Maratona di Stoccolma 1912, come una morte cambiò le Olimpiadi

Maratona di Stoccolma - Puntero

I nostri lettori lo sanno, non siamo nuovi ad affrontare il tema delle maratone risalenti alle prime edizioni dei Giochi Olimpici. In particolare, come già detto in passato, alcuni accadimenti hanno portato a ripensare alla macchina organizzativa della gara più lunga del programma olimpico di atletica leggera. E se il tragicomico epilogo della maratona di St. Louis del 1904 aveva spinto a serie riflessioni e portato in dote i primi cambiamenti, visti gli esiti dell’edizione svedese non è stato più possibile procrastinare un necessario cambio di rotta.

Dopo due edizioni già estremamente controverse, la maratona di Stoccolma 1912 ha rappresentato un punto di svolta e di non ritorno, termine utilizzato non a caso. Con tanto di svolgimento costellato da episodi misteriosi e perfino tragici, capaci di oscurare totalmente il risultato finale e di rimanere negli annali dello sport.

 

Modifiche organizzative

Nel tentativo di rendere l’evento affascinante e credibile, il CIO pianifica ulteriori cambiamenti all’organizzazione di gara anche al fine di scongiurare quanto avvenuto a Londra quattro anni prima. Paradossalmente, più del caso Dorando Pietri, ad aver colpito il Comitato Olimpico è stata l’uscita di scena di Tom Longboat e il tracollo di Charles Hefferson: la loro congestione, trait d’union con quanto già accaduto agli atleti europei a St. Louis nel 1904, spinge a prendere una decisione forte e vietare i punti di ristoro. Nei 40,200 km di gara – l’attuale misura diventerà ufficiale solo nel 1921, ancorché già adottata proprio a Londra – gli atleti non potranno bere nulla, una sfida non facile per un percorso lungo e faticoso che vede la partenza e l’arrivo fissati allo Stadio Olimpico di Stoccolma, passando anche per il limitrofo paese di Sollentuna.

Al fine di agevolare gli atleti in gara, la forte raccomandazione del comitato di gara è quella di indossare dei capi bianchi, una bandana e magari anche dei guanti, al fine di ridurre il rischio di insolazione. Ciò che invece non varia rispetto al recente passato, frutto di una insensata quanto diabolica perseveranza nel non affrontare la principale problematica della gara, è la scelta di fissare la partenza nel primo pomeriggio, per la precisione alle ore 14.00. Come accaduto a Londra, anche stavolta si fa affidamento sulle temperature notoriamente meno severe delle estati scandinave rispetto a quelle dei paesi dell’Europa meridionale.

Tuttavia il 14 luglio 1912, a una settimana dalla chiusura di un programma olimpico lungo due mesi e mezzo, i 68 atleti in gara si presentano sulla linea di partenza sotto un solo cocente e innanzi al termometro che segna la bellezza di 32 gradi. Una circostanza che spaventa l’organizzazione sia dal punto di vista sportivo – le condizioni climatiche vengono viste come un forte svantaggio per la spedizione svedese, considerata favorita alla luce dei suoi 12 atleti anche al netto dell’assenza del recordman mondiale Thure Johansson – che del corretto svolgimento della gara, con la paura di ripetere i misfatti verificatisi nei precedenti Giochi. Non sarà così. Stavolta andrà molto peggio.

Maratona di Stoccolma - Puntero

Lo Stadio Olimpico di Stoccolma, in tutto il suo originario splendore. È stato partenza e traguardo della maratona olimpica

 

La gara della prima volta

Senza il suo alfiere principale, l’Italia si presenta a Stoccolma con una delegazione composta nuovamente da due atleti, benché lontani dai favori del pronostico: si tratta del 21enne Francesco Ruggiero, soprannominato Frank in quanto emigrato a New York, e del giovanissimo Carlo Speroni, appena 17enne e rappresentante dei colori azzurri anche nelle due successive maratone olimpiche ad Anversa 1920 e Parigi 1924. Una gara non fortunata, che vede i nostri due rappresentanti appartenere al nutrito gruppo di 34 atleti – esattamente la metà dei partecipanti – che non taglieranno il traguardo.

Ma questa è una corsa piena di novità, tanto nei partecipanti quanto nei risultati. E tutti conosciamo il fascino della prima volta nella narrativa di ogni genere e più che mai in quella sportiva. Se già nel 1908 era stato sfatato un tabù, quello del primo vincitore straniero rispetto al paese organizzatore, la maratona di Stoccolma offre un nuovo spunto, regalando il primo oro al Continente Nero. Occorre fare, tuttavia, delle doverose precisazioni: il vincitore è Ken McArthur che rappresenta il Sudafrica ma in un’epoca in cui il paese africano partecipa formalmente sotto le insegne del Regno Unito.

Tra l’altro anche le sue origini sono un freno alle celebrazioni: come si può intuire dal nome, McArthur è un cittadino irlandese, abituato a correre per professione prima ancora che per diletto: dopo aver fatto il postino in patria, svolgendo il suo servizio di corsa per 15 km al giorno, si è trasferito in Sudafrica come poliziotto volontario in occasione della Seconda guerra anglo-boera, effettuando le proprie ronde di corsa anziché sul cavallo. Un’abitudine che lo porta a sviluppare una resistenza tale da decidere di metterla in campo a livello agonistico, fino a iniziare a raccogliere risultati prestigiosi sul suolo della colonia inglese.

Risultati che non sono noti nel Vecchio Continente e non lo rendono un favorito della vigilia, tanto che solo in seguito si verrà a conoscenza del suo risultato più clamoroso, il successo alla maratona di Durban del 1910 con un margine talmente rassicurante – pari a quasi 20 minuti – da tagliare il traguardo finale fumando una pipa e del tabacco locale, circostanza che è una delle fondamenta del modo di dire “vincere con la pipa in bocca. Sta di fatto che, a fari spenti, McArthur sorprende tutti e vince con poco meno di un minuto di vantaggio sul connazionale Christian Gitsham, lui sì realmente africano e primo atleta originario del suo continente a vincere una medaglia olimpica.

Per l’oro di un atleta di origine africana occorrerà attendere le Olimpiadi di Amsterdam 1928, quando il francese di origine algerina Ahmed Boughera El Ouafi si assicurerà il successo proprio nella maratona, mentre per avere un oro di un atleta africano che corresse sotto le insegne del proprio paese di origine l’attesa sarà ben più lunga, un digiuno interrotto addirittura nel 1960 – cosa che può apparire incredibile alla luce dell’egemonia mostrata ai giorni nostri – ai Giochi di Roma dal mitico Abebe Bikila in una leggendaria maratona corsa senza scarpe.

A chiudere il podio a Stoccolma lo statunitense Gaston Strobino. Ma stavolta, a differenza dei precedenti, il veleno non è nella coda della gara ma in pieno svolgimento, con due episodi di una gravità e peculiarità tali da far scattare un necessario cambiamento.

Maratona di Stoccolma - Puntero

Ken McArthur taglia per il primo traguardo e conquista la sua prima gara e più importante gara in Europa

 

Tempo irripetibile

Come già detto, la maratona di Stoccolma 1912 è piena di novità. Tra le altre, impossibile non menzionare che, alla quinta edizione delle Olimpiadi, per la prima volta si presenta ai blocchi di partenza un atleta asiatico. E non un atleta qualunque, si tratta di uno dei grandi favoriti per il bersaglio grosso: Shizo Kanakuri. Nato il 20 agosto del 1891 a Tamana, cittadina giapponese della prefettura di Kumamoto, appartenente alla regione di Kyūshū, Kanakuri è considerato il padre del fondo e mezzofondo nipponico, nonché primo atleta di spessore internazionale a portare lustro ai colori del Sol Levante. Con risultati anche significativi, dal momento che il 21enne studente universitario si presenta in Svezia con il miglior tempo dell’anno, fermando il cronometro a 2 ore, 32 minuti e 45 secondi. Un tempo inferiore a quello che farà segnare McArthur al traguardo dello Stadio Olimpico di Stoccolma.

La delegazione giapponese ai Giochi di Stoccolma non è esattamente numerosa: il viaggio è lungo, complicato e costoso, ragion per cui la partecipazione alle Olimpiadi è quasi di nicchia, rivolta agli atleti che in qualche modo riescano a pagarsi un viaggio che il comitato olimpico nazionale non copre. Alla fine, alla cerimonia d’apertura il Giappone porta appena due atleti, il predetto Kanakuri e il velocista Yahiko Mishima, selezionato come portabandiera in ragione dell’età – ha cinque anni più del maratoneta – e del numero di discipline che lo vedono coinvolto, dal momento che sarà impegnato sui 100, 200 e 400 metri, nonostante le scarse possibilità di vittoria. Invece Kanakuri è una forza della natura, nel paese del Sol Levante ci sono grandi aspettative e alla Scuola Normale Superiore di Tokyo, la branca dell’Università che oggi si è trasferita a Tsukuba, professori e studenti fanno una colletta per permettergli di arrivare in Svezia.

L’avvicinamento alla gara si rivela, tuttavia, molto complicato: assieme alla squadra giapponese parte l’allenatore Hyozo Omori, che all’arrivo contrae la tubercolosi che lo stroncherà pochi mesi dopo, ragion per cui i due atleti non hanno la possibilità di svolgere in loco una preparazione atletica adeguata. E non è l’unico problema. Per arrivare nella capitale svedese Shizo affronta un viaggio della speranza, diciotto giorni divisi tra la nave che lo porta nel continente eurasiatico e il treno lungo la Ferrovia Transiberiana. Arrivato in Svezia già molto stanco, le sue condizioni si aggravano a causa delle notti bianche scandinave: la stagione estiva e la vicinanza al circolo polare artico determinano notti di sole che non aiutano il nipponico a riposare adeguatamente. Anche la diversa alimentazione e le conseguenti problematiche di digestione finiscono per peggiorare le cose.

Maratona di Stoccolma - Puntero

Shizo Kanakuri durante le prima battute della maratona olimpica

 

Ciononostante, fin dalle prime battute si porta in vetta alla gara, rispondendo presente ai pronostici che lo vedono tra i favoriti. Ma al traguardo Kanakuri non è tra i primi classificati. Anzi, non c’è proprio, non figurando né tra i classificati né tra i ritirati. Atteso il tempo limite delle sei ore senza che arrivasse al traguardo, il comitato di gara avverte la polizia locale, che inizia le infruttuose ricerche: del maratoneta giapponese non c’è traccia, lungo il tragitto non si rinviene l’atleta né il suo corpo o oggetti di sua proprietà. Kanakuri viene dichiarato disperso e in patria viene battuta inizialmente la notizia della sua morte. Al suo nome iniziano a essere affiancate leggende metropolitane, con asseriti avvistamenti assieme a una bella bionda svedese, e finanche macabre, come quella del suo spettro che infesta lo Stadio Olimpico di Stoccolma.

Ma Kanakuri non è morto, dopo qualche tempo si materializza in patria, continuando a studiare fino alla laurea e a dare il suo contributo allo sport locale: presenzierà anche ai Giochi Olimpici di Anversa del 1920, piazzandosi al 16° posto, e di Parigi del 1924, ritirandosi prima del traguardo. Inoltre sarà uno dei fondatori dell’Hakone Ekiden, una famosa maratona a staffetta di lunghezza superiore ai 110 km che si svolge in due giorni tra squadre universitarie giapponesi. Tutto bene quel che finisce bene, quindi. Eppure il mistero non è stato risolto, nessuno sa cosa sia successo quel 14 luglio 1912. Né si saprà per ben 50 anni, fin quando l’arcano viene svelato, nel 1962, grazie alla tv di stato svedese, un Paese in cui il suo nome è rimasto leggenda. Kanakuri, insegnante di geografia nella scuola della “sua” Tamana, viene intercettato da un giornalista e rivela quanto accaduto.

Dopo circa 30 chilometri, uscito dal percorso cittadino e giunto all’altezza di Tureberg, un quartiere di Sollentuna, si è imbattuto nella villa della famiglia Petre, che stava organizzando una grigliata. Quando videro l’atleta così stanco lo invitarono a bere un succo d’arancia, che Kanakuri accettò di buon grado alla luce dell’assenza di punti di ristoro. Giunto nel giardino, visto il caldo della giornata, lo invitarono a sedersi un attimo in casa all’ombra: Shizo cadde in un sonno profondo, risvegliandosi solo a gara finita, ragion per cui rientrò in Giappone sotto falso nome e senza dire nulla a nessuno per la vergogna, ritenendo di aver offeso il suo Paese.

Ma la stessa tv svedese gli concede la chance simbolica di completare la maratona nel 1967, in un evento dal grande richiamo mediatico organizzato in occasione dei 55 anni dallo svolgimento Olimpiadi di Stoccolma. A dispetto dei suoi 76 anni Kanakuri accetta, scende dall’aereo con un balzo e inizia immediatamente a fare un po’ di stretching. Ripartendo dal luogo in cui sorgeva la villa dei Petre conclude la maratona in 54 anni, 8 mesi, 6 giorni, 5 ore, 32 minuti, 30 secondi e 3 decimi, tempo che gli è valso un posto nel Guinness World Record come quello più lungo per lo svolgimento di una maratona ufficiale, primato che difficilmente qualcuno sarà in grado di sottrargli. A fine gara ha ironicamente commentato:

È stata una lunga corsa. Lungo la strada mi sono sposato e ho avuto sei figli e dieci nipoti.

Con l’occasione ha incontrato anche Bengt Petre, figlio del proprietario di casa che lo aveva ospitato nel 1912, che lo ha ringraziato per la corrispondenza intrattenuta nel corso degli anni e anche per quello che Bengt ha descritto come “uno dei cimeli più cari per la sua famiglia”, ossia il rotolo scritto in giapponese con cui Kanakuri ringraziava la famiglia per l’ospitalità. Con grande franchezza, il maratoneta ha svelato trattarsi di una truffa e di una sostituzione di persona, dato che non aveva inviato alcuna lettera alla famiglia e che quel rotolo altro non era che un “vecchio modulo doganale”. Scomparso nel 1983, oggi il premio destinato al vincitore dell’Hakone Ekiden è intitolato a lui.

Maratona di Stoccolma - Puntero

Una lunga corsa. Kanakuri taglia finalmente il traguardo della maratona di Stoccolma con 55 anni di ritardo

 

Tragico epilogo

Ma non ci sono solo storie curiose capaci di strappare sorrisi. Tra le prime volte ai Giochi Olimpici e, nello specifico, alla maratona di Stoccolma 1912 c’è quella del Portogallo. Un Paese con una storia olimpica non particolarmente entusiasmante – alla data odierna ha collezionato appena 28 medaglie, tra le quali il primo oro solo a Los Angeles 1984, proprio nella maratona grazie a Carlos Lopes – e che presenzia per la prima volta alla manifestazione con 6 atleti. Il portabandiera della spedizione è anche l’unico maratoneta ai blocchi di partenza il 14 luglio 1912, Francisco Lázaro.

Coetaneo del collega Kanakuri, Lázaro nella vita di tutti i giorni è un carpentiere, che approfitta delle pause in fabbrica per dilettarsi nella corsa. Con risultati sicuramente soddisfacenti: nato a Lisbona, ha vinto tre volte il titolo nazionale nella maratona con i colori del SL Benfica, polisportiva che prende il nome dalla freguesia in cui il ragazzo è nato e divenuta gloriosa grazie all’omonima e leggendaria squadra calcistica. Pur non essendo un favorito, insomma, Lázaro è un contendente da tenere seriamente d’occhio per la vittoria finale di una gara che ha inseguito con una determinazione feroce, obiettivo di una vita che gli è valso, per l’appunto, il ruolo di alfiere della propria nazione come esempio di risolutezza e perseveranza per tutti gli atleti lusitani. E anche allo Stadio Olimpico di Stoccolma questo carattere emerge con chiarezza quando, poco prima dello start, rivela ai suoi colleghi le sue intenzioni bellicose:

O vinco o muoio.

Lázaro prende le indicazioni sull’attenzione al clima fin troppo sul serio, nulla deve distrarlo dall’obiettivo di una vita, l’oro olimpico: pur non portando cappelli o bandane, sceglie la tenuta total white e delle bende di protezione alle dita, di cui si priverà per comodità durante il percorso. Ma soprattutto ha l’intuizione che ritiene possa dargli lo sprint necessario rispetto agli altri contendenti: si cosparge il corpo di sugna, una scelta che dovrebbe avere un doppio vantaggio: esternamente come protezione dai raggi solari e internamente con la funzione di limitarne la sudorazione, circostanza utile a ridurre la perdita di liquidi e conseguentemente il bisogno di dissetarsi durante il tragitto, una manovra di grande potenziale strategico vista l’assenza di punti di ristoro.

Maratona di Stoccolma - Puntero

L’alfiere portoghese nelle prime fasi della corsa

 

Nonostante la grinta mostrata nell’avvicinamento alla corsa, Lázaro non è nel gruppo di testa neanche nelle prime battute e inizia ad accusare enormi difficoltà poco dopo la metà del percorso, facendo riscontrare una prima caduta. Cui ne seguiranno altre, accompagnate da una sorta di parziale paralisi cui il portoghese non vuole arrendersi, continuando a correre in maniera incerta e sbilenca per un tratto di gara non indifferente. Esattamente come per il rivale giapponese, anche per Lázaro la corsa si interrompe dopo circa 30 km, quando collassa e stramazza a terra esausto. Non si rialzerà più.

Viene portato d’urgenza nel reparto di terapia intensiva del Serafimerlasarettet – o Seraphim Hospital – con la temperatura corporea di 41 gradi. Inizialmente sono tutti concordi nel ritenere la causa del collasso un mix tra disidratazione e insolazione, tentando per tutto il giorno e la notte di riportare l’organismo alla corretta funzionalità, senza riuscirvi. Il giorno seguente alla corsa arriva la notizia ferale: Francisco Lázaro è morto, primo decesso di un atleta nel corso delle Olimpiadi – accadrà solo un’altra volta, a Roma 1960, con il ciclista Knud Enemark Jensen svenuto per un colpo di sole e ucciso dalla frattura del cranio conseguente alla caduta – che spingerà alla definitiva scelta dell’orario mattutino per la partenza.

Analisi successive e autopsia stabiliscono tuttavia che la causa del malore non è da ricercarsi nel caldo della gara quanto piuttosto nella scelta di cospargersi il corpo con il grasso di maiale: con il tempo e il calore la sugna si era seccata, rivelandosi impermeabile, esattamente come previsto dal lusitano. Tuttavia la preventivata conseguenza della limitazione della sudorazione viene determinata dalla mancanza di traspirazione della pelle, che causa uno squilibrio elettrolitico fatale. È la triste fine di un atleta che da quel giorno diventerà un simbolo in patria, moderna trasposizione di quel Fidippide cui si deve l’origine della maratona, morto per lo sforzo dopo aver annunciato la vittoria ateniese a seguito della corsa lungo i 40 km che dividono Maratona da Atene.

Migliaia di persone presenziarono ai funerali in patria e a una commemorazione in suo onore allo Stadio Olimpico di Stoccolma a ridosso della cerimonia di chiusura dei Giochi. A Lázaro sono intitolati una strada della freguesia di Benfica e un piccolo stadio poco distante dal Da Luz. La sua storia ha anche ispirato un romanzo, “Il cimitero dei pianoforti” di José Luís Peixoto . Ancora oggi a Sollentuna campeggia un monumento dedicato a un atleta che ha cambiato, suo malgrado, il mondo dello sport, abbinando al fascino della prima volta un retrogusto profondamente amaro.

Maratona di Stoccolma - Puntero

La targa commemorativa di Rua Francisco Lázaro, strada del quartiere Benfica dedicata allo sfortunato maratoneta

 


Puntero è gratis e lo sarà sempre. Vive grazie al sostegno dei suoi lettori. Se vuoi supportare un progetto editoriale libero e indipendente, puoi fare una piccola donazione sulla piattaforma Gofundme cliccando sulla foto qui sotto. Grazie!

 

Sostieni Puntero

Di Manuel Fanciulli

Laureato in giurisprudenza e padre di due bambini, scrivo di sport, di coppe e racconto storie hipster. Cerco le risposte alle grandi domande della vita nei viaggi e nei giovedì di Conference League.