Terra che combina la storia e le tradizioni con tecnologie all’avanguardia: oltre 14.000 isole dal territorio prevalentemente montuoso, il Monte Fuji, i samurai, il sushi, l’origami, manga, anime e chi più ne ha più ne metta. In una sola parola: Giappone. Chi è appassionato di calcio, leggendo “manga” e “anime” avrà pensato a Blue Lock o ai campi infiniti di Holly e Benji. Se dunque già vi state immaginando una cascata di fiori di ciliegio su cui rotola un pallone, vorrete approfondire la curiosa origine dei nomi di alcune squadre del calcio giapponese.
Prima di immergerci nell’analisi delle varie denominazioni, è doveroso fare una rapida panoramica delle tappe che ha percorso il calcio nipponico. La prima competizione ufficiale che vede sfidarsi diverse compagini è la Coppa dell’Imperatore, fondata nel 1921 e attualmente detenuta dal Ventforet Kofu, team di cui parleremo in seguito. Si tratta dell’unico torneo il cui nome fa riferimento ad un monarca, insieme alla Copa del Rey spagnola. Prima della Seconda Guerra Mondiale potevano parteciparvi anche le squadre provenienti dalle ex colonie dell’Impero Giapponese, quali Corea del Sud, Taiwan e della Manciuria.
Il calcio, all’epoca, nel paese del Sol Levante, era però in uno stato ancora piuttosto arretrato. Esso veniva infatti praticato solo in pochi contesti: dando un’occhiata all’albo d’oro della Coppa dell’Imperatore balza all’occhio come le prime squadre a trionfare fossero compagini universitarie oppure parte di circoli sportivi in mano a grandi aziende. Fu dopo le Olimpiadi di Tokyo 1964 – in cui la selezione nipponica ottenne buoni risultati – che si pensò a un riassetto del movimento. Nacque così, nove mesi più tardi, la Japan Soccer League. Le varie università decisero di non partecipare al primo campionato di calcio giapponese, per cui il torneo vide presentarsi ai nastri di partenza i migliori otto team dei circoli sportivi aziendali che si sfidarono in un girone all’italiana. Nel 1971 si decise di suddividere in due gironi le ormai 18 squadre iscritte, segnale che si stava riscuotendo un crescente interesse.
Fu a metà degli anni ’80 che prese forma il primo passo verso un calcio professionistico: alcune squadre stipendiavano difatti i propri tesserati con cifre simili a quelle dei calciatori professionisti. La Japan Football Association iniziò quindi a concedere licenze che permettessero il tesseramento dei pro, portando il numero di questi ultimi a crescere notevolmente. La Federazione decise perciò di muoversi verso una lega interamente formata da squadre professionistiche. Eccoci quindi al 1992, anno di nascita della Japan Professional Football League, l’odierna J1.
Yokohama F-Marinos: i campioni in carica in J1
La prima squadra che vogliamo presentarvi sono i Kashima Antlers, gli unici assieme agli Yokohama F-Marinos ad aver partecipato a tutte le edizioni di J1. Come vedremo anche in seguito, molte squadre nipponiche portano all’interno della denominazione ufficiale il nome della propria città. Non fa certo eccezione la squadra più titolata del Giappone, otto campionati vinti, che ha appunto sede a Kashima (letteralmente “isola del cervo”). Si tratta di una città portuale che conta circa 70.000 abitanti e il cui stadio ha ospitato tre gare del Mondiale 2002. Quale nome migliore di Antlers, termine inglese indicante i palchi che si trovano sul capo dei cervidi?
Gli interessati alla geopolitica sapranno del legame tra Giappone e Brasile, altresì esistente nel mondo pallonaro. I rossoneri sono l’esempio più lampante, capaci di annoverare tra le proprie file ex calciatori verdeoro quali Zico (attualmente DT della squadra) e Leonardo. La stella del Flamengo sedette inoltre sulla panchina dello Shikao, ruolo che ricoprirono anche Toninho Cerezo e Antonio Carlos Zago.
A suggellare poi il legame tra team e città c’è lo stemma sociale. Oltre alla silhouette del cervo, possiamo notare come gli stessi palchi ricordino le spine di una rosa. Si tratta infatti del fiore tipico della Prefettura di Ibaraki, dove è localizzata Kashima. I cervi, in cui è facile imbattersi in giro per la città, sono stati a lungo visti come messaggeri spirituali. Mantenendoci all’aspetto terreno, i cervi sono animali affettuosi ma anche pronti lottare l’uno contro l’altro con le proprie corna. Legati alla zona d’origine, combattivi, vincenti. In due parole, Kashima Antlers.
Un altro nome davvero curioso è quello del Ventforet Kofu, squadra militante in J2, la seconda serie del Giappone, nata nel 1999. Sappiate che se la prima parola vi ricorda la lingua francese siete sulla strada giusta. Fondata nel 1965, la società di Kofu sopravvisse a lungo come squadra di dopolavoristi, salvo poi passare a uno status professionistico. La denominazione attuale – ottenuta solo nel 1995 – unisce appunto le due parole francesi vent e forêt, chiaro rimando all’universo naturalistico. I due elementi si inseriscono all’interno di un quadro più ampio e fanno riferimento allo stendardo di guerra utilizzato da Takeda Shingen, importante signore feudale vissuto nel 1500. Il vessillo riportava la scritta “Furinkazan“, ossia “vento, foresta, fuoco, montagna” ed era a sua volta un richiamo a “L’arte della Guerra” di Sun Tzu.
“Quando muovi, sii veloce come il vento, silenzioso come la foresta, feroce come il fuoco, irremovibile come la montagna”
Quella biancorossoblù è l’unica compagine di seconda divisione che tratteremo in questo articolo. Non soltanto per la denominazione sociale intrisa di storia e dal forte contenuto simbolico, ma anche perché parliamo dei campioni in carica nella Coppa dell’Imperatore. Nell’ottobre 2022, da vera outsider, la formazione allenata da Tatsuma Yoshida è riuscita a compiere un’impresa quasi irripetibile. Il Ventforet Kofu ha difatti conquistato l’ambito trofeo sconfiggendo squadre di J1 dai sedicesimi di finale in poi. Hokkaido Consadole Sapporo, Sagan Tosu, Avispa Fukuoka, Kashima Antlers e – in finale – Sanfrecce Hiroshima; questi i club caduti sotto i colpi del team di Kofu. Colpi veloci come il vento e silenziosi come la foresta, per un trionfo che ha giustamente fatto rumore.
Colpi fulminei che valgono la Coppa dell’Imperatore
Si tratta della quarta vittoria della Coppa dell’Imperatore da parte di una squadra di seconda divisione (l’ultima a riuscirci fu l’FC Tokyo nel 2011). L’eccezionalità va ricercata altrove: il Ventforet è la prima compagine ad aver fatto suo il premio senza vincere anche il campionato. Difatti, nella propria lega, i Kai Ken hanno chiuso con un misero 18°posto, sostanzialmente quanto bastava per confermare la categoria. Ecco spiegato perché una squadra di J2 partecipa – peraltro con eccellenti risultati – alla AFC Champions League.
Approfondiamo ora due squadre giapponesi che guardano oltre i confini nazionali (anzi, continentali) e richiamano, seppur in modo diverso, all’Italia. La prima è il Kawasaki Frontale: fondata nel 1955, ha vivacchiato a lungo senza brillare particolarmente. Almeno fino al 2017. Degli ultimi sette campionati ne ha portati a casa quattro, arricchiti da una Coppa di Lega, due Supercoppe del Giappone e una Coppa dell’Imperatore. La società ha sede nella città di Kawasaki e non ha niente a che fare con l’omonima industria produttrice – anche – di moto. Anzi, nacque come squadra della Fujitsu (azienda dei settori informatico ed elettrico), e passò al professionismo ed al nome attuale solo nel 1997.
La parola ‘frontale’ viene dall’italiano e ne assume il medesimo significato: situato sulla fronte, in prima linea. Un nome che svela l’idea del club, giocare all’attacco per vincere e ricoprire una posizione di prestigio (frontale, per l’appunto). Anche lo stemma e i colori del club meritano però una menzione. Fin dal marzo ’97 il Frontale strinse una partnership con il Grêmio, allora Campione del Brasile, nell’ottica di promuovere la massima serie giapponese. Fu così che i Delfini Blu adottarono l’azzurro, il bianco e il nero come colori sociali e un logo che richiamasse quello del Tricolor Gaúcho.
A mantenere viva la connessione fra Italia e Giappone vi è anche una delle due principali società della Prefettura di Osaka. Fondata nel 1980 come squadra aziendale della Matsushita Electric Industrial (il cui marchio principale è Panasonic, da cui oggi ha anche mutuato il nome dell’intera compagnia), il Gamba Osaka divenne tale dodici anni più tardi. I nerazzurri possono vantare un palmarès di tutto rispetto, arricchito specialmente nel decennio intercorso fra il 2005 e il 2015. Due Campionati, due Coppe di Lega, due Supercoppe, cinque Coppe dell’Imperatore e persino una AFC Champions League.
Ma veniamo ora alle cose che più ci interessano: nome, colori e curiosità. “Gamba” ricalca fedelmente l’italiano e si riferisce senza dubbio a una parte del corpo fondamentale nel gioco del calcio ma, come avrete capito dagli esempi precedenti, per gli amici nipponici questo non giustifica a pieno la scelta della denominazione ufficiale. Si tratta di veri e propri amanti dei giochi di parole, perché l’italiano si fonde con il giapponese ganbaru (letteralmente “fai del tuo meglio”). Un monito valido anche per i tifosi, i quali hanno una forte simpatia per un altro club che tanto bene ha fatto ultimamente. Avrete capito, dagli indizi precedenti, che si tratta dell’Atalanta.
“Mi sento solo in mezzo alla gente
Osservo tutto, ma non tocco niente”
Così cantava Eugenio Finardi in “Le ragazze di Osaka”, ma la citazione calza a pennello anche per i supporters del Gamba. Essi, difatti, osservano tutto senza toccare niente, e replicano in toto ciò che propongono i loro omologhi bergamaschi. I colori aiutano, ma ci si mette tanto impegno: maglie nerazzurre dappertutto, cori, coreografie, adesivi e persino nomi dei gruppi. Il settore dove stazionano le Brigate Nerazzurre Osaka 1999 è, manco a dirlo, la Curva Nord.
Bandiere, cori e striscioni: sembra (ma non è) la Nord di Bergamo
Ci auguriamo che questo (primo?) capitolo sui nomi delle squadre vi abbia incuriosito quanto noi e vi abbia fatto viaggiare con la fantasia. E se l’attrice e doppiatrice Lucy Liu disse che “l’animazione giapponese è una forma d’arte a sé”, noi crediamo valga lo stesso per le denominazioni delle società di calcio del Giappone, che riteniamo vere e proprie perle.
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