennaro Ivan Gattuso è non solo un grande giocatore ma anche la perfetta personalizzazione della veracità calabrese.
Certo, la cifra tecnica rispetto ad altri protagonisti di questa rassegna è un po’ al ribasso ma Ringhio, col suo temperamento, ha saputo ugualmente far innamorare molti tifosi. Quelli del Milan, che ha rappresentato per tredici anni pieni di successi dando tutto in ogni singola partita fino all’ultimo minuto, come in quell’iconico pressing furioso nel finale dei tempi supplementari della finale di Champions League contro la Juventus. Ma anche quelli della Nazionale, onorata in 73 occasioni fino al trionfo mondiale nel 2006 assieme ad altri due calabresi, Vincenzo Iaquinta e Simone Perrotta, quest’ultimo nato nel Regno Unito.
E pazienza se il suo nome è comparso di rado nei tabellini (11 gol in 468 presenze con il Milan tra tutte le competizioni), la sua bacheca contiene trofei di ogni sorta e livello, dalle due Champions League in rossonero alla già citata Coppa del Mondo.
Anche fuori dal contesto prettamente tecnico, dapprima come calciatore (ricordate la lite con Joe Jordan?) e poi come allenatore, il tratto distintivo di Gattuso è stato sempre quello di una combattività ed un agonismo al di sopra della media, impossibili da non apprezzare.
Ma non c’è solo grinta, in Calabria. Anche la tecnica ha giocato un ruolo fondamentale nella formazione dei calciatori regionali, come Stefano Fiore, Domenico Berardi o il local hero Francesco Cozza.
Oltre 10 minuti della leggendaria grinta di Ringhio
SICILIA – Salvatore Schillaci
È vero, forse non è il calciatore dalla carriera più longeva di questa rassegna. È stato una cometa, un rapido passaggio che ha incantato e fatto sognare milioni di italiani.
Perché quelle Notti Magiche di Italia ’90 sono state un sogno lungo in mese e nulla ha saputo rappresentarle meglio degli occhi spiritati di Totò Schillaci, convocato quasi per caso e toccato da un angelo in quelle settimane di totale onnipotenza realizzativa.
Aveva un solo anno di Serie A alle spalle quel ragazzo di Palermo che, in una sorta di contraddizione, aveva fatto la fortuna dei rivali del Messina, con una cavalcata partita dalla C2 ed arrivata fino alla B. Era stata la Juventus a chiamarlo, nell’estate del 1989, e a concedergli il palcoscenico della massima serie. E Totò-Gol aveva saputo ricompensare quella chiamata così inattesa da fargli credere che fosse uno scherzo: 15 gol in campionato, 21 stagionali, vittoria della Coppa UEFA e della Coppa Italia. Oltre a 6 gol al Mondiale, il titolo di capocannoniere e un sogno sfumato solo ai calci di rigore in semifinale contro l’Argentina di Maradona.
E così com’era arrivata, facendo chiudere gli occhi ed esprimere un desiderio a milioni di italiani, quella cometa è passata rapida e silenziosa, lasciando poco più che il suo bel ricordo. Perché la fiamma in quegli occhi spiritati si è spenta presto, altre due stagioni deludenti alla Juventus, altrettante all’Inter, quindi il Giappone, dove ha ripreso ad essere amato e a segnare.
Menzione d’onore per il concittadino Giuseppe Furino, mediano ed ex capitano della Juventus, capace di vincere 8 Scudetti, 2 Coppe Italia, una Coppa delle Coppe ed una Coppa UEFA ma fermato ad un passo dai traguardi più prestigiosi: due finali di Coppa dei Campioni (1973 e 1983) perse, così come la finale dell’Azteca nel 1970, quando arrivò con una sola presenza in nazionale. Un rapporto mai decollato con la casacca azzurra, indossata appena tre volte in carriera.
Anche la Sicilia è stata terra di local heroes, su tutti Giuseppe Mascara, bandiera del Catania al ritorno in A dopo 23 anni di assenza.
Totò Schillaci riscrive il concetto di “Magic Moment” a Italia ’90
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