Ve lo ricordate Takayuki Morimoto?
Al suo arrivo in Italia, circa a metà anni 2000, gli addetti ai lavori giuravano che in patria fosse chiamato “il Ronaldo del Sol Levante”. Riferimento chiaro a Luis Nazario da Lima, auspicabilmente più per la somiglianza fisica che per le affinità tecniche con il fuoriclasse brasiliano.
La carriera italiana di Morimoto ha seguito lo spartito del tipico Nuovo Acquisto Esotico (N.A.E.) che giungeva a portare i suoi servigi nel Bel Paese a cavallo dei due millenni. Il N.A.E. sbarca con i crismi del potenziale fenomeno in grado di cambiare la storia del gioco, per poi attraversare tutto lo spettro delle scommesse non mantenute: campagna mediatica sopra le righe; primi gol ad un’età precocissima; inevitabile serio infortunio che ne pregiudica una o più stagioni; ritorno in campo in tono minore; valzer di prestiti in squadre più o meno ambiziose; ritorno in patria o in campionati alla periferia dell’impero.
Somiglianze con Ronaldo: a) cranio rasato; b) dentatura importante; c) basta
Sia come sia, il buon Takayuki è stato involontario testimone e spettatore interessato di un piccolo grande pezzetto di storia recente del calcio italiano. Accade tutto nel Giorno del Signore 26 agosto 2007, prima giornata di campionato. I protagonisti sono due allenatori: uno reso famoso da un serie di risultati sorprendenti alla guida di una provinciale, pur contraddetti dalle ben più modeste fortune ottenute negli anni successivi; l’altro addirittura all’esordio in serie A. Campo da gioco: stadio Ennio Tardini di Parma. Risultato della partita: due a due. Risultato fuori dal campo: cinque turni di squalifica, tre richieste di scuse pubbliche, due conferenze stampa, un calcio nelle terga.
All’angolo rosso, il bufalo di Massa: Silvio Baldini
Silvio Baldini è sempre stato considerato un sanguigno. Sarà per la provenienza toscana, sarà per l’abitudine a guidare squadre di poco blasone ma destinate a giocarsi partite e salvezze con le proverbiali unghie e i proverbiali denti, sta di fatto che la sua immagine nel panorama del calcio nostrano si è sempre contraddistinta per un certo grado di veracità.
Il suo nome nel cosiddetto “calcio che conta” inizia a circolare nella stagione 1997/98, quando guida il Chievo Verona pre-Delneri nel campionato di serie B. L’anno successivo, l’Empoli decide di puntare su di lui per sostituire Gustinetti (e Gustinetti? Ve lo ricordavate Gustinetti?) a novembre. Seguono due anni di onesta manovalanza nella Cadetteria, poi nel 2000-01 arriva l’exploit, seppur non condito dalla promozione. Il quinto posto al termine della stagione sa di beffa, in un momento storico che prevedeva la promozione diretta per le prime quattro classificate.
L’arrivo in Serie A
Ma non occorre perdersi d’animo: la via è tracciata e per la promozione sarà solo questione di tempo. Infatti l’Empoli 2001-02 conquista la A come quarta classificata, dietro al Como – che nella stagione successiva frantumerà qualsiasi record negativo del massimo campionato (seppur doppiato a soli dodici mesi di distanza dal mai dimenticato Ancona di Jardel) -, al Modena e alla Reggina.
Il 2002-03 consegna al club una salvezza più tranquilla di quanto ci si aspettasse e Baldini decide che il suo ciclo nel borgo toscano è finito. Decide di accettare la corte dell’ambizioso Palermo, determinato a vincere il campionato di Serie B.
Ma Palermo negli anni 2000 significa anche Zamparini nel pieno delle sue facoltà. E infatti, a gennaio, con la squadra terza in classifica, il tecnico viene esonerato.
Ancora la Sicilia nel destino di Baldini
Forse scottato dalla traumatica esperienza in Sicilia, Baldini attraversa un paio d’anni avari di soddisfazioni: arrivano in sequenza due subentri e due esoneri con Parma e Lecce. L’opportunità di riscatto però non tarda a palesarsi: nell’estate 2007 l’ambizioso Catania reduce da una soddisfacente salvezza in A decide di puntare su di lui dopo la seconda esperienza con Pasquale Marino. Il nostro accetta di buon grado e si mette al lavoro per preparare al meglio l’esordio in campionato previsto per quel fatidico 26 agosto.
“Volteggia come una farfalla, pungi come un’ape”
All’angolo blu, l’aspide di Cassino: Mimmo Di Carlo
Non meno variegata è la storia da allenatore di Domenico Di Carlo detto Mimmo. Il nativo di Cassino (profonda Ciociaria) deve la sua prima notorietà alla carriera di calciatore. È infatti il capitano di quel leggendario Vicenza che, illuminato dall’indolente classe di Lamberto Zauli, raggiunge la semifinale di Coppa delle Coppe nella stagione 1997/98.
Nel giro di dieci anni, a Stamford Bridge hanno timbrato il cartellino Pasquale Luiso e Ronaldinho Gaucho.
La sua carriera in panchina prende il via non lontano da Vicenza. A partire dal 2003/04 guida infatti il Mantova del presidente Fabrizio Lori (la versione pre-Tik Tok di Gianluca Vacchi) in una poderosa quanto sorprendente cavalcata che porta la squadra dalla Serie C2 alla finale playoff per la Serie A, persa non senza polemiche contro il primo Torino di Urbano Cairo nel giugno 2006.
La meritata chance
Conclusa l’esperienza nella terra di Virgilio – comunque ancora punteggiata di soddisfazioni, visto che nel 2006/07 il Mantova si concede il lusso di battere le tre future promosse Napoli, Genoa e Juventus (sì, c’è stata una serie B con Napoli, Genoa e Juventus) – Mimmo Di Carlo finisce inevitabilmente nel mirino di molte società di Serie A. La spunta il Parma, che gli affida la prima squadra per la stagione 2007/08.
Quella ducale è una compagine reduce dall’esperienza con Claudio Ranieri, che nell’estate 2007 saluta tutti e se ne va: ha infatti deciso di accettare la corte della Juventus appena risalita dall’anno di purgatorio in Serie B post-Calciopoli, che lo vuole per sostituire un Didier Deschamps che non ha convinto la dirigenza (sic transit gloria mundi). Mimmo nostro viene accolto con i legittimi dubbi accostati al debuttante, mitigati dalla fiducia di chi non ha molto da perdere.
Decollo previsto, l’ormai proverbiale 26 agosto 2007.
“Le mani non possono colpire ciò che gli occhi non possono vedere”
Niente colpi sotto la cintura?
A Parma, in agosto, fa caldo. Dopotutto siamo sempre in quella Pianura Padana famosa per essere prima esportatrice, oltre che d’inquinamento e zanzare, di un tasso d’umidità biblico. Fa caldo, è la prima di campionato e inevitabilmente, col passare dei minuti, la lucidità verrà meno. Probabilmente Parma e Catania ne sono consapevoli, e per questo decidono di partire forte: la partita di fatto si gioca tutta nel primo tempo. Le due squadre non hanno altre ambizioni che non siano la salvezza e questo giova a una partita di inizio stagione tra due formazioni del medesimo livello: entrambe cercano di vincere, per speculare sugli zero a zero c’è tutto un campionato davanti.
La partita
Il primo tempo si chiude con un due a due carico di emozioni e ribaltamenti. Guarda un po’ le coincidenze, il primo gol della partita lo segna proprio quel Takayuki Morimoto di cui sopra, imbeccato da un Giuseppe Mascara che di quel Catania è il faro tecnico e che come il giapponese ha in dotazione un bel paio di generosi incisivi. Rispondono Pisanu e Marco Rossi (no, non il carismatico capitano del Genoa, quell’altro), chiude Baiocco al tramonto della frazione.
Il secondo tempo più che agonistico è agonico, sia per i ventidue in campo che per le panchine: caldo, stanchezza, nervosismo. Baldini e Di Carlo camminano avanti e indietro nelle rispettive aree tecniche. Richiamano. Indicano. Gridano. Battibeccano. Soffiano come cigni che vedono minacciati i loro pulcini sparsi sul prato del Tardini. È solo la prima di campionato ma nessuno dei due vuole perdere e a entrambi solletica molto l’idea di vincere.
Più si avvicina il fischio finale, più il nervosismo sale di intensità. Fino ad esplodere del tutto al trentanovesimo minuto, consegnando una dimenticabilissima prima giornata di campionato all’immortalità dei Grandi Momenti di questo sport:
Il match
Di risse e zuffe il mondo del calcio è pieno. Anche di calci e calcioni: basti pensare all’intervento di sacrosanto kung-fu da parte di Eric Cantona ai danni del tifoso del Palace, o al più recente e meno nobile tentativo di amputazione da parte di Francesco Totti sull’imberbe Balotelli interista. La caratteristica che però piazza la pedata di Baldini a Di Carlo nell’Olimpo dei calci da ricordare è la sua dinamica così oratoriale.
Osservando le immagini, si può notare come i due si mandino a quel paese vicendevolmente a ritmo serrato: “vai a cagare”, “no, vai a cagare te” (peraltro, questa è la ricostruzione operata dallo stesso Mimmo Di Carlo). Poi, per chissà quale motivo, Baldini decide che non è abbastanza, che serve una sua ultima parola, una sua ultima firma. E piazza la zampata. Non è un calcione di quelli determinati a fare male, non è nemmeno uno sgambetto con lo scopo di far mangiare la polvere all’avversario. No, è proprio un allungo in extremis, scagliato quando già Di Carlo si stava allontanando. Un colpo di coda – anzi, di punta – che somiglia nella sua goffa dinamica a un affondo di scherma. Ma non un affondo elegante, elaborato con strategia. Al contrario, un colpo alle spalle, scagliato con la volenterosa scaltrezza del malandrino che cerca di colpire senza farsi vedere, o almeno senza essere alla portata di una risposta.
L’ingresso nella “storia”
Pur con tutto il moralismo di cui si è capaci, in questo calcio è difficile vedere qualsivoglia intento violento in senso stretto. Emerge più che altro la sensazione di assistere a un litigio tra bambini, quando la vita o la morte dipendono dalla possibilità di avere l’ultima parola: “Specchio-riflesso”, “Una volta più di te all’infinito-stop”.
Un calcio nel culo di punta. Baldini e Di Carlo diventano immortali perché nella loro furia più cieca regrediscono a quello che è ciascuno di noi quando guarda o gioca a pallone: due ragazzini che vogliono vincere. Non gli puoi volere male: li puoi sgridare e mandare in castigo, ma mentre lo fai stai già ridendo di loro. Non fosse che sono adulti, li perdoneresti in men che non si dica, anzi ti aspetteresti di vederli salire l’uno sulle spalle dell’altro per raccogliere l’uva dalla pianta del vicino. Quei due monelli.
Arbitra l’incontro: il signor Aldo Biscardi da Larino
Ovviamente, dopo un tale episodio il mondo del calcio si scopre purista e purissimo, e lancia strali, straccia vesti, auspica giustizia esemplare. Interviene perfino Pippo Baudo che da catanese scaglia il proprio anatema contro l’orco Baldini, reo di aver rovinato la reputazione della città etnea. Dalla Domenica Sportiva a Controcampo fino alla carta stampata, non si contano gli interventi di biasimo e condanna – sacrosanti, per carità – aggravati dalle dichiarazioni del Baldini stesso, che in un primo momento non si prodiga in quello che è l’unico mezzo di redenzione approvato dal discorso pubblico: il pentimento su pubblica piazza. Anzi, rincara la dose: «A lui [Di Carlo] non chiedo scusa perchè non lo merita – dice -. Mi ha provocato, ho reagito a una provocazione».
A risolvere la situazione ci pensa allora il Papa del calcio parlato, l’indimenticato e indimenticabile Aldo Biscardi. È all’interno del suo Processo (in quegli anni di decadenza relegato alle frequenze di 7 Gold) che finalmente Baldini si convince: «Chiedo scusa a Di Carlo e gli stringo idealmente la mano». Lo scandalo rientra, i toni si ammorbidiscono, Catania e Parma possono tornare a battagliare là dove sono nate per farlo, sul campo da calcio. Grazie Aldo, ti dobbiamo anche questa.
“Impossibile è solo una parola pronunciata da piccoli uomini che trovano più facile vivere nel mondo che gli è stato dato, piuttosto che cercare di cambiarlo”
L’epilogo dei nostri eroi
Baldini e Di Carlo proseguiranno le rispettive stagioni senza ottenere grandi risultati. Dove per “senza ottenere grandi risultati” si intende che verranno entrambi sostituiti a stagione in corso. Baldini condurrà bene il suo Catania fino alla fine del girone d’andata, per poi arenarsi in una striscia di 7 punti in 12 gare che gli costerà la panchina. Al suo posto, un rampante Walter Zenga riuscirà ad ottenere la salvezza solo all’ultima giornata e grazie a una fortunata combinazione di risultati.
Con un girone d’andata chiuso a diciotto punti, fa quasi specie sapere che Di Carlo riuscirà a rimanere sulla panchina del Parma fino a marzo, quando la pesante contestazione della tifoseria indurrà la società ducale a sostituirlo con Hector Cuper. (Ripetiamo: Hector Cuper). L’hidalgo resisterà fino ad un surreale esonero prima dell’ultima giornata, in favore del tecnico della Primavera Andrea Manzo. Alla trentottesima, per salvarsi il Parma si troverà costretto a vincere contro l’Inter di Mancini e Ibrahimovic. Sarà Serie B, per la prima volta in diciotto anni.
A entrambi, il merito di averci inconsapevolmente ricordato che il calcio è una cosa drammaticamente seria, soprattutto quando ci fa regredire ai bambini ostinati e rancorosi che per sempre rimarremo.
Fun-facts dopo i titoli di coda
1) Nel ruolo di quarto uomo di quel Parma-Catania, troviamo l’ex designatore dell’AIA Nicola Rizzoli.
Nei reperti video e foto relativi alla zuffa, lo possiamo riconoscere mentre cerca di arginare la generosa mole di Silvio Baldini, in un seducente seppur goffo pas à deux.
2) Il tenore oratoriale dello scontro tra titani avvenuto al Tardini viene inconsapevolmente confermato dalla bordocampista di Sky, la quale in diretta si lascia sfuggire un “Madonna!” che sa di spontaneità e di sconfitta. A quasi vent’anni di distanza, il nostro sentimento è di solidarietà misto ad invidia per aver assistito così da vicino a un momento così segnante per il progresso umano.
3) Takayuki Morimoto è ancora un calciatore in attività. Ci crediate o no, gioca nell’Akragas, in Serie D siciliana. Suo compagno di squadra è quel Marco Rossi con cui ha condiviso il prato in quel mitologico 26 agosto.
Nella sua conferenza stampa di presentazione per la squadra di Agrigento, ha detto ai cronisti: «Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Gol di tacco di Biagianti in una trasferta a Trieste. E ho visto le punizioni di Spinesi balenare sopra le traverse delle porte del Massimino. E tutti quei momenti andranno perduti, come la scarpa di mister Baldini contro le chiappe di Di Carlo».
Una di queste ultime affermazioni probabilmente non è vera.
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