L’arrivo a Bologna di Lewis Ferguson, scozzese classe 1999, è frutto dello scouting di Riccardo Bigon. Un trasferimento avallato due anni fa, nel passaggio di cariche al nuovo ds Sartori, per rimpiazzare il mai convincente – e poco rimpianto – Mattias Svanberg nella mediana rossoblù.
Il curriculum parla chiaro: campionato minore, nazionale under 21, discreta confidenza col gol, sono qui per fare bene, discrete doti relazionali, buona capacità analitica, pacchetto Office. Le faremo sapere, intanto può scegliere un numero di maglia e scontare le due giornate di squalifica che si porta dietro dalla Premiership. Adesso può accomodarsi in panchina, grazie.
Trascorrono due mesi travagliati. Un meno che mediocre avvio di campionato della squadra, l’esonero del povero Sinisa e il rifiuto di De Zerbi. Poi l’arrivo di Motta in panchina, tra i borbottii generali per l’ennesima falsa partenza dei felsinei.
Thiago si mette al lavoro, periodo interlocutorio, stallo nei risultati. Dopo un deludente pareggio in casa con la Samp, la curva rispedisce gentilmente al mittente la maglia di Arnautovic. Non bene.
Il messaggio inequivocabile della curva rossoblù dopo il deludente pareggio casalingo con la Samp, l’8 ottobre 2022
Il nuovo mister prova a cuocere una nuova minestra con vecchi ingredienti, missione improba anche per lo chef più creativo. Però qualcosa sta succedendo nella trequarti bolognese sin dal precedente campionato, da quando c’è una fase fondamentale del gioco costantemente latitante. A centrocampo, infatti, si è creato un vuoto di potere: Roberto Soriano ha finito la benzina.
Soriano, talentuosa mezzala di provincia che ha portato fino ad un paio di anni prima a 9 gol la sua vena realizzativa e ha sfiorato la convocazione per l’itinerante europeo 2021, è stato per almeno un paio di anni un aspetto non secondario della pericolosità della squadra. La mancata convocazione in nazionale, però, forse ha avuto un’influenza psicologica negativa sul giocatore. Forse sopraggiungono altri motivi personali, forse l’intesa con l’ambiente si logora. Stiamo ai fatti, senza cercarne le cause: una lunga serie di prestazioni opache di una pedina fondamentale hanno portato risultati mediocri dell’intero gruppo. Secondo una china discendente, l’italotedesco siederà sempre più spesso in panchina, fino a trovarsi lontano dalle rotazioni del mister.
Un abbraccio che sa molto di consegna del testimone
Inevitabile il mancato rinnovo a giugno, alla scadenza del contratto. Le altre figurine, poi, sono meno che poco convincenti. Il già citato Svamberg ed Emanuel Vignato che continua imperterrito ad essere un pettirosso da combattimento. Il nuovo arrivato dalla Dinamo Mosca, Nikola Moro, sembra invece più a suo agio nelle vesti di regista che in quelle di incursore. Skov Olsen, forse mal posizionato, non dà segni di vita. Niente da fare: nell’ultimo intero anno di Mihajlovic permane un vulnus dalla mediana in avanti. Manca un tassello con dell’iniziativa e dei polmoni da box to box, qualcuno che sparigli le carte in tavola e si prenda carico di proporre soluzioni offensive. Lo scozzese potrebbe essere la persona giusta al momento giusto.
La settimana dopo la sconfitta con la Sampdoria, Ferguson è per la prima volta titolare e, coincidenza oppure no, la band rossoblù si accende. E lo fa a Napoli, nel periodo d’oro dei partenopei, nel pieno dell’autunno in cui sono lo spauracchio d’Europa. Dapprima due volte in vantaggio poi altrettante volte recuperati e sorpassati da Osimhen, l’arbitro ferma il gioco al novantesimo, sopendo un contropiede degli ospiti che escono dal campo inviperiti e con rabbia agonistica ancora in corpo.
Rabbia che i ragazzi riescono a trattenere e condensare la domenica dopo in casa col Lecce.
Non c’è storia. Dopo dieci minuti Arnautovic segna su rigore e dopo altri dieci minuti Barrow batte un corner sotto l’Andrea Costa. Lewis, ancora titolare, anticipa il difensore e con una torsione a mezz’aria mette dentro un colpo di testa pulito e deciso, cifra stilistica che d’ora in poi proporrà con continuità. Senza propulsione, la fronte oppone al cross teso solo la resistenza sufficiente per soddisfare il terzo principio della dinamica e far rimbalzare la palla sul primo palo. Nel gesto acrobatico del gol lo scozzese non cade, ha i fianchi larghi che contengono il baricentro, corre ad esultare senza mostrare l’orecchio o zittire qualcuno. Niente da recriminare, ho fatto il mio, cm’on. Thiago, forse, prende nota.
Corvino invece, stizzito, riferirà nel dopopartita che Ferguson gli era stato soffiato, che l’aveva inventato lui, vanterà una prelazione ideologica sul giocatore vanificata dalle maggiori risorse bolognesi. Non si sa, non importa a nessuno. Figuriamoci ai felsinei, che si chiedono piuttosto se pratichino ancora il gioco del calcio i Lorenzo Crisetig e i Luca Rizzo comprati a peso d’oro dal salentino nella sua breve ed infelice dirigenza all’alba dell’era Saputo.
Ci sono voluti un paio di mesi a Ferguson per segnare il primo gol e trovare la propria dimensione in campo. Da allora, semplicemente, non ha più smesso di offrire prestazioni convincenti.
Un gol ogni 4,5 partite, la stessa media da cinque anni a questa parte, nonostante il gap di livello tra il campionato scozzese e quello italiano. Non la stessa media di Lampard, a cui Lewis dice di rifarsi, ma numeri che sembrano dare la misura di un giocatore ispirato e costante. Turno successivo, a Monza, di nuovo in gol. Stavolta segnatura arricchita da un coefficiente tecnico più alto. Posch porta palla, crea uno scompenso a centrocampo e Ferguson si inserisce in un mismatch. Il lancio parte morbido e la lettura che ne fa lo scozzese è ottima. Controllo a seguire, senso della porta, tiro a incrocio di collo. Palla in buca. Tempistica perfetta, Di Natale più alto e rock, Di Natale sopra il vallo di Adriano.
Un altro paio di turni e il Bologna passa anche sopra il Sassuolo: l’ultimo chiodo sopra la bara è il suo. Un disimpegno sul lungo linea, un triangolo con Dominguez che Ferguson conclude con un lob di prima intenzione, un piatto che scavalca Consigli da venticinque metri e chiude il derby emiliano.
Ma chi è questo ragazzo di ventidue anni che in silenzio, senza pose e perfino senza capelli rasati sulle tempie sta macinando gol e assist? Domanda che si saranno posti sia i tifosi rossoblù che i semplici appassionati di calcio, spulciando Internet per cercare informazioni dopo il gioiello al Sassuolo. Dopo, non prima. Durante l’estate l’intera città era impegnata a rimpiangere il conterraneo Hickey e il rasta Theate, che con tanta qualità e reti avevano contribuito ad alzare il livello medio dell’undici titolare. Nell’autunno caldo, invece, tutte le attenzioni erano catalizzate dalla vicenda Mihajlovic. Le aspettative su Ferguson erano così rimaste nulle e questo ha reso ancora più felice la scoperta del giocatore e il suo inserimento nel tessuto della squadra.
Il premio ricevuto nella stagione 19/20 come miglior giovane del campionato scozzese con la maglia dell’Aberdeen
Trafila ineccepibile, cursus honorum di tutto rispetto, convocazioni regolari nella nazionale scozzese, dall’under 18 fino alla maggiore. Il suo percorso con l’Aberdeen racconta un incremento costante di gol e assist, fino alle 11 reti dell’ultima stagione scozzese. E come trascurare le 4 realizzazioni in 6 presenze di Conference League?
La storia quindi è lineare, tutto combacia con quanto espresso con la maglia bolognese da 16 mesi a questa parte. Un ragazzo maturo, che gioca a viso aperto, che si considera più un attaccante che un centrocampista. Proveniente da un ambiente famigliare a vocazione sportiva la cui solidità deve avere indirizzato questa maturazione precoce. Il padre Derek Ferguson è stato infatti calciatore professionista, mentre lo zio Barry Ferguson è stato bandiera e pilastro dei Rangers. Dopo un passaggio in Premier League, al Blackburn, solo ed esclusivamente in seguito ai guai economici sorti a Glasgow, Barry è tornato in patria il prima possibile. Ha rinunciato ad un ingaggio importante per portare di nuovo la maglia blu, fino a giocarsi una finale di Coppa UEFA con la fascia di capitano. Insomma, la mentalità scorre forte nei Ferguson. Lewis, inoltre, sembra disporre di un ventaglio invidiabile di fondamentali calcistici. Dalla visione di gioco alla coordinazione istintiva che lo porta a fare la cosa giusta, di piede o di testa o perfino in acrobazia. Non mancano rovesciate e zampate marziali nel repertorio: il senso per la porta sembra decisamente appartenergli.
Se lo scopo del lavoro di Thiago Motta è piantare il seme dell’atteggiamento vincente, della concentrazione e dell’etica del lavoro nei suoi giocatori, Ferguson è l’esempio perfetto. Un ragazzo in contatto col proprio potenziale e desideroso di esprimerlo, e che sa esattamente come fare per non perdersi per strada.
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