Per la maggior parte del tempo organizziamo le nostre giornate in base agli impegni, giornate che saturiamo spesso anche troppo, tanto che a volte sono talmente piene da portarci via tutte le energie. Siamo ormai abituati, e aggiungo io tristemente, a vivere le nostre vite con grande frenesia, ci soffermiamo poco sui dettagli e non siamo più capaci di viverlo, il nostro presente.
I latini utilizzavano l’espressione “Hic et nunc”, vivere qui e ora, un atteggiamento secondo il quale l’uomo è orientato verso il presente, l’unica dimensione temporale con la quale può essere capace di stabilire un contatto. Ma vivere nel presente non è però poi sempre così facile, perché implica lo sviluppo di un certo tipo di consapevolezza che sia in grado di riunire il nostro sentire, l’insieme dei nostri bisogni inappagati, con il nostro agire quotidiano, il nostro impatto sul mondo, su noi stessi e sugli altri.
Un calciatore arrivato a fine carriera si trova di fronte al classico bivio: meglio continuare a giocare oppure smettere con la vita che hai vissuto fino a quel momento e aprire un nuovo capitolo? Chiunque si trovi a fine carriera, sia essa di lavoro o in questo caso sportiva, conosce il trauma di chi non sa immaginarsi il futuro. In un mondo apparentemente dominato dai media e, a parere di più di qualcuno, rovinato dagli interessi economici, il calcio, la popolarità e i soldi non bastano a fare la felicità. In determinati momenti, è la vita stessa che ti chiede di fare i conti con il presente.
La caduta
Partiamo dalla fine, 27 giugno 2006. Il protagonista della nostra storia è Gianluca Pessotto. Ha 35 anni, ha appena deciso di concludere la sua carriera da calciatore con la Juventus ed ha da pochissimo intrapreso il percorso da team manager sempre nel club bianconero. Sono le 11 del mattino quando Gianluca sale sul tetto della sede della società, in corso Galileo Ferraris a Torino, e decide di buttarsi nel vuoto stringendo un rosario tra le mani.
Un’Alfa Romeo rossa, quella appartenente ad un altro dirigente bianconero, Roberto Bettega, attutisce parzialmente il colpo, ma le sue condizioni sono disperate. La corsa all’ospedale Le Molinette assume i contorni di quella frenesia di cui parlavamo all’inizio, ma questa volta in gioco c’è la vita di Gianluca.
La nascita
Gianluca Pessotto nasce a Latisana, in Friuli, l’11 agosto 1970. Sin da piccolo dimostra di avere un brutto rapporto con le sconfitte: quando perde contro gli amici giocando a biglie mantiene un atteggiamento imperturbabile, ma in realtà rosica da morire, tanto che si allena di nascosto per cercare di migliorare. È un ragazzo testardo, che si innamora presto del pallone e del calcio e, appena si presenta l’occasione, si trasferisce a Milano ed entra nel settore giovanile del Milan. Per i suoi genitori è un grande motivo di vanto, anche perché mamma Rina e papà Remigio sono entrambi di fede milanista. E sono persone di fede anche nello spirito, tanto che per Gianluca la religione diventa da subito un importante punto di riferimento.
Quando hai 14 anni e vieni da un paesino di poche migliaia di abitanti, l’impatto con la città è difficile, figuriamoci a Milano. Bisogna crescere in fretta ed imparare ad assumersi le proprie responsabilità. I primi mesi nel capoluogo lombardo sono duri, soprattutto per la mancanza di casa. A Gianluca però le sfide piacciono, gli danno carica. Sotto la presidenza di Silvio Berlusconi tutto il settore giovanile viene trasferito presso il centro sportivo di Milanello.
Per un ragazzo poco più che adolescente è come andare all’accademia. Si allena a pochi metri dal grande Milan di Arrigo Sacchi, a pochi metri dai grandi campioni rossoneri: Rijkaard, Gullit, van Basten, Ancelotti, Donadoni, Baresi, Maldini. Insomma, non ci sono scuse, se hai le potenzialità devi sapere tirarle fuori, anche se per un giovane della Primavera è impensabile passare in pianta stabile in prima squadra. Per quanto talento tu possa avere, e per quanto talento ci fosse in quella squadra giovanile – tra gli altri, Francesco Toldo, Sergio Porrini e Demetrio Albertini – bisogna fare la classica gavetta.
La crescita
In quegli anni era normale partire dalle categorie più basse, i più forti cominciavano magari dalla C1. Il percorso di Pessotto si avvia, invece, in Serie C2, con la maglia del Varese, dove rimarrà per tre stagioni. Partire più indietro degli altri non lo spaventa. Gianluca è fondamentalmente un ragazzo tranquillo, sa adattarsi alle situazioni. Gioca come mediano, è consapevole di non avere grande tecnica, tira e segna poco ma lavora sodo e si allena bene. È uno di quei giocatori un po’ timidi.
Con il Varese, arriva subito la promozione in Serie C1 ma nella stagione successiva la squadra non riesce a salvarsi e torna subito in C2. Il suo procuratore dell’epoca Sergio Berti gli apre gli occhi: “Se vuoi arrivare in alto devi avere ambizioni. Sei un buon giocatore ma se vuoi emergere devi fare qualcosa di diverso”. Pessotto cerca di imparare da quelle parole che colpiscono il suo orgoglio e vanno a minacciare, quasi ad offendere, la sua sensibilità. Cerca di sviluppare quella consapevolezza di cui parlavamo all’inizio, quella del presente e della strada che stai percorrendo, che spesso, se ci credi e fai bene, diventa quella giusta.
“Reana è meravigliosa, è la miglior donna che potessi sposare” (Gianluca Pessotto)
Gianluca Pessotto incontra l’amore della sua vita quando è ancora molto giovane. Le cose cominciano a girare per il verso giusto anche in campo, passa in Serie C1 alla Massese e conduce un’esperienza positiva, con una salvezza conquistata all’ultimo respiro. Dovrà attendere la stagione 1992-93 per la prima occasione nel calcio che conta, firmando un contratto con il Bologna che è appena sceso in Serie B. Ancora una volta, però, c’è da soffrire. Quello della sua carriera non è certamente un percorso tutto rose e fiori. La squadra rossoblù non ingrana mai e la società scivola verso il fallimento economico. Le contestazioni non si fanno attendere e a fine stagione arriva una nuova, deludente retrocessione.
Lo sviluppo
L’anno successivo viene ingaggiato dal Verona, un’altra esperienza nella serie cadetta che segna però una tappa importante nella sua carriera. Gli scaligeri concludono a metà classifica, ma Pessotto emerge come uno dei migliori dei suoi. Un rendimento alto che gli consente di attirare l’attenzione dei club di Serie A e in particolare del Torino, che decide di dargli una chance. L’esordio nella massima categoria arriva il 4 settembre 1994, in casa, allo stadio Delle Alpi contro l’Inter. Finalmente l’Olimpo dei grandi. Per il calciatore di Latisana è il coronamento di un sogno.
La squadra granata è piena di giovani prospetti ma fatica a decollare. L’allenatore Rampanti viene esonerato e sostituito da Nedo Sonetti, un decano del nostro calcio. A quel punto, un po’ per intuizione e un po’ per coincidenza, arriva il vero punto di svolta per la carriera di Gianluca. Il Torino ha un problema sulla fascia sinistra e Sonetti decide di provare con Pessotto. Un cambio di ruolo che farà la sua fortuna e, del resto, anche quella del Torino perché, dopo un avvio titubante, i granata concluderanno a metà classifica. Per Pessotto arriva anche la gioia del primo gol in serie A, una rete che vale la vittoria casalinga per 1-0 contro la Fiorentina.
A fine campionato il giocatore è fortemente voluto dal tecnico della Juventus Marcello Lippi e viene così acquistato dai bianconeri per 7 miliardi di lire. Passare da una sponda all’altra di Torino non è affatto facile ma non è questione di soldi o di blasone. A Gianluca Pessotto piace semplicemente giocare a calcio e sarà proprio con la Juventus che comincerà a vivere i momenti più esaltanti della sua carriera.
La maturità
La Juventus gli cambia la vita: la maglia bianconera diventa una specie di seconda pelle. Con la Vecchia Signora gioca 366 partite in 11 anni, diventando una delle pedine principali della difesa, fino a conquistare la chiamata in nazionale. Arriva a vincere praticamente tutto: 6 scudetti, 4 supercoppe italiane e una Coppa Intertoto.
Pessotto è uno di quei calciatori che piace a tutti, dentro e fuori dal campo. Ha una sensibilità particolare, non ha nulla a che fare con i prototipi dei calciatori di oggi. È appassionato di letteratura e, tra una partita e l’altra, legge Schopenhauer e Dostoevskij. Riesce perfino a riprendere gli studi e a laurearsi in giurisprudenza. È uno di quei giocatori che parla poco e ascolta molto, è vissuto come una sorta di saggio all’interno dello spogliatoio bianconero, tanto che arrivano a chiamarlo Il Professore. Una fama, quella dello sportivo intellettuale, che non lo abbandonerà più.
Il successo
La vittoria più grande, la più bella, vissuta sempre con quell’entusiasmo innocente di chi fa le cose prima di tutto per passione, arriva il 22 maggio 1996. Allo stadio Olimpico si gioca la finale di Champions League contro gli olandesi dell’Ajax. Sono passati 11 anni dall’unica Coppa dei Campioni vinta dalla Juventus, un successo amaro allo stadio Heysel, dove si era consumato il dramma.
Al termine dei 90 minuti la partita è in equilibrio sull’1-1, e anche i tempi supplementari si risolvono in totale parità. Per assegnare la coppa dalle grandi orecchie si va ai calci di rigore. In quel momento mister Lippi chiede a Gianluca di essere uno dei battitori. Una scelta coraggiosa, visto che Pessotto non è certamente un rigorista. Il suo essere così lucido gli impone, però, di non titubare nemmeno un secondo. Va ad incaricarsi del secondo tiro dagli 11 metri e lo mette nell’angolino, con grande freddezza, dove il portiere non può arrivare. Il portiere juventino Peruzzi fa il resto e respinge due tiri degli olandesi, consegnando alla Juventus il secondo successo europeo della sua storia.
È il momento più alto della carriera di Pessotto, perché di finali di Champions, sempre con la Juve, ne giocherà altre tre, tutte perse. Con la maglia della Nazionale partecipa ai Mondiali del 1998 e agli Europei del 2000. Durante il torneo dell’inizio del nuovo millennio riveste un ruolo da protagonista, trasformando uno dei rigori che ci portano in finale. Per farlo, supera ancora van der Sar, che nel frattempo è divenuto un suo compagno di squadra. In finale realizza l’assist per la rete di Delvecchio contro la Francia. Una partita che però gli Azzurri perderanno con il fatidico golden gol di Trezeguet nei tempi supplementari.
L’uomo davanti al calciatore
Durante la sua lunga militanza in bianconero non mancano le polemiche arbitrali e gli scandali mediatici attorno alla Juventus. Del resto sono gli anni del famoso contatto tra Ronaldo e Iuliano che accende ulteriormente la storica rivalità con l’Inter. Da tutto questo, Gianluca si chiama fuori. Il suo temperamento equilibrato è anzi un esempio di correttezza e di lealtà, tanto che si rende protagonista di un grande gesto di fair play negli ultimi minuti del campionato 1999-2000.
La Juventus si sta giocando la vittoria dello scudetto con la Lazio all’ultima giornata, in trasferta a Perugia, sotto un diluvio incessante che costringe l’arbitro Collina a sospendere la gara per circa un’ora. Alla ripresa sembra una partita di pallanuoto. Il Perugia riesce incredibilmente a portarsi in vantaggio con Calori. Una sconfitta regalerebbe il secondo titolo alla Lazio. I bianconeri tentano allora il tutto per tutto e cercano di reagire. L’arbitro comanda un fallo laterale in favore della Juve ma Pessotto richiama l’attenzione dello stesso direttore di gara per confessare che l’ha toccata lui per ultimo. La Juventus finisce per perdere quella partita e quello scudetto, in una giornata incredibile che riassume il bello e il brutto del calcio.
Il tramonto della carriera
Una carriera mai banale quella del calciatore di Latisana. Alcuni infortuni ne condizionano il rendimento e la rottura del legamento crociato durante un’amichevole gli preclude la possibilità di prendere parte al Mondiale del 2002. Lui non si perde d’animo e continua ad allenarsi duramente ma, complice anche l’avanzare dell’età, gioca con sempre meno continuità. Il cambio di allenatore sulla panchina bianconera agli inizi della stagione 2004-2005 porta Lippi in Nazionale, con Fabio Capello a ereditare il suo posto. Il nuovo tecnico riconosce il ruolo di Gianluca all’interno dello spogliatoio ma in campo non lo schiera quasi mai. La sua carriera sta avviandosi verso il tramonto e, in maniera praticamente contemporanea, prendono sempre più corpo le voci su episodi di presunta corruzione nel mondo del calcio.
Una parte consistente di questi rumors riguardano proprio la Juventus e in particolare la famosa triade dei dirigenti Moggi, Giraudo e Bettega. Passa qualche tempo e la bolla esplode. Le procure di Torino e Napoli cominciano a indagare ed emerge un quadro dai contorni spaventosi, un vero e proprio terremoto che sconvolge tutto il calcio italiano. Ad essere coinvolte, infatti, non sono solo diverse società, ma addirittura alcuni tra i maggiori organi federali dell’epoca. In analogia ad una pagina buia della nostra politica, Tangentopoli, i media daranno a questa vicenda il nome di Calciopoli.
La paura del futuro
Lo scandalo Calciopoli è sicuramente una componente che mette a soqquadro la sensibilità di Pessotto ma da solo, evidentemente, non basta. In Gianluca è cambiato qualcosa, la lucidità che lo ha sempre contraddistinto in tutta la carriera lascia sempre più posto alle debolezze e alle fragilità. La scelta di smettere con il calcio giocato incombe da un momento all’altro ed è difficile farsi trovare pronti, specialmente per lui che il calcio lo ha sempre vissuto come una passione. Gli mancano l’odore dell’erba e le grida dei tifosi.
La Juventus gli apre subito le porte della società e gli propone il ruolo di team manager, il più vicino al campo ma, per quanto vicino, è pur sempre fuori dal rettangolo verde, è qualcosa di diverso. Il suo problema lo porta quasi a vivere in un mondo tutto suo, scollegato dalla realtà. La strada per una carriera nella dirigenza sembra però la naturale prosecuzione di quanto ha sempre dimostrato dentro al campo, così Gianluca si fa coraggio ed accetta.
In apparenza è soddisfatto, sembra contento per questo nuovo ruolo, ma in realtà c’è qualcosa che lo sta logorando lentamente. Qualcosa che è difficile spiegare a parole, qualcosa che ti porta a vedere tutto buio, a dubitare di ogni cosa, a sentirti al centro di una trappola. Se vogliamo dargli un nome, un’etichetta, potremmo chiamarla crisi personale o ancora più esplicitamente depressione. Spesso commettiamo l’errore di pensare che non possa esistere nel mondo del calcio; invece, si arriva a quel 27 giugno 2006, il punto di partenza di questa storia, che è poi anche un punto di arrivo, senza che nessuno abbia capito che cosa stia davvero tormentando Gianluca.
Il buio
L’estate del 2006 ha un sapore particolare per tutti i tifosi italiani. In quel 27 giugno l’Italia ha appena sconfitto l’Australia agli ottavi di finale del Campionato del Mondo con un rigore di Totti allo scadere di una partita infinita. Il clima è disteso, anche se gli Azzurri pensano già all’avversaria dei quarti che sarà l’Ucraina. È in corso la conferenza stampa alla presenza del capitano Fabio Cannavaro quando si viene ad apprendere del tragico gesto del suo amico e compagno di squadra.
Ci eravamo fermati a quella corsa frenetica in ospedale. Sin dall’inizio la situazione sembra disperata. Pessotto ha diverse lesioni e fratture in tutto il corpo: è in coma. La sua sopravvivenza è tutt’altro che scontata. Una piccola delegazione della Nazionale si organizza per andare a sostenere quello che per molti è un amico, al di là del calcio. I tifosi accorrono in grande numero e presidiano l’ingresso dell’ospedale Le Molinette senza sosta. Fuori dalla struttura, ogni giorno, arriva anche Paolo Montero, primatista assoluto di cartellini rossi in Serie A, la maggior parte dei quali a seguito di reazioni per difendere proprio i compagni. Con Pessotto il suo rapporto è schietto ed onesto: sente il dovere di esserci.
Il risveglio
Il percorso, quando succedono queste cose, è lungo e in salita. I progressi sono flebili ma, a poco a poco, la situazione migliora. Il personale dell’ospedale monitora i miglioramenti giorno dopo giorno e le speranze aumentano. Gianluca si risveglia dopo nove giorni di coma, ma servirà ancora un altro mese per dichiararlo fuori pericolo. Pochi giorni dopo la disgrazia, i suoi compagni in Nazionale hanno sconfitto l’Ucraina con un perentorio 3-0. Zambrotta, Cannavaro e Ferrara hanno preso una bandiera tricolore e ci hanno scritto sopra, rigorosamente in azzurro “Pessottino siamo con te”. Il diminutivo non è un caso, perché quel nomignolo di Professore veniva spesso storpiato in Professorino, anche prima dell’incidente.
Già, l’incidente. Pessotto può appena parlare, ma non importa. In fondo, da sempre è più abituato ad ascoltare gli altri. Qualcuno, tra i medici, gli dice che è stato solo un incidente. Deve passare altro tempo prima di potergli dire come è andata davvero. Quando lo viene a sapere, Gianluca è incredulo. Non mangia niente per giorni, fatica a prendere coscienza del suo gesto. È lì che il suo essere taciturno si esprime alla massima potenza.
La benedizione di una nuova vita
In questa storia il finale è come l’ultimo tratto di un quadro. Non a caso si dice pennellata anche nel calcio, per parlare di quei tiri precisi, magari un po’ deboli, ma perfettamente calibrati. La sua prospettiva cambia alla vista delle due figlie e della moglie Reana, l’amore di sempre, anche se non sa spiegarsi che cosa lo abbia portato a compiere quel gesto. Si sente grato nei confronti della vita e, come dice lui stesso, “capisce di avere ancora una missione da compiere”.
Oggi Gianluca Pessotto è un uomo rinato, la sua voglia di vivere ha prevalso su tutto. Il risultato è il frutto di un lungo percorso di riabilitazione fisica e psicologica durato anni. Ovviamente non ha smesso con il calcio. Dopo il ruolo di team manager, dal 2010 ricopre la carica di responsabile del settore giovanile, sempre per la Juventus.
Ciò che è stato della Nazionale ai Campionati del Mondo di Germania 2006 lo ricordiamo tutti. Un aneddoto finale, però, vale la pena raccontarlo. All’indomani della vittoria in finale contro la Francia, i compagni della Juventus entrano in ospedale con uno strano zaino. Al suo interno la coppa appena conquistata. Gianluca, ancora una volta, è taciturno. Forse per l’emozione, tanto che la notte successiva avrà un forte attacco di febbre. I suoi occhi sembrano solo voler dire una cosa: quella coppa, così come la vita, è meravigliosa.
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