Recentemente mi sono imbattuto in un articolo firmato da The Blizzard e riproposto dal periodico Libero. Benché spartisca il nome con il quotidiano dell’irriverente Vittorio Feltri, la rivista racconta storie di calcio presente e passato in modo alternativo – è a ragion veduta il caso dell’Iraq. L’autore e scrittore James Montague riporta un pezzo del noto giornale, uscito con una pubblicazione speciale per festeggiare l’anniversario dei cinquant’anni dalla sua nascita.
L’ambientazione
È l’estate del 2007 e in Iraq si respira un’aria viziata, d’altronde, all’indomani della caduta del regime sovranista di Saddam Hussein, il dispotismo autarchico ha convolato a nozze con l’ideologia del Partito del Risorgimento Arabo Socialista Ba‘th. Gli elettori vennero chiamati alle urne per votare la formazione dell’Assemblea Nazionale, organo costituente dedito all’elaborazione di una prima Costituzione democratica.
Il Parlamento attuò la Transitional Administrative Law (TAL) per stendere la bozza del già menzionato atto di conciliazione. Conformemente al principio di laicità dello Stato, i curdi vollero garantire il diritto di apposizione di veto a una proposta di legge che infrangesse i dettami del culto islamico.
La comunità sunnita ribaldeggiava sulle minoranze, rassegnate alla soperchieria dell’intemperante autorità politica della capitale. Dopo il buon esito del referendum di ratifica della carta costituzionale, al-Majlis al-Watani ottenne l’assegnazione di 128 seggi alle elezioni parlamentari.
L’intrigo politico
L’Alleanza Irachena Unita, coalizione sciita dell’ayatollah Ali al-Sistani, superò l’opposizione. Era più facile immaginare la fine del mondo piuttosto che quella del capitalismo.
Gli Stati Uniti avevano acceso una guerra civile, conflitto manicheo tra occidentali e mussulmani, culminata nel crollo della cupola d’oro della moschea Al-Askari, santuario dell’imam Ali al-Hadi. La distruzione del mausoleo dedicato al califfato abbaside di al-Mu’tasim divenne metafora della dottrina dei muezzin, lapide sepolcrale di Carcosa, meta di peregrinaggio ed effige di Samarra.
Come lutto delle sure del Corano, i manifestanti condannarono l’attentato – racconto abramitico dell’ira divina abbattuta su Sodoma e Gomorra. Nacquero controversie confessionali per colmare il vuoto di potere. In ossequio alla Conferenza di riconciliazione del Cairo, lo studio ovale tentò di neutralizzare la solidarietà islamica, la quale aveva avvallato il nazionalismo iraniano.
Iraq e Baathismo
Il versamento dell’integralismo degli ayatollah alimentava una discordia eresiarca e fratricida. Mentre i saddamisti fiancheggiavano al-Qa’ida la resistenza anti-baathista, sovvenzionata dalla tesoreria di Stato, sedava la violenza settaria dei gruppi indipendentisti.
“Un artefatto della politica internazionale, una invenzione di Churchill realizzata per le esigenze petrolifere della Royal Navy grazie a un assemblaggio di gruppi etnici e religiosi – arabi sunniti, arabi sciiti, curdi – in cui soltanto i primi, purché al vertice del potere, erano veramente interessati alla creazione di uno Stato unitario“, così scrisse lo storico e diplomatico italiano, Sergio Romano.
Nel mezzo di un periodo di transizione, in balia dello spirito bellicoso dei regnanti, lo sport era diventato collante sociale, un appiglio a cui aggrapparsi per restare attaccati alla vita. Nel 2006, qualche ora prima che l’Iraq affrontasse l’Iran nel Campionato dell’Asia occidentale ad Amman, erano scomparsi quindici tesserati, rapiti durante un viaggio in Giordania.
Un anno dopo, alla vigilia della Coppa d’Asia AFC, i loro resti furono ritrovati in un fosso vicino a Ramadi. L’allenatore Jorvan Vieira, omonimo del più noto centrocampista francese, aveva accettato l’incarico non più di tre mesi prima dell’incontro di esordio della propria squadra, partita per un’ardita spedizione alla conquista del continente: “È sicuramente il lavoro più difficile del mondo. Devo affrontare molti problemi: sociali, politici, interni“.
Le menzioni onorevoli
Il brasiliano aveva sostituito Akram Salman, commissario tecnico iracheno che, coinvolto nello scandalo di scommesse della Coppa delle Nazioni del Golfo, era stato esonerato dalla Federazione. L’autore e politologo Hassanin Mubarak, dopo avere scritto la trilogia The early years of football in Iraq, Lions of Mesopotamia: Iraqi football in the two Republics Vol. I e Vol. II, pubblica il saggio Far from War and Politics: The story of Iraq’s 2007 Asian Cup victory.
Un miracolo, frutto della semina di un contadino scrupoloso, il quale aveva setacciato un terreno brullo e incolto per vedere crescere un manto verde e rigoglioso.
“La squadra irachena era composta da giocatori che avevano esperienza nelle grandi occasioni, essendo arrivati quarti ai Giochi Olimpici del 2004 e secondi ai Giochi Asiatici del 2006. I giocatori hanno usato tutta la loro esperienza per ottenere risultati nei momenti critici del torneo“, come scrive Shilarze Saha Roy la vittoria veniva dopo diversi ottimi risultati in campo continentale.
Il movimento ha avuto inizio dopo il trauma della dell’occupazione statunitense, che aveva lascito il Paese in uno stato di completa anarchia. Gli invasori davano inizio all’insistente ricerca di armi distruzione di massa e sfruttamento delle riserve di combustibile fossile.
Come in un film
La più grande impresa sportiva di questo primo quarto di secolo, una favola che sarà presto raccontata in formato cinematografico: “Linehan, che ha prestato servizio in Afghanistan e in Iraq come medico dell’esercito, era rimasto incuriosito dalla storia della vittoria irachena a Giacarta ed era determinato a realizzare un documentario sull’argomento, nel quale sono stato coinvolto e che uscirà prossimamente“.
Dopo il pareggio per 1-1 contro la Thailandia nella gara inaugurale del torneo, l’Iraq sarebbe partito alla conquista del suo primo titolo di Coppa d’Asia, subendo appena due gol in sei partite. La Nazionale vinse contro la favorita Australia e il Vietnam, la semifinale contro la Corea del Sud terminò a reti bianche.
Grazie alla parata di Noor Sabri nell’ultimo tiro della batteria di rigori i ragazzi di Vieira festeggiarono l’accesso alla finale di Giacarta. Tuttavia, durante i festeggiamenti un attentatore si fece esplodere nel quartiere Mansour di Baghdad, uccidendo trenta tifosi.
La rappresentativa locale si riunì per discutere di abbandonare la coppa ma, spronati dalle preghiere della madre di uno dei caduti, i calciatori scelsero di onorare il lascito del giovane Haier.
La finale
Il 29 luglio 2007, vittima di una guerra intestina dai risvolti rovinosi, allo stadio Gelora Bung Karno di Giacarta, la selezione locale sfidava l’Arabia Saudita. Al 73° minuto il curdo Hawar Mulla Mohammed batteva un calcio d’angolo da sinistra sulla testa dell’attaccante turcomanno Younis Mahmoud il quale, con la porta lasciata sguarnita dall’uscita avventata di Yasser al Mosailem, depositava la palla in rete.
Nonostante le suppliche del primo ministro, Jorvan Vieira diede annuncio del suo ritiro: “Se il mio contratto fosse stato di sei mesi e non di due, avrebbero dovuto portarmi in manicomio”.
La diaspora della Nazionale
Dopo avere sorpreso giornalisti e tifosi, i calciatori diventarono l’oggetto del desiderio di molti club stranieri. Il Manchester City di Sven-Göran Eriksson fece un’offerta a Nashat Akram per diventare il primo giocatore iracheno della storia della Premier League; il governo di Sua Maestà declinò, però, la sua richiesta di visto.
Hawar Mulla Mohammed si trasferì al Apollon Limassol, con cui divenne il primo nazionale a segnare un gol in UEFA Champions League. Younis, invece, prese parte al prestigioso premio FIFA World Player of the Year.
Una storia di rivalsa che, inspirata da uno spirito repubblicano, ha dato visibilità a una nazione dimenticata da tutti, persino da Dio. L’Iraq è uno Stato mosaico, popolo di etnie e colori diversi, una commistione di nazionalità fraterne, unite sotto un’unica bandiera. Il re è nudo, ma chissà per quanto.
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