La morte, le tasse, il festival della canzone italiana. Tre certezze che accomunano gli abitanti del Bel Paese. Oddio, per quanto riguarda le tasse magari se ne potrebbe discutere ma di sicuro poche altre cose in Italia sono in grado di attirare su di sé l’attenzione di tutta la Penisola come la kermesse sanremese – che peraltro è uno dei pochi momenti in cui la parola “kermesse” può essere usata senza farci sentire come Montgomery Burns in quella puntata dei Simpson.
“Olà Teatro Ariston!”
E cosa c’è di più nazionalpopolare del Festival di Sanremo? Ovviamente il Festival di Sanremo quando invita i più nazionalpopolari degli ospiti: i calciatori. Quello tra il pallone e il teatro Ariston è un sodalizio non così storicamente radicato, ma di sicura efficacia. Sarà per il perverso piacere nel vedere alcune tra le persone più ricche e di successo del Paese tendenzialmente in imbarazzo con abito scuro e paillettes, costrette a rispondere a domande che per una volta non riguardano la loro posizione in campo o il rapporto con l’allenatore. Sarà che nel corso del tempo conduttori e conduttrici hanno cercato di farsi regalare biglietti gratis per questo o quel derby. Sarà che semplicemente sei ore di diretta al giorno per cinque giorni sono davvero difficili da riempire. Sarà quel che sarà, ma ogni tanto il pool di autori non può fare altro che fare voto a Nostra Signora Serie A e affidare alcune decine di minuti alla presenza dei calciatori più in voga. Ecco dunque una Top 5 delle più memorabili ospitate calcistiche a Sanremo, ovviamente in ordine di imbarazzo per loro che la vivevano e per noi che la osservavamo.
5) Roberto Baggio, 2013
Il 2013 è l’anno del ritorno di Fabio Fazio a Sanremo in qualità di conduttore e per la prima volta di direttore artistico. Questo si traduce nell’inusuale scelta di piazzare l’orchestra sul fondo della scenografia, incastonata in un’improbabile quinta che ricorda sinistramente un quadro svedese, e ahinoi nella costante presenza di Luciana Littizzetto come co-conduttrice (che poi magari a voi piace, questa Luciana Littizzetto. Io mi fermo all’indimenticabile Lolita di Mai dire Gol).
Il 2013 è anche l’anno del Divin Codino ospite della terza serata. Chi lo conosce lo sa, Roberto Baggio non è proprio quel che si definirebbe un animale da palcoscenico, anzi. Credo che la sua vita pubblica dopo il ritiro possa essere definita come un costante tentativo di non farsi rompere i cogl– ehm, farsi gli affarsi suoi.
Eppure, per chissà quale congiunzione astrale, eccolo sul palco dell’Ariston, su un improbabile e troppo alto sgabello girevole, a rispondere alle domande di Fabio Fazio. Sulla performance non c’è nulla da dire, perchè Fazio ha costruito una carriera sulla sua capacità di paraculare mettere a proprio agio gli intervistati, e Roberto nostro è il signore che abbiamo sempre ricordato e amato. Misurato, composto, dà la rara sensazione di pensare a quello che deve dire e si sforza di non far tremare la voce. Noi che ricordiamo perfettamente quel che accadde a Pasadena, riconosciamo nel tremolìo delle corde vocali la stessa ombra di incertezza che lo ha condannato da quel maledetto dischetto, e non possiamo che voler sfondare il tubo catodico per abbracciarlo.
(Nota di merito per gli autori: aver risparmiato a Baggio gli irriverenti interventi della Littizzetto, che avrebbero causato un’orchite fulminante a noi e un turbinante giramento di uova a lui.)
4) Francesco Totti, 2017
Di tutt’altra risma è la presenza scenica del Pupone nell’anno 2017. Siamo nel pieno del regno di Carlo Conti, quell’anno affiancato da Maria De Filippi giunta in Rai nell’ambito di uno storico accordo di non belligeranza con Mediaset. È grazie all’intercessione della matrona del Biscione che Totti arriva sul palco dell’Ariston, in nome del legame di amicizia tra i due.
Diciamocelo: il capitano della Roma avrebbe tutte le carte in regola per condurre un programma tv tutto suo, grazie anche alla preziosa gavetta con le sue barzellette di qualche anno prima. E infatti davanti alle telecamere è un condottiero come in campo: tempi comici, presenza scenica, romanità accennata ma non abusata (“stamo in diretta, eh!”). Tralasciando il fatto che non fa niente per nascondere che sta leggendo il gobbo, riesce anche a ignorare i gridolini adolescenziali che giungono dalla platea e nei suoi occhi sottili possiamo leggere la stessa concentrazione raccolta prima del rigore contro l’Australia ai mondiali 2006.
Il colpo di genio arriva quando deve citare il talent-show The Voice: “questo l’ha fatto Ilary”. Boom, risatina di Carlo Conti, applausi convinti dal pubblico. In un’altra linea del metaverso, dopo questa performance a Totti viene proposta la conduzione a vita di Sanremo, che si trasforma gradualmente in una versione della Goat League con i duetti al posto delle carte speciali. E invece ci dobbiamo accontentare di divorzi e orologi non restituiti. Sic transit gloria mundi.
3) Zlatan Ibrahimovic, 2021
Se Totti è Carlo Conti, Ibrahimovic è per forza Amadeus. E non solo perchè è proprio grazie all’attuale custode delle chiavi dell’Ariston che Ibra diventa il co-conduttore dell’edizione 2021. Siamo proprio sulla stessa lunghezza d’onda in termini di volontà di potenza e di carisma accentratore. Due primi violini che stringono un patto d’acciaio per mangiarsi tutto il teatro e sopperire alla mancanza del pubblico, giacchè quella del 2021 è la famigerata edizione svoltasi a platea vuota causa restrizioni anti-Covid.
Ibra è presenza fissa e partecipa a tutte le serate tranne una, regalandoci momenti da sindrome di Stendhal per la loro bellezza illogica. Tre su tutti: 1) la scelta del jingle che ne accompagna le apparizioni, operata da Ibrahimovic stesso in una geniale mossa di autoironia e stereotipizzazione, che punta su Jutro Je, l’equivalente balcanico di un pezzo neomelodico napoletano; 2) l’aneddoto del passaggio chiesto a un motociclista per arrivare in tempo sul palco dell’Ariston, dimentico del fatto che in tempi di distanziamento sociale sarebbe occorso almeno il risultato di un tampone prima di saltare sulla moto; 3) la conferenza stampa in cui dichiara che Amadeus l’ha chiamato a Sanremo per sbriciolare ogni record di ascolti della storia del festival. Classic Ibra.
2) Cristiano Ronaldo, 2020
Non è da escludere che il motivo per cui Ibrahimovic ha accettato l’invito di Amaedus sia stato il fatto che l’anno prima a Sanremo è comparso CR7. Sarebbe stato perfettamente da Ibrahimovic voler dimostrare che il maschio alfa del calcio italiano rimaneva lui, anche fuori dal rettangolo verde, e quale occasione migliore del festival dei festival?
Per la verità, non che ci volesse molto per fare meglio del fenomeno di Madeira. Cristiano Ronaldo precipita nella città delle rose a causa della compagna Georgina Rodriguez, chiamata da Amadeus a co-condurre la terza serata dell’edizione 2020. In quell’anno, Ronaldo è a metà della sua esperienza alla Juventus ed evidentemente non è proprio riuscito a trovare un alibi per evitare di doversi sedere in prima fila all’Ariston. Lo si vede dal sorriso tirato e inevitabilmente imbarazzato con cui segue il tragico siparietto che coinvolge Georgina e Amadeus: lo scambio di gagliardetti in cui uno a tradimento si rivela portare i colori della Juventus è uno dei momenti oggettivamente più cringe di quell’edizione.
A peggiorare le cose per il povero CR7, che si sta sorbendo l’interminabile diretta con lo stesso entusiasmo con cui noi a diciassette anni andavamo a vedere il saggio di danza della nostra compagna di classe perché speravamo di cavarne qualcosa di più di un bacio sulla guancia, arriva la seconda parte dello sketch. Eh sì, perché qui il campione portoghese non può più solo fingere di sorridere, ma deve proprio alzarsi in piedi e interagire con Amadeus. In un sussulto di originalità (no), gli consegna una maglietta della Juventus che impiega davvero troppo tempo a scartare dalla busta sigillata. È stato l’unico momento della mia vita in cui ho empatizzato con Cristiano Ronaldo.
1) Antonio Cassano, 2010
L’edizione 2010 del Festival di Sanremo è una delle pagine più preziose della nostra storia di spettatori dell’imbarazzo. Tutti le costellazioni si allineano per consegnare al firmamento della televisione una galassia di momenti tragici e memorabili.
Vi basti sapere che è l’edizione in cui Pupo e Emanuele Filiberto rischiano di vincere con l’immortale Italia amore mio, eventualità a fronte della quale persino l’orchestra del teatro esprime il suo leggero dissenso. Aggiungiamo il dato che a classificarsi primo è il Valerio Scanu di Per tutte le volte che (ricordate? “In tutti i luoghi, in tutti i laghi…”), e già questo basterebbe a causare un paio di class action da parte del Codacons, altro che Fedez e Ferragni. Ops, ho sbagliato esempio.
Comunque, sarà per il catastrofico esito finale, ma di quell’edizione è passata in sordina una della performance situazioniste più raffinate della storia degli ospiti di Sanremo. Vi bastino i due nomi: Antonella Clerici featuring Antonio Cassano.
Lei è conduttrice del festival in quegli improbabili anni in cui sembrava una buona idea affidarle un programma di sei ore di diretta nonostante i precedenti, lui beh, è Fantantonio nel suo prime. Già ritornato in patria dopo la non entusiasmante parentesi al Real Madrid, ancora per poco freccia all’arco della Sampdoria, Cassano è comunque a suo agio davanti a una platea che palesemente è lì per lui, chissà perché poi. Lo accoglie il coro “Antonio, Antonio!”, lui, tutto sommato a suo agio nell’abito elegante, consegna ad Antonella una rosa rossa come il vestito di lei e parte la prima gag. I due si parlano nascondendo la bocca dietro la mano, in un gesto ormai sdoganato sui campi da calcio ma reso famoso proprio dal talento di Bari vecchia. Ah, le grasse risate.
Seguono tre abbondanti minuti di amabili chiacchiere sull’uso del dialetto barese e sul fatto che la fidanzata di Antonio non lo capisce quando lo usa. Il tutto condito da un’interpretazione assai balneare della consecutio temporum.
Lanciati i cantanti in gara, potrebbe essere finita qui. E invece no: Cassano ritorna in più momenti per l’imprescindibile rubrica “Gli aforismi di Antonio”. Seduti ancora una volta su sgabelli rotanti (lo scenografo di Sanremo deve essere una persona cattiva), Clerici e Cassano passano in rassegna alcune delle frasi più celebri (?) di Fantantonio, commentandole e usandole come pretesto per racconti e aneddoti. È un momento talmente lungo che perfino su Youtube è diviso in due parti. Inutile dire che non fa ridere mai. Grazie Fantantonio, ma a questo punto era meglio se facevi la seconda voce a Valerio Scanu.
Fuori classifica: Juventus, 2003
Sarò sincero: ho scritto questo pezzo solo per arrivare a questo momento. L’apparizione dell’intera rosa della Juventus 2003 sul palco del festival di Sanremo ha cambiato il mio modo di vedere il Festival stesso. Nel senso che da lì in poi non l’ho più guardato, convinto che niente avrebbe più raggiunto quei livelli. Non tremo nel dire che avevo ragione.
Il fatto è la Juventus sale sul palco di Sanremo e fa una cosa che nessuno si sarebbe mai aspettato, o forse si sarebbe mai augurato: canta.
Un minimo di contesto: Anno Domini 2003, conduzione di Sua Maestà Pippo Baudo. Il motivo per cui la Juventus è a Sanremo è per promuovere una raccolta fondi per l’ospedale Gaslini di Genova. E quale modo è stato ritenuto il più efficace? Incidere un singolo, la cover di Il mio canto libero di Lucio Battisti cantata dall’intera rosa della squadra. E cantarla dal palco dell’Ariston. Lunga vita all’ufficio stampa dei bianconeri.
La performance è ipnotica e va oltre i concetti di bene e male. Ad un Ciro Ferrara che evidentemente sognava di cantare a Sanremo fin da bambino, fanno da contraltare un Edgar Davids con l’aria di uno che ha una pistola puntata alla schiena e un Pavel Nedved a cui vedremo la stessa espressione solo dopo il cartellino giallo ricevuto in semifinale di Champions. Punteggiano il quadro un Del Piero che finge disinvoltura nonostante quelle basette e un Lilian Thuram sinceramente divertito dall’entusiasmo di Ferrara. Chiude un Gigi Buffon già consapevole che la lunga strada per diventare Presidente della Repubblica parte da qui.
È un grande momento di televisione, perché sintetizza in cinque minuti tutto quello che Sanremo non dovrebbe essere ma ama diventare. Che poi è il motivo per cui per una settimana all’anno smettiamo di essere sessanta milioni di commissari tecnici e diventiamo sessanta milioni di critici musicali/fashion designer/registi televisivi. Il nostro canto libero.
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